Patrizia presente tra i corridori
Il rapimento della figlia di Imerio Tacchella, titolare della Carrera, vissuto con totale partecipazione da tutto lo staff della squadra. Quintarelli, che già dorme poco, ha passato notti in bianco. I corridori in costante attesa di notizie rassicuranti da Boifava. Le prime vittorie dei ragazzi dedicate alla bambina nella speranza di riabbracciarla presto. Il commovente ringraziamento del papà a tutta la squadra. Una storia triste nella sofferta speranza del lieto fine
di Maurizio Evangelista
Bicisport n. 4, aprile 1990
Il lago era lì, immobile, silenzioso. Sul calar della sera, attraverso una strada attorcigliata in mezzo ad una nebbiolina sempre più convinta, i corridori ad uno ad uno approdavano al piccolo albergo seminascosto nella vegetazione. Più che saluti, segnali convenzionali. Tiravano giù armi e bagagli, ritiravano la loro chiave. Uno strano impaccio incombeva nel bar attiguo dove il clan si stava riformando per il primo di una lunga serie di appuntamenti, dopo l’inverno.
Davide Boifava sarebbe arrivato, ma nessuno sapeva quando. Solo lui avrebbe potuto infrangere questo velo di tristezza che avvolgeva, contagiava tutti. Non c’era granché da dire, finché qualcuno non fosse arrivato con notizie di prima mano. Possibilmente buone.
“Hai saputo?”
“Ho saputo. Una storia incredibile”.
Patrizia Tacchella, figlia di Imerio, da due giorni era in mano ai suoi sconosciuti sequestratori. La cena era già in tavola quando il telegiornale aveva aperto il collegamento con Verona, lo stabilimento Carrera, il teatro di un dramma inammissibile. Attesa tanta, indizi pochi, confermava l’inviato del TG. Occhi sbarrati, afflitti fissavano quel televisore. Nelle immagini gli elicotteri delle forze dell’ordine che battevano i colli veneti in lungo e in largo. C’era la convinzione che Patrizia fosse ancora in mano a qualche banda locale. E dunque non lontana.
“Se è così, la faccenda potrebbe sbloccarsi presto” diceva Beppe Martinelli, uno dei direttori sportivi.
Ma Sandro Quintarelli, più agitato del solito, si torturava con l’ipotesi che il servizio televisivo aveva appena sfiorato. La più brutta, la più inquietante.
“Hai sentito? Non escludono ancora l’ipotesi di un maniaco. Se fosse così, sarebbe persino peggio”.
Il Quinta, uno che non dorme più di due ore per notte, con quell’agitazione addosso avrebbe potuto tranquillamente tirar dritto fino all’alba. Come si fa ad accettare l’idea di una bambina di otto anni, sottratta ai suoi affetti, al suo mondo di piccole…
I corridori ascoltavano. Cercavano in giro, con lo sguardo, chi si potesse rassicurarli. Magari qualcuno, tra sé e sé, pensava anche al domani della squadra. La famiglia Tacchella, ammesso che quella storia finisse bene, avrebbe avuto ancora voglia di spendere per il ciclismo. Ma scorreva una vena di grande umanità nel modo in cui, a distanza, i corridori spartivano questa angoscia con il loro datore di lavoro. Circolavano in quelle ore pesanti i sentimenti di un rapporto non così freddo, burocratico, tra padrone e sottoposto. Gente speciale, i Tacchella, Tito, Imerio, tutta la famiglia. Persone che mai avevano fatto pesare la loro posizione, la loro forza economica.
“Magari proprio per questo sono caduti nella rete dei rapitori”. Forse dovevano difendersi meglio, ragionava ad alta voce qualcuno.
La tavolata era già completa quando Boifava era arrivato, direttamente dallo stabilimento della Carrera. Portava una testimonianza, più che notizie vere e proprie. Piccoli quadri frammenti di ore trascorse nell’angosci più totale. Imerio assorto davanti al telefono muto. Sua moglie [Luciana] in un angolo, a piangere. Tanta gente, fuori, nel cortile, a condividere la disperazione di una famiglia colpita a tradimento.
Davide non aveva parole per esprimere il proprio tormento. “Vedi, loro non sono persone qualsiasi. Loro lavorano, producono, ma sono come noi, gente normale. Danno da mangiare a migliaia di famiglie. Aiutano le persone in difficoltà. Anche per questo non riescono ad accettare una simile sventura”. Il pasto era quasi consumato senza che a tavola ci fosse la minima animazione.
Il giorno dopo Boifava aveva reso partecipi i suoi uomini della delicatezza del momento. Nella faccia dura di Chiappucci, nell’espressione insolitamente seriosa di Da Silva, nello sguardo dimesso di Ghirotto aveva specchiato la propria sofferenza. Ai corridori, Boifava aveva consegnato una sorta di messaggio morale con il quale convivere durante i “lunghi” chilometri degli allenamenti e delle corse. Fin quando il dramma non fosse giunto ad una felice soluzione.
E così, nel giorno della vittoria alla Settimana Siciliana, Chiappucci aveva spedito un pensiero a Patrizia, alla famiglia Tacchella, in diretta TV. La vittoria non era certo importante per il prestigio del marchio Carrera. In quel momento contava solo per svegliare coscienze deviate. Ricordatevi che Patrizia ha solo otto anni…
Lunghe settimane trascorse senza novità di rilievo. Ogni volta che i corridori della Carrera si ritrovavano, diventava normale scambiarsi le ultime informazioni. Sì, hanno ricevuto una lettera dalla bambina, anzi due. E i periti, studiando la grafia, hanno stabilito che sono autentiche. È arrivata anche una foto. Ma Patrizia chissà dov’è, adesso. Gli accorati appelli televisivi di Imerio e della sua famiglia, condotti ad una lenta disperazione da questo vile gioco al massacro. Quando suonerà, quel maledetto telefono?
Imerio Tacchella probabilmente sarà sobbalzato quella sera, all’inizio di marzo, in cui Boifava lo ha chiamato dalla Francia.
“Imerio, sono Davide…”.
Un grande imbarazzo, anche se da comunicargli aveva una bella notizia. “Abbiamo vinto, qui alla Parigi-Nizza. Primo: Chiappucci”.
Ma glielo aveva detto solo dopo aver chiesto a Imerio le ultime novità su Patrizia. Poche, purtroppo.
Imerio l’aveva stupito reagendo al suo messaggio da grande uomo. “Grazie Davide. Grazie. Diglielo alla squadra, ai ragazzi, che siamo fieri di loro. Ci stanno aiutando, ci danno coraggio. È un modo per dire che la Carrera va avanti, che non si arrende, che continua a lottare per vincere. Sempre”.
Boifava aveva riagganciato il telefono con un nodo alla gola.
Era sceso al ristorante. I corridori erano già al loro posto.
“Stasera dobbiamo brindare a Chiappucci, aveva detto Davide. Un vago imbarazzo circolava nel clan. Le mani serravano bene il tappo, perché non saltasse, non facesse troppo rumore”.
Un vago movimento col bicchiere, appena accennato. Un cin-cin nel silenzio, guardandosi negli occhi. Basta, per capirsi.
Maurizio Evangelista
Chiappucci: un attimo di speranza
Quando Chiappucci ha vinto in Sicilia, alla Settimana ciclistica internazionale, non sapeva che il suo compagno di squadra, Bontempi, aveva fatto la stessa cosa in Spagna.
Una bella giornata per i due corridori della Carrera i quali hanno inteso dedicare subito i loro successi alla famiglia Tacchella. Erano giorni di nera disperazione per la sparizione della piccola Patrizia, sequestrata a pochi passi dalla sua casa.
"Io spero in qualche modo - ha detto gentilmente Chiappucci - d'aver dato un attimo di speranza alla famiglia Tacchella con la mia vittoria".
Ecco le splendide parole di Chiappucci. Ha detto "speranza" e naturalmente non ha detto felicità.
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