DAVID THOMPSON - La “dama bianca” di Skywalker


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica
https://www.libreriadellosport.it/libri/old_timers_-_quando_la_nba_era_il_basket.php

Michael Jordan, il più forte giocatore di basket di tutti i tempi, aveva un idolo, in gioventù. Pensate a come ci si deve sentire a essere la musa ispiratrice del più grande di sempre, a essere la vera e reale ispirazione di colui che ha lasciato un indelebile segno sul gioco e soprattutto sulla natura spettacolare del gioco. Pensate a come ci si deve sentire a vedere i saltatori delle ultime generazioni dilettarsi con degli alley-oop, sapendo di essere stato tu ad avere inventato quel movimento, grazie a una elevazione fuori del normale. E pensate a come ci si deve sentire a essere colui che ha ispirato il più grande e a non esserlo stato (il più grande) solo o in gran parte a causa dell’abuso di droghe e alcool. 

Classe 1954 (13 luglio), figlio del North Carolina, David OʼNeil Thompson era detto “Skywalker”, colui che cammina nel cielo, per la sua irreale capacità di rimanere sospeso in aria in attesa di una imminente schiacciata. Nato e cresciuto a Shelby, North Carolina, assieme al cugino Alvin Gentry, futuro coach dei Phoenix Suns, David si fa conoscere nell’ambiente cestistico giocando alla Crest Senior High, con la quale ottiene una borsa di studio per il basket da North Carolina State. 

Alto 193 centimetri e con la dinamite nelle gambe, Thompson è un’ala piccola dal primo passo indifendibile, capace di giocare anche guardia tiratrice e di vincere da sola le partite grazie a un potenziale realizzativo senza eguali. Thompson a Raleigh diventa una stella, il leader incontrastato della truppa di coach Norm Sloan, dimostrando un incontenibile atletismo che ne caratterizza le giocate offensive. Soprattutto negli alley-oop che gli chiama e lancia il suo compagno di squadra Monte Towe. 

Nel 1973, a 24.7 punti e 8.1 rimbalzi di media, Skywalker trascina i Wolfpack a una stagione da 27 vittorie e zero sconfitte. Nel 1974, il suo anno da junior, conduce North Carolina State al titolo NCAA, battendo sul parquet di casa, a Greensboro, i favoriti Bruins di UCLA, campioni in carica e veri favoriti nella finale. Nominato Most Outstanding Player, Thompson diventa il giocatore più seguito dagli scout ABA e NBA. 

Anche il suo anno da senior con NC State è fantasmagorico, 29.9 punti e 8.2 rimbalzi a partita ne fanno la prima scelta ai Draft 1975 sia della ABA (Virginia Squires) sia della NBA (Atlanta Hawks). Thompson però non andrà a giocare in nessuna delle due squadre che lo avevano scelto. Gli Hawks della NBA non gli dimostrano sufficiente interesse, mentre gli Squires della ABA si accordano con i Denver Nuggets di coach Larry Brown per trasferirlo nella Mile-High City, la città a un miglio dʼaltitudine, assieme a Monte Howe, suo grande amico ed ex compagno a NC State. Pare infatti che nell’accordo con i Nuggets l’ingaggio di Howe fosse una condizione necessaria se non sufficiente. 

Thompson giocò lʼultima stagione della ABA (1975-76) duellando tutto lʼanno con Julius Erving, sia all’All-Star Game nella gara delle schiacciate, vinta da Doctor J in una memorabile sfida ad alta quota, sia nella Finale ABA, che i New York Nets di Erving vinsero 4-2 sui Nuggets di Thompson. L’impatto di Skywalker nel basket professionistico è devastante: 26 punti, 6.3 rimbalzi e 3.7 assist di media ne fanno subito il leader della squadra e dello spogliatoio. 

Nella stagione successiva Denver, con la front court per due terzi bianca (Dan Issel e Bobby Jones) e capitanata da Thompson, si avventura nella NBA, che oltre ai Nuggets aveva assorbito le altre tre franchigie superstiti della ABA: gli Indiana Pacers, i New York Nets e i San Antonio Spurs. Skywalker dà subito spettacolo, e se per alcuni seppur grandi giocatori si è spesa troppo presto lʼetichetta di «Michael Jordan before Michael Jordan», David Thompson è forse stato quello al quale più calzava questa definizione. Perché a quei livelli, e a quelle altezze, certe cose le facevano solo lui e Doctor J. Ed erano le stesse grandi e spettacolari cose che hanno reso famoso, nei primi anni della sua carriera NBA, Michael Jordan. 

I Nuggets disputano tre ottime stagioni NBA. Dal 1977 al 1979 raggiungono i playoff, ma non vanno oltre le Western Conference Finals. In quelle del 1978 vengono eliminati dai Seattle SuperSonics, che poi in Finale lasceranno (3-4 nella serie) il titolo NBA ai Washington Bullets. Quella è anche la stagione di massimo splendore di Thompson, che lotta fino all’ultima gara (73 punti ai Detroit Pistons) per il titolo di miglior realizzatore NBA, vinto poi da George Gervin, con il quale arrivò appaiato a 27.2 punti di media, ma con meno punti totali realizzati (Thompson giocò due partite in meno). 

Nella off-season del 1978 Skywalker firma con i Nuggets un contratto-record di quattro milioni di dollari in cinque anni che ne fa il giocatore di basket più pagato al mondo. Ma come spesso accade, i soldi, la notorietà e lo status da superstar possono inebriare troppo chi non è mentalmente pronto a questo tipo di pressione. E Thompson non lo era, perlomeno non a quei livelli. 

La cocaina era entrata nella sua vita già da tempo. Qualche bevuta di troppo e le ore piccole ai night club avevano contribuito al suo rapido declino, pur essendo il giocatore più rappresentativo di Denver oltre che il più pagato. Aspetto che ovviamente gli aveva causato frizioni con la squadra, la franchigia e la città. Così, perso il posto da titolare, nell’estate del 1982 viene ceduto ai Seattle SuperSonics, nei quali continuerà la sua parabola discendente. 

Dopo i fasti del titolo NBA 1979, i Sonics di coach Lenny Wilkens sono una squadra che sta lentamente decadendo e l’arrivo di Thompson certo non porta una sferzata di ottimismo all’ambiente. Nellʼ83 Seattle arriva ai playoff ma viene eliminata dai Portland Trail Blazers, con intoxicated Skywalker che colleziona 15.9 punti di media. 

Nella stagione successiva accade invece l’irreparabile. Al famigerato Studio 54 di New York (in the jungle of NY, a Hell’s Kitchen), Thompson viene coinvolto in una rissa e cade (o forse viene buttato giù) da una rampa di scale, massacrandosi le ginocchia. La sua carriera professionistica finisce lì, a 29 anni. 

Prova a tornare a giocare nel 1985, con gli Indiana Pacers, ma non è più lui e non supera l’ultimo taglio prima della stagione. La sua mesta, lucida analisi della propria carriera non lascia spazio a dubbi: «Potevo essere uno dei più grandi giocatori della storia, e ho buttato via tutto. Volevo smettere [con la droga, nda], certo, ma non ne ho mai avuto la forza». Parole lapidarie di chi ha preso coscienza di tutto ciò che è gli successo. Nonostante la triste e prematura fine della sua carriera, nel 1996 David Thompson è stato indotto nella Hall of Fame. Un giusto e doveroso tributo a un giocatore che ha cambiato il basket. Grazie, Skywalker. 


David OʼNeil Thompson 

Ruolo: ala piccola/guardia tiratrice 
Nato: 13 luglio 1954, Shelby, North Carolina (USA) 
High school: Crest 
Statura e peso: 1,92 m x 87 kg 
College: North Carolina State (1971-1975) 
Draft NBA: 1ª scelta assoluta 1975 (Atlanta Hawks) 
Pro: 1975-1984 
ABA/NBA: Denver Nuggets (ABA, 1975-76; NBA 1976-1982), Seattle SuperSonics (1982-1984) 
Palmarès: titolo NCAA (1974) 
Riconoscimenti: 4 NBA All-Star (1977, 1978, 1979, 1983), ABA All-Star (1976), 2 All-NBA First Team (1977, 1978), NBA All-Star Game MVP (1979), ABA All-Star Game MVP (1976), All-ABA Second Team (1976), ABA Rookie of the Year (1976), ABA All-Rookie First Team (1976), NCAA Final Four MOP (1974), Naismith College Player of the Year (1975), USBWA College Player of the Year (1975), Adolph Rupp Trophy (1975), 2 AP Player of the Year (1974, 1975), 3 ACC Player of the Year (1973, 1974, 1975), 3 Consensus NCAA All-American First Team (1973, 1974, 1975), ABA All-Time Team, numero 33 ritirato dai Denver Nuggets; Naismith Memorial Basketball Hall of Fame (dal 1996) 
Cifre NBA: 
punti: 13.422 (22,7 PPG) 
rimbalzi: 2.446 (4,1 RPG) 
assist: 1.939 (3,3 APG) 
Numeri: 33, 44 

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