Roche vs Delgado a La Plagne ’87 - Svieni, vidi, vinci


di Christian Giordano ©
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A parte il caldo bestiale, in uno dei Tour al contempo più lunghi (4083 km in 25 tappe più il prologo), più duri eppure più noiosi, dopo due settimane - ancora in vista delle montagne - non è che fosse successo granché. 

Sì, Erich Maechler lo svizzero della Carrera che neanche quattro mesi prima, il 21 marzo, aveva vinto la Sanremo aveva tenuto la maglia gialla per sei giorni, da Stoccarda alla Loira, dove il suo capitano, Stephen Roche, aveva vinto l’interminabile (87,5 km) Saumur-Futuroscope. Una delle quattro - dicasi quattro - prove contro il tempo individuali, oltre alla semitappa a squadre, vinta pure quella dalla Carrera, il secondo giorno a Berlino. 

Quel 2 luglio la leadership nella generale era passata al francese Charly Mottet, che già l’indomani l’avrebbe ceduta al connazionale Martial Gayant, primo a Chaumeil, che gliel’avrebbe restituita due giorni dopo, e per altri cinque, al termine della classica frazione pirenaica da Bayonne a Pau, vinta da Erik Breukink. 

Col senno più del forse che del poi, tutto o quasi faceva pensare a una possibile, se non probabile, rivincita del Giro: l’olandese “tradito” (da Robert Millar & C. della Panasonic) contro l’irlandese “traditore” (con gli altri ammutinati Carrera), ora per di più attorniato da uno squadrone persino più forte di quello dominatore alla corsa rosa. 

Ma - e nel ciclismo come nella vita c’è sempre un “ma” - il sommo sceneggiatore della Grande Boucle numero 74 aveva previsto almeno un paio di coup de théâtre. A partire dal terzo incomodo, incomodissimo: Perico “Pedro” Delgado, più ancora che il predestinato Jean-François Bernard, erede designato del - ma mai dal - “Tasso” Hinault, il gran Bernard originale. 

Gran cronoman, il Jeff. E talento da vendere ma, al contrario del mefistofelico cherubino dagli occhi blu, del tutto incapace di farsi amici nel gruppo. Anzi. 

La corsa “vera” inizia la terza settimana, con la cronoscalata di 36,5 km da Carpentras al Mont Ventoux, dominata - chevvelodicoaffare - da l’Altro Bernard: tappona e maglia al capitano della Toshiba-La Vie claire. 

Dopo il “Gigante calvo” della Provenza, il gran finale sulle Alpi. Per i tanti arrampicatori spagnoli, l’ideale terreno di caccia. Delgado non si fa sfuggire la prima occasione, vince la Valréas - Villard-de-Lans epperò è Roche a vestirsi di giallo. Per un giorno. 

All’Alpe d’Huez, infatti, altro che “montagna degli olandesi”; è back-to-back e doppietta iberica: tappa a Federico Echave e maglia al connazionale Delgado, che la terrà per tre giorni, fino alla vigilia della crono di Digione, penultima fatica che precede la passerella finale verso i Campi Elisi. 

Prima però resta ancora da scrivere una delle pagine più drammatiche nella storia di questo sport: La Plagne. Terza delle cinque giornate alpine - una in fila all’altra - che avrebbero riscritto le gerarchie prima dell’ultimo, decisivo verdetto contro il tempo. Estrema ancora di salvezza della strana coppia Jeff & Steve e perenne tallone d’Achille dell’hombre (mica tanto) vertical Pedro. 

I tostissimi 185 km da Bourg d’Oisans cominciano con Delgado che ha venticinque secondi sulla maglia gialla Roche e finiscono con in testa al traguardo il redivivo Laurent Fignon, che ritrova il se stesso dei tempi d’oro ma che a Parigi finirà “solo” settimo. La gara che più conta però è il duello in corso un minuto dietro di lui. 

Su e giù per il Galibier, Roche aveva guidato un manipolo di attaccanti con un minuto e mezzo su Delgado, che però li aveva ripresi dopo una cinquantina di chilometri. Ai piedi dell’ultima salita che porta a La Plagne, Delgado e Roche sono di nuovo appaiati. Fignon poi attacca con Anselmo Fuente, Delgado li segue, Roche no. L’irlandese resta lucido, sa che può ancora contare sulla crono di Digione e sale col proprio passo. Delgado si stacca dai due fuggitivi ma resta comunque con due minuti su Roche. L’irlandese lo tiene a bagnomaria fino a che comincia a sentire il ruggito della folla, il traguardo è vicino: abbastanza ma non troppo. «Ho deciso di aspettare fino ai quattro chilometri - racconterà - per poi dare tutto». 

Al cartello dei -4 km, il suo distacco da Delgado è sceso a 1’15”. Ed è lì che l’appassionato (a tempo perso) di rally ricorderà, testuale, di aver «ingranato la quinta». 

Salendo a tutta, scorge le ammiraglie alla ruota dello spagnolo in giallo, e intuisce di avercela fatta. Con un ultimo sforzo chiude ad appena 4” da Delgado al traguardo e a 29” nella generale (poi saliti a 39” per la penalizzazione dovuta a rifornimento irregolare). E subito collassa. 

Lì comincia uno dei frangenti più “lunghi”, intensi e drammatici nella storia del Tour. Sembra davvero possa scapparci il morto. Roche sviene, viene soccorso con l’ossigeno, messo su una barella, caricato in ambulanza e trasportato in ospedale. Ha giusto il tempo di dire «I’m okay, don’t worry» (Sto bene, non preoccupatevi), prima di regalare ai posteri - e alla telecamera - l’altra, ben più leggendaria battuta, in anglo-francese, che lo immortalerà nella letteratura di questo sport. 

- Stephen, per favore, puoi rassicurare i tuoi tifosi che stai bene? 

«Everything’s OK, mais pas de femme ce soir» (Tutto bene, ma stasera niente donne). 

Genius at work. 

La mattina dopo, dimesso dai medici, Roche sarà al via per il tappone di Morzine che sarà vinto da un altro spagnolo, Eduardo Chozas, con Delgado al penultimo giorno in giallo prima dei 28 km a crono di Digione. 

Anche quella, come accaduto nella cronoscalata del Ventoux, apparterrà a Bernard, con 1’44” su Roche (secondo) e 2’45” su Delgado (settimo). 

Il podio sugli Champs-Élysées è fatto. Sul gradino più basso Bernard a 2’13” e Roche davanti a Delgado per 40”. 

In tre quarti di secolo di Tour il secondo minor distacco dopo i 38” dell’olandese Jan Janssen sul belga Herman Van Springel del ’68 e fino ai mitologici otto secondi di Greg LeMond su Fignon ’89. 

La prima (e unica) volta di un irlandese re di Parigi l’indomani verrà salutata così in prima pagina da l’équipe: «Tour: une nouvelle EIRE». 

Calembour involontariamente profetico. L’alba di «una nuova ère» avrebbe annunciato sì l’imminente dominio Spanglish, ma non proprio quello previsto.

CHRISTIAN GIORDANO


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