La rabbia degli arabi, la delusione degli operai. Nel Michigan (decisivo) che volta le spalle ai dem


L’imam: «Non conosco nessuno che sceglierà Kamala»

Nei sondaggi - I rilevamenti riservati del partito mostrano che la vicepresidente è «sott’acqua»

21 Oct 2024 - Corriere della Sera
di Massimo Gaggi
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DEARBORN E SAGINOW (MICHIGAN) «Non è una questione di polarizzazione. Qui c’è sempre stata. Negli anni Venti a Detroit erano forti i comunisti e anche l’estrema destra: per pochi voti non fu eletto un sindaco del Ku Klux Klan. Qui, nella Saginaw industriale, il sindacato Afl-cio per il quale faccio proselitismo è democratico. Eppure molti dei nostri voteranno Trump. Si sentono impoveriti e delusi dopo mezzo secolo di amministrazione democratica: di nuovo un clima da forgotten men, come nel 2016».

In questa città industriale decaduta nel nord del Michigan, Carly Hammond, sindacalista e candidata democratica alle elezioni municipali, disegna un quadro allarmato per le prospettive del suo partito. Confermato da Evan Allardyce, dirigente di Ibew, il sindacato dei lavoratori dell'elettricità. Dice di non capire: ci sono lavoro e buone paghe per tutti grazie al boom di edilizia e infrastrutture, eppure molti preferiscono Trump, anche se la maggioranza resta democratica: «Forse è un fattore generazionale: i giovani non hanno la stessa fedeltà al sindacato e al partito dei padri e dei nonni, non vogliono farsi inquadrare. Le invettive di Trump, la mobilitazione contro l’immigrazione, fanno colpo su molti di loro».

Più a sud a Dearborn, la città (in realtà un grande sobborgo di Detroit) di Henry Ford, tuttora sede della Casa automobilistica e di diverse sue fabbriche, i democratici devono vedersela, prima ancora che col malessere degli operai, con la rabbia della comunità araba (la più consistente d'America) per quello che ai loro occhi appare un appoggio incondizionato della Casa Bianca al massacro di palestinesi e libanesi da parte dell’esercito israeliano.

«Quattro anni fa ho votato Biden ma ora non conosco nessuno che voterà per la Harris che, come Biden, non fa nulla per arrestare quello che è ormai un genocidio. Certo, non sosterremo uno come Trump, ma non veniteci a dire che la nostra piccola comunità con la sua astensione apre la strada a un islamofobo, quando ci sono 75 milioni di americani che lo votano», dice Hassan Qazwimi, imam di Dearborn e capo dell’Islamic Institute of America. L’imam, originario dell'Iraq, è sciita, come gran parte della comunità araba del Michigan, libanesi compresi. Conferma Osama Siblani, editore di The Arab American News, il giornale della comunità: «Julie Rodriguez, campaign manager di Biden, è venuta qui ad aprile, ed è tornata altre volte, a chiedere il voto di noi musulmani, promettendo che i massacri a Gaza sarebbero finiti. Invece continuano e sono iniziati anche quelli delle nostre famiglie in Libano. Conosco gente che ha già perso otto parenti: uccisi da bombe americane, pagate con le nostre tasse. Solo promesse: ci hanno preso in giro. Voteremo democratico per le elezioni locali, ma non per la presidenza. Harris dice di aver incontrato la comunità musulmana a Detroit. Il comunicato non dice chi ma io li conosco: pakistani, albanesi, comunità lontane dal mondo arabo e dalla causa palestinese».

A Detroit, poi, città a maggioranza nera che nel 2020 ha votato al 95% per Biden, la compattezza del fronte democratico rischia di essere scalfita, come abbiamo raccontato sul Corriere una settimana fa, dai 12 pastori di comunità afroamericane che hanno scelto di sostenere Trump.

Col forte rischio di perdere Georgia e Arizona — gli Stati del Sud tendenzialmente repubblicani che Biden ha conquistato a sorpresa quattro anni fa per poche migliaia di voti — per Harris è indispensabile tenere il cosiddetto blue wall del Nord. Qui dei tre Stati in bilico — Pennsylvania, Michigan e Wisconsin — il più sicuro dovrebbe essere proprio il Michigan dove tutto è democratico: la governatrice Gretchen Whitmer, i due rami del parlamento dello Stato, i due senatori al Congresso di Washington. Nel 2020 Biden vinse con un margine limitato (150 mila voti su 8,2 milioni di elettori) ma non sul filo del rasoio come al Sud. Però la rabbia della comunità araba (circa 200 mila elettori), il rischio di una sia pur limitata emorragia di voti neri e il malessere di un proletariato impoverito, sono crepe pericolose nel blue wall.

Elissa Slotkin, candidata a prendere il seggio senatoriale lasciato dalla 74enne Debbie Stabenow, ha detto ai finanziatori della campagna democratica che dai sondaggi riservati del partito emerge che Kamala è underwater, sott’acqua. Magari esagera per mobilitare, ma i sondaggi pubblici indicano che la Slotkin va molto meglio della Harris nell’elettorato democratico.

E l’aborto, che sarà l’arma principale dei progressisti in queste elezioni, qui è un’arma spuntata. Due anni fa gli elettori hanno messo il diritto ad abortire nella Costituzione del Michigan. Quindi considerano il problema ormai risolto.

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150 mila voti

Nel 2020 Joe Biden vinse con un margine ristretto: 150 mila voti su 8,2 milioni di elettori. Il presidente ottenne il 50,6% dei voti, contro il 47,8% di Trump. Libertari e verdi presero oltre 70 mila voti. A 15 giorni dal voto, Trump è avanti di 1,2 punti su Harris nella media dei sondaggi

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