FOOTBALL PORTRAITS - Perché Rivera è Rivera



di CHRISTIAN GIORDANO ©

La classe geometrica di Pirlo e Xavi. La precocità, la fedeltà e la longevità di Maldini, Totti e Del Piero. La personalità controcorrente di Cruijff. Il carisma da capopopolo di Maradona, l’intelligenza politica – sferzante e insieme diplomatica - di Platini. E persino, in terza età, l’indole istrionica di un Vieri ballerino da sabato sera in tv. 

Gianni Rivera non si è mai rivisto in qualche altro campione. Perché non ci potrà mai essere “un altro Rivera”.

Titolare in Serie A a 15 anni nell’Alessandria, con quel fisico da «abatino» (cit. Brera, e caro a Padre Eligio), con quella classe infinita che vedeva e apriva spazi che gli altri neanche osavano immaginare. I suoi assist per la tripletta di Pierino Prati a Madrid ’69, in finale di Coppa Campioni contro il giovane Ajax, sono il suo manifesto. Estetica e poetica. 

Ma sono fuori del campo i veri motivi per cui non c’è più stato né ci potrà più essere un altro Rivera. La sua era un’Italia rurale e ingenua, e di provincia, che usciva dalla guerra ed entrava nel boom. Non c’erano lo scouting e le scuole calcio, e a pallone si giocava in cortile, all’oratorio, sulle strade sterrate.

Dall’Alessandria al Milan non era il grande salto, era un viaggio sulla luna. Eppure coi marziani il golden boy dal ciuffo ribelle si capiva al volo: parlava lo stesso linguaggio tecnico.

Come Verratti a 19 anni vinceva il campionato e debuttava in nazionale, ma il talentino del PSG in Serie A deve ancora giocarci, Rivera ci è rimasto 21 anni prima di chiudere, quasi 36enne, con lo scudetto del ’79. Quello della stella.

Una carriera da superstar, forse la prima – almeno in Italia - del calcio moderno. No, un Rivera di oggi non c’è. Perché, come Sanremo, Rivera è Rivera. 

PER SKY SPORT 24 ©, CHRISTIAN GIORDANO ©
Sky Sport 24 ©, 17 agosto 2013

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