Beppe Martinelli compie 70 anni: «Pantani unico, ora guardo la tv»
Beppe vede le gare da casa: «Pantani mi ha fatto gioire e soffrire più di chiunque. Sono stato molto fortunato, ero partito con l’atletica...»
Passione sempre viva - "Guardo anche tre gare in contemporanea alla tv"
"Il ciclismo sa ancora emozionare, la foto di Pogacar a Siena la metterei in tutte le scuole"
Prima e dopo il Covid - "Chiusi in casa i corridori si sono focalizzati solo sulla prestazione, così i direttori ora contano meno dei preparatori e dei nutrizionisti"
Un talento giovanile nell’atletica, poi il ciclismo gli ha cambiato la vita. Beppe Martinelli compie oggi 70 anni: è conosciuto per essere stato il direttore sportivo di campioni come Pantani («Nessuno mi ha fatto gioire e soffrire come lui»), Nibali e tanti altri. Ma ha vinto anche un argento olimpico da corridore nel 1976. Il bilancio: «Sono stato fortunato. La passione per il ciclismo resta, ma ora lo guardo in tv: i ds contano di meno».
11 Mar 2025 - Corriere della Sera (Brescia)
Pietro Pisaneschi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Ho avuto veramente molta fortuna nel mio lavoro». Beppe Martinelli ci tiene che a questa frase sia dato il giusto risalto. Desiderio esaudito visto che oggi è il suo compleanno. Martinelli compie 70 anni e guardandosi indietro scopre che, da 55, il ciclismo è parte integrante della sua vita. «I miei anni sono diversi - dice - iniziano più o meno a fine gennaio e finiscono al Giro di Lombardia: sono le corse in bici a scandirli. Non mi rendo conto sia passato tutto questo tempo ma, forse, stare in mezzo ai giovani e in un mondo che ti piace, ha fatto sì che non me ne accorgessi».
Anche adesso che non lavora più, che ha smesso di essere direttore sportivo e dunque di guidare corridori dall’ammiraglia verso una vittoria, Martinelli non può fare a meno di guardare ciclismo. Le corse in tv «anche tre in contemporanea» per non perdersi niente e la domenica via in strada a vedere i giovani: «Dalla San Geo non ho ancora perso una gara», ammette.
L’amore scoppiò a 15 anni. «Partecipai alla prima edizione dei Giochi della Gioventù. A me in realtà piaceva l’atletica ed ero anche bravino. Poi un direttore sportivo del GS Europack mi disse di provare con il ciclismo. Iniziai così ad andare in bici».
Nessuno prima di allora in casa Martinelli era stato sfiorato dall’idea del ciclismo. Fu Beppe il Prometeo che portò il fuoco e fece ardere di passione anche le generazioni future rappresentate dai figli Davide, prima corridore e adesso direttore sportivo («Un po’ mi somiglia, ma io non gli dico nulla. Spero solo che mi chieda consiglio se e quando avrà bisogno») e Francesca, nel ciclismo anche lei oggi alla Tudor.
Professionista dal 1977 al 1985 con poche vittorie ma tutte prestigiose: tre tappe al Giro mettendosi dietro fenomeni, una frazione della Vuelta e una Milano-Torino, la corsa più antica d’Italia, sono i sigilli più eclatanti. Prima, era stato medaglia d’argento da dilettante ai Giochi di Montreal nel 1976. Poi l’ammiraglia e quel gusto di far vincere gli altri. Pantani («Il corridore per cui ho gioito e sofferto più di tutti»), Garzelli, Simoni, Cunego, Nibali («Siamo andati sempre d’accordo in tutto e per tutto»), Aru, trent’anni di Grandi Giri con un nome italiano sul gradino più alto del podio nel segno di Martinelli in ammiraglia.
L’ultima intuizione è stata Christian Scaroni, bresciano come lui, voluto fortemente in Astana quando il corridore era senza squadra e il team manager Vinokourov non sembrava trovargli posto. Adesso è soprattutto lui a raggranellare punti per permettere alla squadra di “salvarsi” restando nell’élite del ciclismo.
Lo stesso Vinokourov aveva provato, a fine 2024, a trattenere Martinelli in Astana ma niente da fare. «È stata una mia scelta - confessa - Gli ultimi anni sono stati difficili, pochi risultati. Lo ammetto: a me piace vincere. Ho fatto gli ultimi anni pensando alla logistica con mia figlia Francesca accanto: mi piaceva un sacco. Poi, quando lei ha scelto di andarsene alla Tudor, ho iniziato a maturare l’idea di smettere».
Sentiva un senso di distacco dal ciclismo di oggi? «No, era ancora il mio mondo. Nonostante tutti gli strumenti che ci sono oggi, che ti dicono anche in quale punto e a che ora pioverà il giorno della corsa, cercavo di ritagliarmi un angolo di fantasia dove poter inventare qualcosa - ammette Martinelli - Ma era diventato impossibile. La performance ha superato il direttore sportivo, contano di più preparatori e nutrizionisti.
Dal 2020 in poi, diciamo dopo il Covid, è un altro ciclismo: si va molto più forte, ed è tutto il gruppo ad andare più forte. Chiusi in casa forse i corridori hanno maturato l’idea di focalizzarsi solo su se stessi, sulla prestazione. Negli ultimi anni dall’ammiraglia rimanevo sbigottito vedendo le medie orarie. Dicevo: “Impossibile!».
In uno scenario del genere parlare di fantasia sembra difficile eppure Martinelli, che sempre avuto la vista lunga, non è scoraggiato. «Il ciclismo sa ancora emozionare, chi dice che adesso è noioso non credo sia un vero appassionato - afferma - Hai visto la foto di Pogacar in Piazza del Campo a Siena? La metterei in tutte le scuole per invogliare i bambini a fare il ciclismo, per far vedere loro la bellezza». Forse accanto a quella di Mattarella è troppo, ma almeno in ogni palestra sì, quella foto potrebbe stare bene. Sarebbe una mossa saggia, da direttore sportivo autentico. Insomma, una mossa alla Martinelli.
Commenti
Posta un commento