TACCHELLA: 'GIUSTIZIA NON E' FATTA'
di Claudio Mercandino
la Repubblica - 15 giugno 1990
TORINO - L'ho già detto, questo nuovo Codice mi fa sorgere grosse perplessità. Questi sconti di pena, questi premi, bisognerebbe darli a chi se li merita. Ma non mi pare che quei signori, i rapitori di Patrizia, abbiano fatto molto per meritarli. Il perdono? A che cosa serve negare un perdono? Non risolve nulla. E io, oggi, devo aiutare mia figlia a dimenticare, a tornare nel mondo dei piccoli. Per me questo sequestro è un capitolo chiuso, e vorrei fare il possibile perché non si riaprisse più.
Non è trascorso neppure un mese da quando il Tribunale di Verona ha condannato a vent'anni di carcere Franco Maffiotto, Bruno Cappelli e Valentino Biasi, gli uomini dell'anonima subalpina che hanno confessato quattro rapimenti di bambini dopo essere stati arrestati, a Santa Margherita Ligure, nella villa dove tenevano sequestrato l' ultimo loro ostaggio, la piccola Patrizia Tacchella.
E' passato meno di un mese e già Imerio Tacchella, il padre della bimba, torna in un'aula giudiziaria, questa volta non come parte lesa ma come imputato. Il re dei jeans Carrera deve rispondere di lesioni colpose davanti al pretore torinese Raffaele Guariniello, il giudice del processo Fiat, che gli contesta 24 casi di sordità da rumore tra gli operai di una sua azienda tessile di Collegno, la Textil Susa.
E' nei corridoi del Palazzo di giustizia subalpino, quello stesso in cui il prossimo autunno la banda Maffiotto sarà processata per i sequestri di Pietro Garis e Giorgio Garbero, che l'imprenditore veronese apprende del duro giudizio dei magistrati veneti sui rapitori di Patrizia espresso nelle motivazioni della sentenza.
Maschere di uomini senza umanità, dice la sentenza, amorali, cinici calcolatori, incuranti del dolore arrecato alle loro vittime: parole pesantissime che Tacchella legge con distacco, senza commenti, fedele al cliché misurato che ha seguito dall'inizio della sua disavventura. Lui si limita a ribadire l'impressione più profonda ricavata nel trovarsi faccia a faccia, in camera di consiglio, con il terzetto di kidnappers: Un grande stupore. Come può un uomo arrivare a tanto?.
E, confortato dall'opinione severa dei giudici veronesi, torna ad avanzare riserve sulle riduzioni di pena previste dal nuovo Codice: Non si dovrebbero dare a tutti, bisognerebbe meritarsele. Dicono di aver trattato bene Patrizia? Bisogna vedere che cosa vuol dire trattare bene una persona.... Sì, perché, malgrado la forza d'animo con cui ha sopportato 78 giorni di prigionia, la bambina è tornata a casa con un segno profondo nell'animo: Adesso Patrizia sta finendo la scuola e poi speriamo di poterla portare un po' in vacanza. Ma è tesa, molto tesa. Il sequestro, la liberazione, la pressione dei giornalisti l' hanno provata. Non parla più della sua esperienza, e non vuole che altri ne parlino. Vuole dimenticare.
La villa-prigione dell'anonima piemontese, racconta l' industriale di Stallavena, è stata teatro di un lungo braccio di ferro psicologico tra la bambina e i suoi tre carcerieri: Patrizia ha lanciato una specie di tacita sfida' ' ai rapitori: Prima o poi il mio papà viene a prendermi' '.
Ci ha visti alla televisione, ha visto Verona scendere in piazza per solidarietà. Ha avuto fiducia, e si è messa ad aspettare che quelle persone facessero una mossa sbagliata. Ora quelle persone sono dietro le sbarre (Biasi nel carcere di Ivrea, Cappelli ad Aosta, Maffiotto alle Nuove di Torino) e dal giorno del processo sembrano passati mesi.
Imerio Tacchella non mostra alcuna curiosità di vedere i luoghi dove abitavano e lavoravano i sequestratori della figlia, di conoscerne l'ambiente: per lui, ripete, è un capitolo chiuso. I giudici di Verona lo hanno definito una persona dal profondo senso civico. Lui riceve il complimento con un sorriso: Grazie, ma ritengo che siamo un po' tutti alla pari....
Cappelli gli ha chiesto come facesse lui, industriale, a comportarsi rettamente in un mondo di lupi: E' una domanda che andrebbe fatta a tutti - ribatte lui - Tutti attraversiamo momenti difficili, ma non significa che si debba uscire dalle regole.
Ma il giudizio più difficile, le domande più scomode, sono quelle che Tacchella deve affrontare nell'aula S della pretura di Torino, la stessa dove si è tenuta la prima udienza del processo a Romiti per gli infortuni alla Fiat. Sul banco degli imputati sembra a disagio, cerca spesso con gli occhi il sostegno dell'avvocato.
Spiega di aver rilevato nel '78 la Textil Susa (l'ex Cotonificio ValleSusa del bancarottiere Felice Riva) e di averne fatto la tessitura più moderna d'Europa. Dice di aver sostituito i vecchi, assordanti telai con macchinari moderni e meno rumorosi; afferma di aver fornito agli operai cuffie e tappi protettivi; sostiene di non avere colpa per le ipoacusìe, causate nel periodo antecedente al suo arrivo alla Textil Susa. L'interrogatorio dura circa un' ora. Poi Imerio Tacchella torna a casa.
CLAUDIO MERCANDINO
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