Eppure nel '94 si parlava già di analisi del sangue...
FATTI DI CRONACA
Bicisport n. 1, gennaio 1997
La recente indagine sul doping poteva essere anticipata, quindi ridotta nella risonanza, se solo ce ne fosse stata la volontà. È quello che emerge da un documento del Ministero della Sanità, datato 8 novembre 1994.
L'allora ministro Raffaele Costa promosse, su segnalazione di persone vicine al ciclismo, un'indagine conoscitiva «sull'opportunità di disciplinare normativamente l’uso, ormai assai generalizzato, di sostanze medicamentose vietate. Le segnalazioni in questione rilevano come l'analisi delle urine sia facilmente manipolabile e propongono l'effettuazione di esami del sangue che permetterebbero di riscontrare con più esattezza la presenza di fenomeni di doping».
Le risposte che pervennero al ministro erano firmate dal dottor Giovanni Zotta, della Direzione Generale dei servizi di Medicina Sociale, dal professor Dal Monte e dal professor Conconi.
I motivi per cui tali illustri professori si opposero alle analisi del sangue vertevano su cause religiose, etiche e forse anche scientifiche. Cosa fare con un atleta Testimone di Geova? Cosa fare se qualcuno, con il campione di sangue in mano, decidesse se scoprire se l’atleta avesse contratto il virus Hiv? E poi, non è più attendibile l’analisi delle urine? E come si conservano i campioni dis angue prelevati dopo la gara? «Per questa serie di motivi – si legge su tali risposte – si è sempre ritenuto impraticabile il prelievo del sangue».
La sensazione, tuttavia, è che il problema venne affrontato con disarmante superficialità. La caduta del Governo, poi, tolse di mezzo Costa e le sue “bizzarre” idee di controllare il fenomeno doping. Ecco uno dei tanti esempi di insabbiamento, uno dei tanti per cui si è giutni all’avvilente clamore dei mesi scorsi.
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