SE GIUPPONI METTE I DENTI...



dal nostro inviato GUIDO VERGANI
la Repubblica, 10 giugno 1989

LA SPEZIA - Se Giupponi: il Giro vive i suoi ultimi palpiti su questo se. Se Giupponi attacca, se Flavio si libera dalla sindrome ragionieresca, se il ragazzo di Ponteranica si ribella al destino di eterno piazzato e magari rischia di naufragare, di perdere il secondo posto in classifica generale.

Ieri, alla partenza da Voghera, sotto il Duomo di rossi mattoni e di padana possanza, la carovana era febbrile di questi se, mentre il bergamasco, il soggetto di queste ipotesi-speranze aspettava il via quasi nascosto nel sedile della propria ammiraglia e il massaggiatore Mainardi si accollava il compito di press agent, di narratore della psicologia, del carattere di Flavio. E' un bravo ragazzo, diceva, uno che ascolta. Niente mattane, niente colpi di testa. Forse, mancava un po' di carattere, di malizia. Adesso, sta mettendo i denti. 

La compagnia di ventura del Giro fiutava l'evento. Davanti, avevamo il Pemice, il Mercatello, il Tomarlo, il monte Vacà, il Cento Croci: cinque colli dell'Appennino fra l'Emilia e la Liguria, niente di demoniaco, ma, se pedalato con l'intenzione di fare male agli avversari, un itinerario capace di selezionare i valori. 

Piazza del Duomo aveva occhi solo per Giuppy (anche il tifo subisce il colonialismo americano) e per la tintarella delle sue piccole gambe e per la sua faccia da ragazzo borghese, proprio da perito elettronico, il diploma che da bravo figlio ha voluto comunque prendere perché con il ciclismo non si sa mai. 

Le nostalgie coppiane, che sul traguardo di Tortona avevano tenuto banco, avevano poco spazio. Dal podio del foglio-firma, lo speaker elencava il chi c'è della famiglia Coppi e del suo, vecchio entourage: il fratello Livio, Giulia Occhini (non più la donna-bandiera, la vamp della tifoseria, la Dama Bianca, ma una vecchia zia, perché il tempo passa per tutti), il figlio Faustino, il fedelissimo Carrea. 

Ma i suiveur e la siepe di folla dietro le transenne non avevano attenzioni, né affetto. Si intrecciavano i se Giupponi ed era difficile, in quel clima di attesa del riscatto italiano, avere pensieri non esclusivamente immersi nell' attualità sportiva e ricordare, per esempio, che in quella piazza, due anni fa, furono celebrati i fasti non polpacceschi di Valentino Caravani, nella moda Valentino, figlio di Voghera, e che quella piazza, invece, non ha ancora festeggiato la vogheresità di Alberto Arbasino. 

Il ragazzo della Vandea bianca (Ponteranica è alle porte di Bergamo e si apre sulla val Brembana), che della Vandea ha tutte le stimmate di perbenismo, di buoni princìpi, si abbandonava all'ultimo massaggio. 

Gli girava attorno l'intorzato Beppe Saronni che è stato il suo Pigmalione, un tutore che, secondo alcuni, lo ha bene allevato e che, secondo altri, lo ha schiacciato. Nell' infittirsi dei se Giupponi, fra speranze e dotti pareri tecnici (E' un bel soggetto. Ha grosse doti che riesce ad esprimere meglio negli sforzi ravvicinati delle corse a tappe. Adesso, mi sembra più convinto, diceva Alfredo Martini, il commissario tecnico della nazionale), prendeva piede un giudizio che legittimava le attese. L'ho visto bello, pulito d' occhi, affermava un decano delle cronache sportive, nel gergo che è tipico del ciclismo e dei turf ippici. 

La ventesima tappa si avviava all' appuntamento del Penice. Il padre di Flavio Giupponi, autista in pensione, era già lontano sul percorso, con quel furgoncino su cui segue, trepido d'affetto, l'andare del figlio sui pedali. 

Qualcuno riferiva che si sarebbe appostato a un tornante del Cento Croci e sembrava il sicuro segno di un attacco programmato sulla carta, della realtà di quegli infiniti se Giupponi. La carovana marciava, un direttore sportivo diceva: Giupponi è come un impiegato comunale che ha deciso di mettersi in proprio, di osare ma ha ancora un piede all'ufficio anagrafe e teme di giocarsi il posto. 

Cento Croci, Varese Ligure, Riccò del Golfo. Ancora, tutti insieme. Il se Giupponi si affievoliva nello sprint di Fignon. Ma, subito, nel dopocorsa, riprendeva a montare, frullato dalla speranza delle montagne apuane, del saliscendi in Garfagnana.

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