HOOPS MEMORIES - Gli inguardabili 76ers del '73

Quella dei Philadelphia 76ers del 1971-72 era davvero una pessima squadra: di 82 gare di regular season ne vinse 30, terminando a 26 vittorie dai Boston Celtics campioni di division. Ma altre quattro formazioni riuscirono a fare addirittura peggio, tra queste i Portland Trail Blazers capaci di chiudere l’annata con un inguardabile 18-64.

Subito dopo quella disgraziata stagione, i Sixers subirono una tremenda mazzata quando un giudice di Richmond, in Virginia, dispose che il capocannoniere della squadra, Billy Cunningham, avrebbe dovuto disputare la stagione successiva nei Carolina Cougars della ABA. Un passo indietro. “Kangaroo Kid” aveva in precedenza firmato con Carolina, ma sosteneva che erano stati i Cougars, con il loro mancato pagamento di un bonus, a rompere il contratto.

I Sixers avevano già perso il coach, Jack Ramsey, che a fine campionato si era dimesso lamentando che la squadra, in quelle condizioni, non era assolutamente allenabile. Diversi candidati alla panchina avevano rifiutato l’incarico prima che il giovane Roy Rubin si lasciasse convincere ad abbandonare la panchina di Long Island University allettato dall’offerta di un contratto triennale. Soltanto poche ore dopo aver assunto l’incarico Rubin apprese che non avrebbe avuto Cunningham. Col senno del prima difficilmente avrebbe firmato; col senno del poi un segno di quanto stava per accadere.

Una pressoché infinita serie di pessimi scambi e di poco oculate scelte al draft, aveva lasciato i 76ers con un roster assemblato con gli scarti degli altri, privo di esperienza e, per gli standard NBA, decisamente troppo leggerino sotto canestro. Nel backcourt c’era ancora l’ex star Hal Greer, ma aveva già trentasei anni e il più delle volte scaldava la panchina. Accanto a Fred Carter, nell’altro spot di guardia partiva titolare la matricola Fred Boyd e figuriamoci che lezioni potevano impartirgli vecchi fusti del calibro di Oscar Robertson, Jerry West e Walt Frazier. Carter, a 20 punti di media, si rivelò comunque un realizzatore formidabile ma la squadra non aveva un playmaker degno di tal nome. E il frontcourt era un disastro. Per tamponare nel mezzo, fu acquistato Leroy Ellis, ma il poverino, al pari dei compagni di reparto, non poteva essere all’altezza del compito.

Subito prima del via della stagione, un amico sfotteva Coach Rubin così: “Roy, mi sa tanto che perderai 82 gare in fila!”. Begli amici, si dirà, ma in quanto a competenza tecnica tanto di cappello. Per un po’ il tizio sembrò avere ragioni da vendere, con i Sixers che ci misero 16 gare per centrare una vittoria. Il 24 gennaio, con la squadra sul 4-47 e nonostante il triennale già sottoscritto, il general manager Don Desjardins licenziò Rubin per rimpiazzarlo con uno dei veterani della formazione, la guardia Kevin Loughery.

Con quell’incarico Rubin aveva resistito 105 giorni, periodo durante il quale aveva perso 45 partite e, poveretto, ben 22 kg. A Loughery, ormai trentaduenne e alle prese con i postumi di un recente infortunio ad un ginocchio, fu riconosciuto un accordo di tre anni come allenatore-giocatore. Ironia della sorte, proprio dopo che lo stesso Kevin, stufo della mentalità “perdente” della squadra, aveva richiesto alla dirigenza di essere ceduto al mercato di novembre. Ma ora quella era la sua squadra e le cose andavano già così male che potevano solo migliorare.

Con Loughery al timone i Sixers fecero 3-26 e chiusero la stagione con un orribile 9-73. E la loro percentuale di vittorie, un misero 11%, rimane la più bassa nella storia della NBA. Per centrare una simile impresa furono impiegati un totale di diciannove giocatori, compresi Boyd e Manny Leaks, che ebbe la sfortuna di scendere in campo in tutte e 82 le occasioni. E in un simile contesto poco stona che si sia verificata la più lunga striscia perdente mai registrata dalla Lega.

Il 9 gennaio 1973, quando Loughery subentrò a Rubin, i Sixers avevano già 9 sconfitte filate ma non si sarebbero fermati e il 10 febbraio, perdendo con Portland 126-121, portarono il nuovo limite NBA a 19 stop consecutivi. La sera successiva persero con i Lakers 108-90: e venti.

La prossima gara era contro i fortissimi Milwaukee Bucks, che quell’anno avrebbero chiuso sul 60-22. I Sixers tennero duro e negli ultimi secondi, con il punteggio bloccato sul 104-pari, Fred Boyd eseguì un tiro in sospensione che fu stoppato da Dick Cunningham. L’arbitrò fischiò interferenza a canestro e i Sixers si videro convalidare il canestro vincente. L’incredibile serie negativa era terminata.

Venti sconfitte consecutive in una stagione erano il nuovo record NBA. Il precedente, 19, era appartenuto a due squadre: Los Angeles Clippers (sempre sconfitti dal 30 dicembre 1988 al 6 febbraio 1989) e Cleveland Cavaliers (che persero le ultime 19 gare del torneo 1981-82). Ma come ci si sentiva ad essere protagonisti di un incubo? Carter, il capocannoniere di quella anti-squadra, se lo ricorda così: “Era imbarazzante. Dovevi nasconderti, in città e fuori, sperando che nessuno ti riconoscesse. Non dicevi mai che eri uno dei 76ers”.

Il club finì la stagione con un’altra striscia perdente, di 13 gare, che convinse Loughery a gettare alle ortiche il triennale già firmato. Kevin mollò baracca e burattini per andare ad allenare i New York Nets della ABA, mentre a Philadelphia fu chiamato a raccogliere i cocci Gene Shue, che ci mise del suo nelle 25 vittorie colte dai 76ers nella stagione successiva. Non proprio un record di cui vantarsi, ma comunque un bel miglioramento per la peggior squadra nella storia della NBA.

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