JO JO WHITE - Il Folletto biancoverde


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica

St. Louis, Missouri. Pur non essendo una città del profondo sud degli Stati Uniti, non era certo uno scherzo crescere in quei sobborghi per un ragazzo afro-americano nei primi anni sessanta. Anche se nelle città del nord-est gli afro-americani cominciavano la loro lenta, difficoltosa integrazione, al sud le segregazioni razziali erano la norma. E nelle città “intermedie” come St. Louis (il Missouri è geograficamente in mezzo, ma più verso ovest), nonostante gli sforzi delle istituzioni, comunque votate all’integrazione, la situazione somigliava più a quelle delle città del sud. 

Jo Jo White era un giovane afro-americano, promessa del basket alla McKinley High School, una già matura point guard dalla immensa intelligenza cestistica, ben pescata dagli osservatori dei Jayhawks della University of Kansas. White diventò subito il leader di una delle università con più background cestistico negli Stati Uniti, ma non riuscì mai a vincere il titolo NCAA. L’unica stagione in cui i suoi Jayhawks furono davvero in corsa fu quella del 1966, ma si trovarono di fronte la squadra in missione per antonomasia, Texas Western, che li sconfisse dopo due tempi supplementari nella finale del Midwest Regional, una delle più epiche partite di college basketball mai giocate. 

Nel 1968 White fu co-protagonista con Spencer Haywood del percorso netto della nazionale statunitense allʼOlimpiade di Città del Messico. Gli USA vinsero l’oro con nove vittorie in nove partite, lʼultima battendo in finale 65-50 la Jugoslavia di Krešimir Ćosić, Radivoj Korać e Petar Skansi. 

Al Draft NBA del 1969, però, White viene chiamato più tardi di quanto ci si aspettava. Sono i Boston Celtics di coach Arnold “Red” Auerbach, freschi campioni NBA, a sceglierlo con la pick numero 9, dopo giocatori che poi non avrebbero avuto significative carriere NBA. Gente come il Terry Driscoll di virtussina memoria, chiamato alla numero 4 dai Detroit Pistons e mai decisivo nella NBA. O come Bob Portman, preso alla 7 dai Golden State Warriors e anche lui scialbo nelle sue quattro stagioni nella Bay Area e nella NBA. 

I Celtics trascorsero unʼestate “precaria” nel 1969, dopo il definitivo ritiro di Bill Russell, allenatore-giocatore nella ultima stagione, che aveva portato in Massachusetts l’undicesimo titolo NBA in tredici anni. E per la panchina si affidarono a un’altra bandiera biancoverde, Tom Heinsohn, protagonista in tanti degli ultimi titoli arrivati nella bacheca del Boston Garden. 

La stagione 1969-70 fu però la prima stagione perdente per i Celtics dal 1951, 34-48 e mancata partecipazione ai playoff. Con ancora l’intramontabile John Havlicek nei panni del leader, White fatica a entrare nei meccanismi della squadra. È discontinuo, anche a causa di qualche fastidioso seppur non grave infortunio, e da rookie totalizza 12.2 punti di media in una stagione, per Boston, da dimenticare. 

Nella stagione successiva i Celtics si rinforzarono con la quarta scelta assoluta nel Draft, Dave Cowens, centro bianco da Florida State, che assieme a White rappresentava il nuovo che avanza. Un asse playmaker-pivot di primissimo livello, al servizio dei veterani John Havlicek e Don Nelson. 

Nel 1971 la truppa di coach Heinsohn chiuse la regular season con un record “vincente” (44-38), non bastò per raggiungere i playoff ma fu un messaggio forte e chiaro al resto della Lega: i Celtics stavano tornando. 

A 21.3 punti di media, dietro ai 28.9 di Havlicek, White era il secondo miglior realizzatore del roster e, cosa più importante, il vero punto di riferimento in campo. Un leader “vocale” ed emotivo, che faceva girare la squadra sempre a pieni giri, innescando lʼimmensa capacità realizzativa di Havlicek e contando, in mezzo all’area, sulla solida presenza di Cowens, subito importante già da rookie: 17 punti e 15 rimbalzi a partita. 

Il nuovo ciclo di All-Star dei Celtics era nato. Al secondo anno di NBA, White venne selezionato per l’All-Star Game, cosa che si ripeterà per le sei stagioni successive. In quegli anni Boston aveva un nemico giurato nella Eastern Conference, i New York Knicks di coach William “Red” Holzman. Campione NBA nel 1970, New York si confermò bestia nera dei Celtics eliminandoli nel 1972 e 1973 (4-1 e 4-3) nelle Eastern Finals. Una squadra, quella di Holzman, fuori portata per i pur forti e determinati “irlandesi” di coach Tom Heinsohn. 

Stagione dopo stagione, sconfitta dopo sconfitta, White imparò a salire di livello, a essere ancora più leader, meno realizzatore e più al servizio della squadra. E finalmente, nella stagione 1973-74, dopo cinque anni di “astinenza”, trascina i Celtics al titolo NBA eliminando 4-1 i Knicks nelle Eastern Finals e battendo 4-3 nelle Finals i fortissimi Milwaukee Bucks di Kareem Abdul-Jabbar e Oscar Robertson (alla sua ultima stagione). Quella vittoria fu la definitiva consacrazione per White, che prese sempre più coscienza della propria importanza nel gruppo, da sempre punto di forza della mentalità-Celtics: si vince e si perde insieme, di squadra. 

La stagione successiva Boston era ancora favorita. Ma dopo una regular season da 60-22, nelle Eastern Finals incappò nei Washington Bullets, che vinsero 4-2. Nel 1976 i Celtics fecero più fatica in stagione regolare (54-38) e nei playoff sudarono non poco per piegare 4-2 sia i Buffalo Braves sia i Cleveland Cavaliers prima di arrivare alle NBA Finals contro i Phoenix Suns, avversari estremamente ostici. 

Quella serie finale, vinta anchʼessa per 4-2, fu la conferma di Jo Jo White (MVP delle finali) e di quei Celtics, capaci ancora una volta di essere vincenti, con organizzazione, talento e mentalità. Gara 5 fu, a detta di molti, la più bella ed emozionante partita NBA mai giocata. Vittoria dei Celtics 128-126 dopo tre overtime, cinque giocatori usciti per falli (Charlie Scott, Dave Cowens e Paul Silas per Boston, Alvan Adams e Dennis Awtrey per Phoenix), piccolo giallo alla fine del secondo supplementare con il canestro di Garfield Heard allo scadere che pareggiò all’ultimo secondo, poi il successo dei Celtics, con White miglior marcatore della partita con 33 punti in 60 minuti giocati. Una prova di forza, quella del nativo di St. Louis, che segnò l’apice di una fantastica carriera culminata con quel titolo NBA e il premio di MVP delle Finals. 

White giocò ancora ad alto livello per due stagioni in biancoverde, poi venne ceduto ai Golden State Warriors durante la stagione 1978-79 e ai Kansas City Kings nel 1981, quando si ritirò con 14.399 punti nella NBA. Dal 1982 il suo numero 10 fa bella mostra di sé appeso nel Boston Garden. E il suo ricordo come giocatore, mente pensante e leader in campo è ancora vivido nella memoria dei tifosi più attempati. Jo Jo White, un pezzo importante e talvolta sottovalutato della gloriosa storia dei Boston Celtics. 


Joseph (Jo Jo) Henry White 

Ruolo: point guard 
Nato: 16 novembre 1946, St. Louis, Missouri (USA) 
High school: McKinley (St. Louis, Missouri) 
Statura e peso: 1,90 m x 85 kg 
College: Kansas (1964-1969) 
Draft NBA: 1º giro, 9ª scelta assoluta (Boston Celtics, 1969) 
Pro: 1969-1981 
NBA: Boston Celtics (1969-1979), Golden State Warriors (1979-80), Kansas City Kings (1980-81) 
Palmarès: 2 titoli NBA (Boston Celtics 1974, 1976); oro Giochi Panamericani Winnipeg 1967 (USA), oro Olimpiade Città del Messico 1968 (USA) 
Riconoscimenti: MVP Finali NBA (1976), 7 NBA All-Star (1971-1977), 2 All-NBA Second Team (1975, 1977), NBA All-Rookie First Team (1970), 2 Consensus NCAA All-American Second Team (1968, 1969), numero 10 ritirato dai Boston Celtics 
Cifre NBA: 
punti: 14.399 (17,2 PPG) 
rimbalzi: 3.345 (4 RPG) 
assist: 4.095 (4,9 APG) 
Numeri: 10, 12 

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