Prologo - La torta della vita



di Christian Giordano © 
SAPPADA - Roche e Visentini al Giro '87
Rainbow Sports Books ©

Questa non è una storia americana. 

Niente happy ending hollywoodiano, qui. È una storia molto irlandese, un po’ francese e fin troppo italiana. 

Una storia di illusioni e speranze, passione e disincanto, determinazione e talento, silver spoon e valigie di cartone, di cosmopolitismo e provincialismo, di amicizia e interesse. 

Una storia fatta della stessa pasta non dei sogni ma della vita. Quindi del ciclismo, o viceversa. 

Una storia di strada, un film d’amore e d’anarchia. Con una, nessuna e centomila «verità» e, appunto, niente lieto fine. 

Narra di due uomini, prima ancora che atleti, che più diversi non si può. Ciascuno vi si potrà riconoscere in toto, in parte o per nulla. Nell’uno come nell’altro. 

Secondo stereotipi (più o meno) conclamati. 

L’uno il classico outsider, in tutti i sensi: fisichino ordinario e tenacia straordinaria, figlio della working class proveniente da un altro mondo (non solo ciclistico), epperò poliglotta e dotato di una forza interiore - retaggio di settecento anni di lotte - e di un’intelligenza feroci; ma di un’affabilità (mai disinteressata) degna di altre latitudini. 

L’altro il predestinato, forse suo malgrado, nato con la camicia (o, detto più prosaicamente, culo nel burro), atleta naturale, bello e impossibile, istintivo e umorale, in apparenza arrogante e strafottente e invece timido, chiuso, riservato, figlio illegittimo delle etichette più scontate in una terra di grande tradizione, generoso e fedele a se stesso fino all’autolesionismo. 

Come sempre la vita, soprattutto quella post-agonistica, s’è poi divertita a farsi beffe delle sue stesse narrazioni e generalizzazioni. 

Stephen Roche appare, oggi, un uomo inquieto, sfuggente per non dire fuggitivo, che vive rivolto al futuro forse come scappando dal passato. 

Roberto Visentini invece, a quei pochissimi cui si concede, sembra un uomo risolto. Non ha dimenticato torti che ritiene irredimibili più ancora che irrimediabili, ma pare vivere più sereno il presente senza le ombre del vissuto. 

Ma queste forse sono e restano solo fugaci impressioni di un giornalista che, oltre trent’anni dopo, per un giorno ne ha attraversato il cammino. Per raccontarne la storia. Senza pretendere anche solo di intuirne l’epilogo. 

Perché questa, la loro, non è una storia americana. È una storia molto irlandese, un po’ francese e fin troppo italiana. 

Christian Giordano



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