Eri forte, papà Joe "Jellybean" Bryant



It Must Be Jelly ('Cause Jam Don't Shake Like That)

It must be jelly 'cause jam don't shake like that
It must be jelly 'cause jam don't shake like that
Oh, mama, you're so big and fat
(...)
Must be jelly 'cause it ain't like jam
It ain't jam, I don't know what it am
Sure looks like jelly to me
   - Gleen Miller & His Orch. (vocal: The Modernaires) - 1942


Non dev'essere stato facile essere Joe "Jellybean" Bryant. Il papà di Kobe.

Come non lo era stato essere figlio di Big Joe, il capostipite dalle grandi mani carnose, e la faccia rotonda che si apriva in quel sorriso contagioso trademark di famiglia.

Da Pop Bryant, un omone di uno e novanta che, come tanti afroamericani, a inizio ventesimo secolo aveva lasciato il profondo sud e la Black Belt della Georgia per costruirsi un futuro a Philadelphia, Joe non aveva ereditato solo il torace possente e la corporatura massiccia.

Gli era stata trasmessa non solo geneticamente una disciplina che solo a tarda età il più celebre della dinastia gli riconoscerà non poi così dissimile alla sua.

Da nonno Joe, spettatore indomito delle partite del figlio prima, e del nipote poi (pure con bombola di ossigeno al palazzo), vigeva una regola: "Mai portare la luce in casa". Tradotto: mai rientrare dopo l'alba. Joe Jr una volta lo sfidò: e finì al poco metaforico tappeto. 

In campo, però Jellybean - "gelatina" più che marmellata per la varietà di movimenti (citando il pezzo pop-jazz di Glenn Miller del '42) che per la smodata passione per le caramelle - era diverso.

Il carisma e la fantasia di Joe erano unici, almeno quanto il suo egocentrismo.

Il mid-range e il gioco di piedi, impeccabile per un'ala di 2,04 per neanche 85 kg, l'arte acrobatica della schiacciata: quelli no: li avremmo rivisti nel suo erede.

Sublimati però in una ferocia agonistica simil-jordaniana che a papà Joe pareva sempre sfuggire di mano. Come gelatina.

L'apice del concetto, più che negli spettacolari sette anni italiani fra Rieti, e le due Reggio inframmezzate da Pistoia, teatri del perfetto nostro idioma di Kobe, fu ai Sixers finalisti nel 1977, annata passata chiedendo di essere ceduto: una collezione di All-Star, quella Philly, contro i Blazers, epitome del gioco di squadra, di Bill Walton.

Chissà se è solo un caso che "Big Red" lo abbia appena preceduto anche nell'ultimo viaggio.

Chiusi i 18 anni da pro' in 10 squadre fra USA, Italia e Francia, Joe aveva allenato al liceo, al college, a livello pro' nella WNBA, in ABA, in Giappone e Messico. Mai nella NBA.

No, non è mai stato facile essere Joe "Jellybean" Bryant. La vita con la sua famiglia ha saputo essere crudele fino in fondo togliendogli quel figlio e quella nipote ai quali si era finalmente riavvicinato; ma ora potrà di nuovo stringerli forte con quelle mani carnose. E sciogliersi in quel sorriso contagioso, unico, dei Bryant.
PER SKY SPORT 24, CHRISTIAN GIORDANO
martedì 16 luglio 2024

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