ORLANDO WOOLRIDGE - Jordan prima di Jordan


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica
https://www.libreriadellosport.it/libri/old_timers_-_quando_la_nba_era_il_basket.php

Uno dei pionieri dell’alley-oop primordiale. All’All-Star Game del 1985, a Indianapolis, partecipò allo stesso Slam Dunk Contest (la gara delle schiacciate) di Julius Erving, Michael Jordan e Dominique Wilkins, e raccolse a mani basse i più sinceri complimenti da parte soprattutto degli avversari. 

Campo aperto, correre, segnare, divertire e divertirsi su un campo di basket, è questo che sapeva fare meglio Orlando Vernada Woolridge, nato il 16 dicembre 1959 a Bernice, in Louisiana, e deceduto il 31 maggio 2012 a casa dei suoi genitori a Mansfield, sempre in Louisiana, quando il suo cuore non ha più retto ai cronici problemi di cui era affetto. 

Orlando a Mansfield ci era cresciuto, e già alla Mansfield High aveva fatto parlare di sé i reclutatori universitari, per il suo atletismo e la sua straordinaria attitudine realizzativa. Orlando era uno che aveva fame, fame di basket e di vittorie. Un poʼ a sorpresa aveva optato per i Fighting Irish di Notre Dame, università certo non nota per il suo programma cestistico. Notre Dame è infatti una fucina di giocatori di football, in tutti i ruoli (basti pensare a due famosi quarterback di nome “Joe”, Montana e Theismann), ma in quegli anni sforna giocatori importanti anche a livello NBA, come Adrian Dantley, Bill Laimbeer, Kelly Tripucka, Bill Hanzlik e John Paxon. 

Dopo quattro ottimi anni in canotta gold and blue (dal 1977 al 1981), Orlando, ala di 2 metri e 5 centimetri dalla spiccata propensione al canestro facile, esce da Notre Dame e, assieme a tantissimi altri talenti universitari, è eleggibile per il Draft NBA del 1981. Con la chiamata numero uno i Dallas Mavericks scelgono Mark Aguirre da DePaul, con la due i Detroit Pistons si accaparrano Isiah Thomas da Indiana, due giocatori che pochi anni dopo saranno protagonisti nel Repeat dei Pistons come campioni NBA. Per sentire pronunciare il nome di Orlando Woolridge bisogna aspettare la chiamata numero sei, da parte dei Chicago Bulls, che si affidano a lui per continuare sulla buona strada che il figliol prodigo della Windy City, coach Jerry Sloan, ha intrapreso nella stagione 1980-81, raggiungendo le Eastern Semifinals dopo un record in regular season di 45-37. 

Lʼanno da rookie però è travagliato. Woolridge fa fatica, segna e gioca poco (7.3 punti in 15.8 minuti di media a partita), anche e soprattutto a causa della discontinuità sulla panchina rossonera. Dopo 51 partite e con appena 19 vittorie Sloan lascia la panchina, e i Bulls chiudono la stagione con un mesto 34-48 in stagione, senza qualificarsi per i playoff nonostante le grandi star Artis Gilmore e Reggie Theus. 

Dalla stagione successiva, agli ordini di coach Paul Westhead, Orlando trova subito la propria dimensione in campo, più che raddoppiando il suo fatturato di punti (16.5 di media per gara) e confermandosi uno straordinario attaccante, dietro Theus il secondo miglior realizzatore di Chicago. 

Purtroppo però quei Bulls, orfani di Gilmore, approdato ai San Antonio Spurs, sono protagonisti di una disastrosa stagione, 28 vittorie e 54 sconfitte, che porta coach Westhead a lasciare la panchina, sostituito da Kevin Loughery. 

Nel campionato successivo 1983-84, le cose non cambiano. Il repentino calo di produttività offensiva di Theus (in rotta con Loughery, che durante la stagione lo cederà ai Kansas City Kings), e l’innesto dei rookie Sidney Green, Ennis Whatley e Wally Bryant (di brianzola memoria) non incide sulle sorti dei Bulls, che concludono la stagione con sole 27 vittorie, e il Chicago Stadium perennemente vuoto, nonostante la buona stagione di Woolridge, diventato, dopo la partenza di Theus il giocatore di punta dei Bulls e con 19.3 punti di media il loro miglior marcatore. 

Orlando si dimostra anche nella NBA un grande schiacciatore, un mago del campo aperto. Se innescato, è un inarrestabile pericolo offensivo e i Bulls, per quanto disastrati siano, sono nelle sue mani. 

Nella stagione 1984-85 nella Windy City arriva un certo Michael Jordan, il salvatore del basket a Chicago. Le speranze riposte in lui sono tante e l’inizio della carriera NBA di Jordan, idolo di North Carolina campione NCAA 1982 e considerato il futuro dominatore della Lega, è più che ottimo, grazie anche alla ottima spalla che il numero 23 trova nel numero 0 (scelto da Woolridge perché simile allʼiniziale di Orlando, suo nome di battesimo) ai Bulls. 

Entrambi amano il contropiede, correre e schiacciare, in quella stagione 28.2 punti di media a partita per Jordan, 22.9 per Woolridge, praticamente da soli portano i Bulls (pur con un record perdente di 38-44) ai playoff, dove vengono sconfitti 3-1 al primo turno dai Milwaukee Bucks. 

Anche se i Bulls di coach Loughery divertivano, sulla panchina di Chicago nella stagione successiva arrivò Stan Albeck, e fu sfortunato, perché Michael Jordan si infortunò e giocò solo 18 partite in stagione regolare, lasciandolo con il solo Woolridge come realizzatore “vero”, nonostante l’arrivo in rossonero di George Gervin, alla sua ultima stagione NBA. Jordan fece a tempo a rientrare per i playoff (i Bulls si qualificarono all’ultimo posto con l’ultimo record della Eastern, 30 vinte e 52 perse) contro i quasi imbattibili Boston Celtics di quel tempo, contro i quali MJ fece il record per punti segnati in una partita di playoff, 63 in Gara2, senza peraltro riuscire a evitare lo sweep per 3-0 da parte di Bird e compagni. 

In quella estate del 1986 si discusse parecchio sul ruolo di Woolridge al fianco di Jordan, e il front office chicagoano decise che il prodotto di Notre Dame, con la sua velocità e il suo modo di giocare, era troppo simile a Jordan, e che alla lunga avrebbe finito per ostacolare la crescita e lo sviluppo del giocatore potenzialmente più forte di tutti i tempi. Così Orlando venne ceduto ai New Jersey Nets, squadra grande e grossa, fisica (con Buck Williams, Darryl Dawkins e Mike Gminski) ma con enormi problemi realizzativi, e che aveva assoluto bisogno di un realizzatore da campo aperto. 

Woolridge ai Nets fece bene il suo dovere. Nel suo primo anno, con 20.7 punti a partita, fu il miglior realizzatore della squadra, ma nonostante ciò i Nets si ritrovarono in fondo alla Atlantic Division (con 24 vittorie e 58 sconfitte, a pari merito con i “cugini”, i New York Knicks) e in una situazione non proprio rosea. 

Nella stagione 1987-88, accade il fattaccio. Dopo 19 partite di stagione regolare, Orlando viene sospeso dalla NBA per uso di sostanze proibite, in poche parole Woolridge aveva un problema di droga, e le ferree regole della lega non gli diedero scampo. Subito scaricato dai Nets, fu squalificato fino a fine stagione. Orlando si riabilitò, lavorò duro per uscire dal tunnel e si ripresentò nella stagione successiva, contrito, pentito e redento, niente meno che in canotta Los Angeles Lakers, i campioni in carica dello Showtime, leggermente logoro ma ancora efficace. 

In maglia gialloviola Woolridge è il sesto uomo, capace di uscire dalla panchina e di portare punti “veloci” alla causa di coach Pat Riley. Nelle NBA Finals della stagione precedente i Lakers avevano superato gli agguerriti Detroit Pistons in sette lunghe, durissime partite, e non senza polemiche. Con il senno di poi, quelle Finals del 1988 sono state l’ultimo baluardo della Dinastia Lakers, l’ultimo sforzo prima di cedere definitivamente il passo ad altre forze. 

Nel 1989, con unʼottima stagione della squadra e di Woolridge (9.7 punti in 20 minuti di utilizzo medio a partita), Los Angeles raggiunge ancora le Finals ma stavolta viene spazzata via dai Pistons, motivatissimi dopo la sconfitta dell’anno prima, un 4-0 che pone virtualmente fine all’era-Lakers di quegli anni. 

Anche nella stagione successiva Orlando rimane nella Città degli Angeli ben figurando, 12.7 punti di media, prima di essere ceduto a una “particolare” versione dei Denver Nuggets nel 1991, dove Orlando torna il grande realizzatore che era, 25.1 punti a partita, risultati però inutili ai Nuggets, che totalizzarono solo 20 vittorie in stagione, terminata alla non invidiabile media di 130.8 punti subiti a partita, una cifra a dir poco inquietante. 

Ancora Bucks, Pistons e Sixers nella sua carriera NBA, poi l’approdo in Italia nel 1994 alla Benetton Treviso di coach Mike D’Antoni, e l’anno successivo alla Buckler Virtus Bologna, dove Orlando, persona squisita, dimostra di essere ancora un grande campione. 

Finita la carriera di giocatore, si cimenta con alterne fortune su alcune panchine WNBA e ABA, per poi tornare nella nativa Louisiana, dove pare non se la passasse molto bene. Fu anche arrestato, nel febbraio 2012, mentre rubava tubi di alluminio di scarto da un cantiere. Intanto i suoi problemi cardiaci continuavano ad aggravarsi. A maggio 2012, a 52 anni, il suo cuore si è fermato. Ci piace ricordarlo volare in contropiede, lanciato da Magic Johnson ai Lakers o in coppia con Michael Jordan ai Bulls. Vogliamo ricordarlo così, sorridente, con gli occhialoni, con il codino e lanciato su un campo di basket. See ya Orlando, thank you. 





Orlando Vernada Woolridge 

Nato: 16 dicembre 1959, Bernice, Louisiana (USA); deceduto: 31 maggio 2012, Mansfield, Louisiana (USA) 

Ruolo: ala forte 

Statura e peso: 2,04 m x 98 kg 

High school: Mansfield (Mansfield, Louisiana) 

College: Notre Dame (1977-1981) 

Draft NBA: 1º giro, 6ª scelta assoluta 1981 (Chicago Bulls) 

Pro: 1981-1996 

Carriera: Chicago Bulls (1981-1986), New Jersey Nets (1986-1988), Los Angeles Lakers (1988-1990), Denver Nuggets (1990-91), Detroit Pistons (1991-93), Milwaukee Bucks (1993), Philadelphia 76ers (1993-94), Benetton Treviso (Italia, 1994-95), Virtus-Buckler Bologna (Italia, 1995-96) 

Cifre NBA: 

punti: 13.623 (16 PPG) 

rimbalzi: 3.696 (4,3 RPG) 

assist: 1.609 (1,9 APG) 

Numeri: 0, 6 

Da coach: Los Angeles Sparks (WNBA, 1998-99), Houston Takers (ABA, 2007-08), Arizona Rhinos (ABA, 2008-09) 

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