IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Koichi Nakano, l’Hirohito della velocità
di SIMONE BASSO
In fuga dagli Sceriffi: oltre Moser e Saronni, il ciclismo negli anni '80
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Il resto dell’offerta visse del sistema bipolare sperimentato anche su strada: professionisti da una parte, Bert Oosterbosch, Hans-Henrik Ørsted, il solito Urs Freuler; orientali di Stato dall’altra, gli inseguitori sovietici (Mindaugas Umaras, Vjačeslav Ekimov, Viktor Kupovets) e gli sprinter della DDR (il leggendario Lutz Hesslich, Michael Hübner, Bill Huck).
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In mezzo, in perfetto equilibrio estatico come un capolavoro di Akira Kurosawa, la vicenda gloriosa di Koichi Nakano, l’Hirohito della velocità, il più illustre figlio di un sistema che in quel periodo emise i bagliori più luccicanti.
Vista come una concessione politica al movimento del Sol Levante, l’introduzione del keirin fu in realtà l’ultima vera rivoluzione copernicana della pista; riforma solo accennata e mai realmente applicata nel vecchio continente. Perché in Giappone keirin fu il nome della società che gestì i velodromi: cinquanta in tutto il Paese, i luoghi dove si sviluppò un mondo attivissimo di scommesse legalizzate, circondate dal morboso interesse degli appassionati.
Importato dall’Australia, nacque nell’isola di Kyushu il 20 novembre 1948 e sottolineò la rinascita industriale e produttiva di un’intera nazione. Raggiunse una popolarità, legata al gioco d’azzardo, simile al nostro Totocalcio. L’isteria si concretizzò nelle venti (!) riviste di settore, frutto dei 37 milioni di scommettitori, e con lo status di élite, da privilegiati, degli atleti più forti: prodotti da una scuola a numero chiuso, dalla disciplina quasi militaresca, sorta a Shuzenji.
Sei mesi da samurai per diventare professionisti ricchi e famosi, in un culto che ebbe eguali solamente col sumo: nel 1973 gli introiti ufficiali del gioco raggiunsero i 1214 bilioni di yen (8000 miliardi di lire).
Lo stile di quelle competizioni rimase inimitabile. I nove concorrenti alla partenza, dopo l’inchino per omaggiare il pubblico, in fila nella successione decisa dal sorteggio. La lepre (molto più veloce della versione-spuria, quella dell’Uci) che introduce all’esplosione della volata, battezzata da un minaccioso gong. Gli sprinter, coinvolti in una specie di Rollerball nipponico, svezzati a un infinito repertorio di gomitate, testate, scarti di direzione.
Le corse-simbolo divennero leggendarie, il Festival del Keirin, la Corsa dei Campioni, la Coppa del Derby e quella del principe Takamatsu.
Forgiato in quelle battaglie, che lo fecero diventare lo sportivo più pagato del Giappone, l’imperatore Nakano (il cui babbo, velocista pure lui, corse fino a cinquant’anni) fu uno dei simboli dell’invasione culturale al suono di «Kimi ga yo». Come l’estetica bondage de L’impero dei sensi di Nagisa Ōshima o l’universo coloratissimo dei manga, Koichi (s)travolse il mondo: astuto, potentissimo, cattivo. Mazinga incrociato a Maspes.
1982, Mondiali di Leicester, finalissima della Velocità professionisti.
Koichi Nakano contro Gordon Singleton: i due non si amavano..
Dieci anni esaltanti di dittatura nella velocità professionisti, sottolineata da sfide crudeli, con l’apice nel duello all’O.K. Corral di Leicester 1982: avversario Mister Aggressività Gordon Singleton, già iridato nel keirin.
I due misero insieme tre contese delinquenziali, caratterizzate da un bailamme di reciproche scorrettezze: nella prima prova, entrambi passarono il traguardo rotolando sull’abete di Saffron Lane.
L’incontro di karate su bici terminò per l’abbandono del canadese, causa frattura a una clavicola dopo l’ennesimo capitombolo, prima della bella decisiva. Nakano, mai così duramente sfidato, mantenne la corona in quella che fu la prova più difficile nel suo regno.
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