I RAGAZZI DI PAPA' CRUIJFF

di FABRIZIO BOCCA
la Repubblica - 15 maggio 1987

"L'OLANDA è morta, scordatevela". Lo ripeteva convinto, era presuntuoso, e certamente sapeva di rendersi così ancora più antipatico. Del resto aveva solo bisogno di far soldi: il fisco ormai gli stava addosso peggio di un terzino e Cor Coster, suo suocero, "re dei diamanti" e grande speculatore, gli aveva fatto buttare almeno tre o quattro miliardi in affari sballati. 

Lo avevano già chiamato dalla Spagna, lui ogni tanto pensava persino all'America, un'idea buffa di certi suoi amici. Magari lì avrebbe potuto giocare senza problemi, e soprattutto, cosa che lo allettava moltissimo, lo avrebbero ricoperto di dollari. 

Era il settembre del '73, appena tre mesi prima aveva vinto la sua terza Coppa Campioni, a Belgrado contro la Juventus: decise di andarsene al Barcellona. Tanto ormai in Olanda, e soprattutto all'Ajax, non lo sopportavano e questo non poteva proprio permetterlo. Già, perché la gente, quattordici anni fa, di Johan Cruijff non ne poteva proprio più. Lo chiamavano il Pelé bianco, per gli olandesi è una leggenda, ma anche una maledizione. Andato via Cruijff, spentasi la sua generazione, l'Ajax tornò alla periferia del calcio europeo. 

Il vecchio Johan doveva racimolare quattrini in Spagna prima, in America poi. Alla fine degli Anni '70 finì perfino negli Stati Uniti: faceva il Buffalo Bill di un football fin troppo squallido, il fenomeno da baraccone nei Los Angeles Aztecs, nei Cosmos o negli Washington Diplomats. 

Riassestate le finanze c'è stato tempo e voglia di tornare in Olanda all'Ajax, di strappare un patentino semifasullo di allenatore e di riportare la sua vecchia squadra a vincere nuovamente, l'altra sera ad Atene contro la Lokomotive Lipsia, una Coppa. Quindicimila tifosi olandesi nello stadio Olimpico, quello stesso dove l'Amburgo quattro anni fa sconfisse la Juventus, un popolo tutto per lui. 

In Olanda il calcio non si misura con i titoli, nessuno ha voglia, tempo e soldi per mettersi a far la guerra all'Ajax, al PSV o al Feyenoord. Un altro tassello di leggenda, di mito, di maledizione. 

Johan ormai ha quarant'anni, li ha compiuti il 25 aprile. Vive a Vinkeveen, a quaranta chilometri da Amsterdam. Una villa come si conviene a un campione, grande, sfarzosa, circondata da un grande parco. La volle così molti anni fa sua moglie Danny, una bionda appariscente che lui costrinse ad abbandonare la carriera cinematografica perché seguisse da vicino l' educazione dei tre figli Chantal, Susie e Jordi. 

Lui doveva girare il mondo con l' Ajax, con l' Olanda, e con il numero 14 sulle spalle. Ed era lui a comandare, talvolta con arroganza: sua madre, la donna delle pulizie della squadra, non era andata per il sottile. 

Quindici anni fa la critica si accapigliava per trovargli una definizione tecnica: alcuni dicevano che era un regista, altri che era un attaccante. Alla fine si misero d'accordo: centravanti arretrato. Cruijff giocava "a tutto campo", come gli altri olandesi, in mezzo a Rep e Keizer, suoi colleghi e fratelli di sangue. 

Avevano formato un gruppo solidissimo, governato da una rigida gerarchia interna che nemmeno l' allenatore Rinus Michel prima e Stefan Kovacs dopo potevano violare. Un potere fortissimo: sei campionati, quattro Coppe d'Olanda, tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa. 

"A quel tempo era la Juventus ad avere paura" ebbe a dire una volta. Ed era vero: Boniperti andò a contattarlo proprio ad Amsterdam, ma quando le frontiere ancora erano chiuse. 

"Dell'Ajax di diciotto anni fa - dice Cruijff - non è rimasto niente. Abbiamo ricominciato tutto da capo, con i giovani. Sinceramente, non credevo di arrivare fino a questo punto. Solo su una cosa non transigo, il rigore. Una grande squadra la si costruisce con buoni giocatori, ma non si può vincere niente se non c'è una rigida disciplina interna. Il gioco, le idee sono sempre quelle, è ovvio. Io voglio un calcio offensivo, ai miei giocatori chiedo di divertirsi". 

Cruijff adesso rimarrà almeno un altro anno all'Aiax, ha già firmato il contratto: ha confessato comunque di aver ricevuto una bella offerta dal Milan. Ma i suoi affari per ora richiedono la sua presenza ad Amsterdam. Ha una azienda di abbigliamento sportivo, la Cruijff Sportswear, esporta scarpe da pallone e magliette in Belgio, Norvegia, Svizzera e Spagna. 

I suoi interessi sono molto più ampi: con Piet Keizer, Cor Coster e il solito Apollonius Koninemburg, grande mediatore internazionale ha messo su una specie di agenzia. Cruijff ha il pallino degli affari. 

All'Ajax, nel dicembre '81, firmò uno stranissimo contratto: settanta milioni subito più il 50% sugli incrementi di incasso rispetto alla stagione precedente; guadagnò una media di trenta milioni a partita. 

Ora il suo obbiettivo è quello di lanciare una nuova, intera generazione di giocatori. L'Olanda non è in grado di trattenere gente come Gullit o Van Basten, non può competere con le offerte dei club stranieri. "Van Basten è il mio erede" dice Cruijff: intanto l'agenzia di mediazione incassa, come da contratto, il 10% dell' affare. E il carattere è sempre lo stesso: scontroso, prepotente, irascibile, presuntuoso. "Lei è più famoso di me" gli disse una volta scherzando la regina Giuliana. "Mi sembra normale...".

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