Tommie, John e il ’68 Quei pugni contro il cielo per scuotere tutta la terra
FOTO LAPRESSE - Protagonisti. Il podio del ’68
con Tommie Smith, John Carlos e Peter Norman
RIVOLUZIONARI - Il podio più sovversivo delle Olimpiadi
Contro le discriminazioni A Città del Messico anche l’australiano Norman si unì alla protesta di Smith e Carlos
10 Jul 2025
Il Fatto Quotidiano
Stefano Boldrini
Un pugno, guantato di nero, alzato verso il cielo di Città del Messico per sensibilizzare il mondo nella lotta contro le discriminazioni, è il gesto più rivoluzionario del mondo dello sport, superiore persino al rifiuto di Muhammad Ali di arruolarsi per andare in guerra in Vietnam. Il 17 ottobre 1968, lo sprinter statunitense "Tommie Jet" Smith, medaglia d’oro ventiquattro ore prima nella finale dei 200 metri di atletica leggera e nuovo primatista mondiale con lo straordinario tempo di 19’’83 – solo undici anni dopo Pietro Paolo Mennea riuscirà a superarlo –, aveva appena 24 anni e si consegnò alla storia. Smith era la cima del podio più sovversivo di sempre: lui, l’australiano Peter Norman medaglia d’argento, l'altro statunitense John Carlos bronzo. Tommie con il pugno destro guantato di nero. Carlos con il sinistro. Norman con il distintivo contro la segregazione dell’Olympic Project for Human Rights, organizzazione co-fondata dal sociologo Harry Edwards nel 1967.
Quel podio è una delle immagini forti del 1968, l’anno del Maggio francese, della Primavera di Praga, della protesta giovanile, degli assassinii di Robert Kennedy e di Martin Luther King, del massacro compiuto dai soldati americani nel villaggio vietnamita di My Lai. Lo sport quel 17 ottobre 1968 entrò nella Storia, quella con la maiuscola, dimostrando che può dare un contributo importante, talvolta persino decisivo, alle grandi cause umanitarie.
TOMMIE SMITH è nato in Texas, settimo di dodici fratelli. Da bambino ha avuto la polmonite, ma all’età di 10 anni ha iniziato a praticare l’atletica. È veloce, un fulmine: corre 100, 200 e 400 metri.
È il re della pista, ma è nei 200 che eccelle. Dopo una serie di record a livello scolastico, comincia a fare sul serio e i primi successi gli valgono una borsa di studio alla San José State University. Smith è iscritto al corso di sociologia. È un sostenitore delle campagne antidiscriminazione di Martin Luther King. Segue con attenzione i movimenti di protesta, come quello rappresentato dalle Pantere Nere.
JOHN CARLOS è nato nel Bronx, è cresciuto ad Harlem e anche lui studia all’università. È tra i fondatori dell’Olympic Project for Human Rights ed è tra i principali sostenitori, alla vigilia di quei Giochi, della proposta di boicottaggio legata a quattro richieste: esclusione di Sudafrica e Rhodesia, ripristino del titolo mondiale dei pesi massimi di Muhammad Ali, dimissioni di Avery Brundage dalla carica di presidente del CIO e assunzione di assistenti allenatori afroamericani. Le richieste, come era prevedibile, sono state rigettate e il boicottaggio non è stato sostenuto, ma Smith e Carlos non mollano: decidono, in caso di conquista di una medaglia, di portare la protesta sul podio. Un tragico evento, il massacro degli studenti avvenuto il 2 ottobre nella piazza delle Tre Culture a Città del Messico, in cui centinaia di ragazzi riuniti per contestare il governo e lo svolgimento dell’olimpiade sono stati ammazzati dall’esercito, dà ulteriore forza al piano di Smith e Carlos.
IL 16 OTTOBRE la finale dei 200 metri viene dominata nei primi 150 metri da Carlos, ma negli ultimi 50, con una rimonta spettacolare, Smith conquista l’oro, primo atleta a scendere sotto i venti secondi. Lo chiamano Jet: definizione perfetta. Carlos, stremato, viene superato al fotofinish anche da Norman, un australiano sensibile alle istanze delle popolazioni aborigene, emarginate senza pietà dal governo di Canberra. Norman sostiene la causa di Smith e Carlos, ma non vuole aderire, in segno di rispetto, al gesto del pugno: parteciperà alla protesta mostrando il distintivo contro le discriminazioni. Ed è lui a risolvere il problema provocato da una disattenzione di Smith, che ha dimenticato i guanti nel villaggio olimpico: “Quando salirete sul podio, uno indosserà quello sinistro, l’altro il destro”.
Smith e Carlos saranno espulsi dai Giochi, rispediti negli USA, allontanati dalle piste di atletica. Anche Norman pagherà il prezzo del suo gesto, emarginato dalle autorità sportive australiane. Alla vigilia dell’olimpiade di Sydney 2000, gli verrà persino chiesto di fare autocritica. Norman rifiuterà e quando nel 2006 morirà d’infarto, Tommie Smith e John Carlos si presenteranno al funerale: iconica l’immagine dei due ex sprinter che portano la bara dell’amico australiano.
Smith si rifarà una vita con la laurea in sociologia, giocando a football e facendo l’allenatore. Anche Carlos cercherà una nuova strada nel football americano, lavorerà per una multinazionale dello sport e, dopo la ricucitura dei rapporti, ricoprirà incarichi importanti per il comitato olimpico statunitense. Nel 2016 saranno ricevuti alla Casa Bianca dal presidente Barack Obama: “Siamo stati odiati e vilipesi – le parole di Smith, – ma quando fai qualcosa e ci credi davvero, non pensi ai costi”. Il 1968 è lontano, con la sua Olimpiade in cui altri due atleti entrarono nella storia – l’altista Dick Fosbury conquistò la medaglia d’oro saltando all’indietro e il lunghista Bob Beamon ottenne la stratosferica misura di 8,90 metri –, ma Smith, Norman e Carlos sono ancora lassù, sul podio della rivoluzione.
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