ANDREW TONEY - The Boston Strangler


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica
https://www.libreriadellosport.it/libri/old_timers_-_quando_la_nba_era_il_basket.php

Come possono i tifosi dei Sixers più attempati non ricordare chi fosse “The Boston Strangler”? Non si può non ricordare Andrew Toney, una delle chiavi del titolo NBA vinto nel 1983 dai Philadelphia 76ers delle grandi star Julius Erving e Moses Malone, i dominatori della scena mediatica nella Città dellʼAmore Fraterno. 

Un soprannome, The Boston Strangler, di pessimo gusto, data la logica tragicità dei fatti ai quali risaliva (“Lo Strangolatore di Boston” era un serial killer che uccise 13 donne tra il 1962 e il 1964), ma il nickname, affibbiato a Toney dai media bostoniani e ripreso più volte dai giocatori dei Celtics, descriveva alla perfezione ciò che il numero 22 dei Sixers rappresentava per i biancoverdi del Massachusetts: un incubo. 

Per chi non conoscesse Andrew Toney, cʼè una celebre definizione data di lui da Matthew Maurer, NBA analyst e uno dei più preparati e competenti conoscitori della storia della NBA: «Il tiro di Richard Hamilton, il trattamento di palla di Travis Best, la competitività di Kobe Bryant, lʼabilità di passaggio di Mike Bibby, il killer instinct di Reggie Miller, il tutto in un corpo dalla potenza esplosiva. In due parole, Andrew Toney». 

Se non basta, cʼè sempre lʼopinione di Charles Barkley: «In quella squadra Andrew era lʼunico, insieme a Moses Malone, che riusciva a fermarmi. Aveva una potenza fisica fuori del comune». 

Danny Ainge, colonna portante del backcourt di quei Celtics, racconta: «Appena arrivai a Boston, tutti cominciarono a raccontarmi storie su Toney. Furono le prime cose che mi dissero. Quando lo affrontai capii cosa intendevano, e non esageravano. Seguirlo, strattonarlo, abbracciarlo, picchiarlo, niente funzionava contro di lui. La sua prestanza fisica e la sua competitività ti facevano sempre sentire in inferiorità, fisica e mentale. Tanto valeva lasciarlo perdere, lasciarlo entrare o tirare e sperare che sbagliasse, magari perché si annoiava senza nessuno a marcarlo». I Celtics, per cercare di arginarlo, dovettero acquistare Dennis Johnson, un grande difensore. Toney era per i Celtics ciò che, dieci anni dopo, Reggie Miller sarebbe diventato per i New York Knicks. 

Last but not least, Pat Riley, che considerava Toney, al pari di Jerry West, «il miglior giocatore sotto pressione nella storia della NBA». 

Insomma la crema della crema della NBA di ieri e di oggi considera Andrew Toney un super giocatore. Uno che però non ha mai avuto le luci della ribalta su di sé, anche e soprattutto a causa della immensa popolarità di cui invece hanno sempre goduto Erving e Malone. 

Nato a Birmingham, Alabama, il 23 novembre 1957 (tempi non propriamente tranquilli per le comunità afro-americane del sud), Andrew domina nella semisconosciuta Southwestern Louisiana (lʼattuale University of Louisiana at Lafayette, dalla città dove ha sede l’ateneo), che si districa nella poco pubblicizzata (sui grandi media) Sun Belt Conference, assieme a Florida Atlantic, Florida International, Arkansas Little Rock o Western Kentucky, non esattamente programmi cestistici di massimo livello. 

Il giovane Andrew, 190 centimetri di esplosività, e soprattutto micidiale tiratore dalla media distanza oltre che potentissimo slasher (penetratore), convince gli scout di Phila, che al Draft NBA 1980 lo chiama con la ottava scelta assoluta. 

All’epoca i 76ers erano una squadra di vertice nella Eastern Conference, e quella pick fu per loro un vero colpo di fortuna (e di bravura, visto che alla quattro i Denver Nuggets presero James Ray, poi ribattezzato, per lo scarso rendimento, “The Big Mistake”, il grosso sbaglio), che aggiunse un altro tassello alla squadra che tre anni dopo avrebbe stravinto il titolo. 

Andrew a Philadelphia si guadagna presto una buona fetta dei giochi offensivi di coach Billy Cunningham, abilissimo nellʼintuirne subito le potenzialità offensive e a individuare in lui il perfetto terminale per gli scarichi di Julius Erving e per gli assist di Maurice Cheeks. 

Il tiro in sospensione dai 4-5 metri da ribaltamento sul lato debole, e un primo passo fulminante seguìto dallʼinarrestabile progressione fino al ferro, erano il suo marchio di fabbrica. Un pericolo pubblico fomentato dallʼimmenso spirito di competizione di Andrew, sempre concentrato e focalizzato sullʼunico obbiettivo, vincere. 

Da rookie Toney viaggia a 12.9 punti di media, salita a 13.8 in postseason, che per i Sixers finisce con lʼincredibile eliminazione contro i Boston Celtics nella finale della Eastern Conference, serie che Philadelphia conduceva per 3-1 prima di Gara5 al Boston Garden. 

Nella stagione successiva il numero 22 philadelphiano si conferma leader in campo e nello spogliatoio, Doctor J e coach Cunningham lo considerano fondamentale anche nella gestione dei rapporti allʼinterno della squadra. 

Nei playoff 1981-82 Sixers e i Celtics si riaffrontano in finale a Est, ancora una volta la serie arriva al 3-1 per Philadelphia e ancora una volta Boston rimonta, fino al 3-3, con Gara7 da giocarsi al Boston Garden, come lʼanno prima. Ma nel Massachusetts, quel 23 maggio, non finì come lʼanno prima, finì con i biancoverdi sconfitti 120-106 e il Boston Garden a gridare rassegnato «Beat L.A.!» agli odiati rivali. Quello fu il momento in cui Andrew Toney salì in cattedra. 

Dopo una regular season da 16.5 punti di media, il prodotto della Southwestern Louisiana diventa ancora di più un fattore nei playoff salendo a 21.8 punti a partita e rivelandosi una credibilissima alternativa alle giocate offensive incentrate sul talento e lo strapotere fisico di Erving. I Sixers poi vennero battuti in finale dai Los Angeles Lakers, ma nella stagione successiva, 1982-83, con lʼarrivo a Philadelphia del big man Moses Malone, grande realizzatore e grandissimo rimbalzista, non ci fu storia. 

I Sixers erano una squadra in missione. Dominarono in regular season con 65 vittorie e 17 sconfitte, e anche i playoff furono un monologo biancorossoblù. Cappotto (4-0) ai New York Knicks nel primo turno, 4-1 ai Milwaukee Bucks nella finale della Eastern Conference, altro cappotto ai Los Angeles Lakers che consacra i Sixers campioni. Un grande Julius Erving, un grandissimo Moses Malone, MVP delle Finals. Ma al pari con le due superstar, che tutti gli avversari temevano, cʼera Andrew Toney, un pericolo offensivo pari se non persino superiore a Erving e a Malone. Con 19.7 punti di media in regular season e 18.8 nei playoff, Toney era stato fondamentale nellʼattacco dei Sixers finalmente campioni NBA. 

Altre due stagioni ad altissimo livello – 20.4 punti per gara (20.6 nei playoff) nellʼ83-84 e 17.8 punti (16.8) nellʼ84-85 – e poi arrivano gli infortuni, dai quali Toney non si riprenderà più. Microfratture da stress, caviglie di cristallo e perenni problemi di recupero fecero in modo che le sue stagioni successive fossero frammentate e mediocri. Non convinti che i suoi infortuni fossero così gravi da impedirgli di tornare a giocare come in passato, i media philadelphiani ingenerosamente lo tacciarono di essere un malato immaginario. E per problemi mai del tutto chiariti persino lʼallora proprietario dei Sixers, Harold Katz, fu protagonista di una campagna anti-Toney, accusandolo pubblicamente di fare uso di droghe e invitando la NBA a sottoporlo a dei test anti-droga, che si rivelarono però negativi. Tutto questo segnò la carriera e la psiche di Andrew, che si sentì ferito e trattato ingiustamente dai Sixers e dal mondo del basket. Il ritiro arrivò nel 1988, dopo sole otto stagioni in maglia Sixers e per lui fu estremamente doloroso. Toney non lo meritava. 

Un aneddoto, raccontato da coach Cunningham, fotografa al meglio il Toney giocatore: «Giochiamo contro i Lakers, siamo al supplementare, sotto di un punto e con la palla in mano a venti secondi dalla fine. Chiedo time-out e chiamo lo schema, che alla fine dovrà liberare Andrew per il tiro. So che lui sentì le mie parole, ma appena Maurice Cheeks (il playmaker dei Sixers, nda) ebbe la palla in mano, Andrew gli corse incontro dicendogli “Gimme the ball, gimme the ball!”, e gliela prese dalle mani. Io ero nero dalla rabbia, avevamo appena deciso uno schema, e lui prende la palla allʼinizio dellʼazione! Il tempo passa e allʼultimo secondo Andrew va dentro, con tre Lakers che cercano di fermarlo. La palla bacia il tabellone ed entra. Partita finita, vittoria. La sua spiegazione? “Coach, ti ho sentito, ma alla fine la palla sarebbe stata comunque mia, no?”. That was Andrew». Questo era Andrew Toney, un grande. 


Andrew Toney 

Ruolo: guardia tiratrice 
Nato: 23 novembre 1957, Birmingham, Alabama (USA) 
High school: Charles B. Glenn (Birmingham, Alabama) 
Statura e peso: 1,90 m x 79 kg 
College: Southwestern Louisiana (1976–1980)
Draft NBA: 1º giro, 8ª scelta assoluta 1980 (Philadelphia 76ers) 
Pro: 1980-1988 
NBA: Philadelphia 76ers (1980-1988) 
Palmarès: titolo NBA (1983) 
Riconoscimenti: 2 NBA All-Star (1983, 1984), 2 Southland Conference Player of the Year (1978, 1980) 
Cifre NBA: 
punti: 7.458 (15,9 PPG) 
rimbalzi: 1.009 (2,2 RPG) 
assist: 1.965 (4,2 APG) 
Numero: 22 

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