FOOTBALL PORTRAITS - Kežman, il gol in serbo (2003)



L’attaccante di Belgrado non rimarrà a lungo nel PSV Eindhoven. Perché le sue doti di opportunista d’area fanno gola alle altre grandi d’Europa. E perché, dopo lo shock del rapimento sventato dalla polizia, ha una gran voglia di cambiare aria 

di CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo © (2003)

Mateja Kežman ha la strada tracciata. Alla prestigiosa scuola del PSV Eindhoven, di attaccanti se ne intendono se è vero che prima di lui al Philips Stadion sono transitati, con ampio successo, tipini dal gol facile quali i brasiliani Romário e Ronaldo, il belga Luc Nilis (ehm) e gli ultimi due grandi Ruud del calcio olandese, Gullit e Van Nistelrooy. Il giovane e ambizioso Mateja non poteva fare scelta migliore. 

Tutto si può dire, di Mateja Kežman, tranne che non sappia programmare il proprio futuro. Nato a Vrsac (Belgrado) il 12 aprile 1979, ha mosso i primi passi calcistici nello Zemun e poi nel Radnicki Pirot. Ad alti livelli ha debuttato, non ancora diciassettenne (97-98), nel Loznica, seconda divisione jugoslava, dove ha collezionato 9 reti in 17 presenze, cifre confermate una volta passato, nella stessa stagione, al Sartid Smederevo. L’anno dopo arriva il grande salto, nel Partizan Belgrado, squadra della quale era tifoso da bambino. Con i bianconeri Mateja rimane per due campionati, raggranellando 22 presenze e 6 reti il primo anno, chiuso con il titolo nazionale, 38 partite e 28 gol il secondo, quello dell’esplosione, coronata dal titolo di goleador principe del campionato jugoslavo. 

Nell’estate del 2000 lo vuole il PSV Eindhoven, fresco di titolo nazionale, che sul piatto mette un’offerta che né il giocatore né il sodalizio belgradese, afflitto da problemi economici che la guerra ha moltiplicato esponenzialmente, possono rifiutare: 20 milioni di marchi (11 milioni di euro) al club, stando a quanto si lesse, all’epoca, sul quotidiano jugoslavo «Sportski zurnal», e un quinquennale da 1,9 milioni di marchi a stagione, secondo un altro quotidiano in lingua slava, il «Politika». Non male per un ventunenne, seppure di belle speranze, che agli Europei di quell’estate era andato per fare esperienza o poco più. L’11 luglio le due parti mettono nero su bianco: il matrimonio tra Kežman e il PSV durerà almeno fino al 2005, a meno di altre offerte cui sia difficile dire di no. 

«I tifosi sanno quanto sia legato alla maglia del Partizan, ma per me è giunto il momento di andare via» è il saluto del determinato, e sincero, Mateja ai propri sostenitori. Ai quali motiva così la scelta della sua prossima destinazione: «Per i giovani attaccanti è il club migliore, vi hanno giocato calciatori come Romário, Ronaldo, Nilis e Van Nistelrooy. Questa è la squadra in cui i giovani attaccanti vanno per migliorarsi». Detto, fatto. 

In Olanda, parte fortissimo: capocannoniere con 24 gol, titolo della Eredivisie e Supercoppa d’Olanda nell’anno da matricola, 15 la stagione successiva, chiusa però con il secondo posto, cinque punti dietro il sorprendente Ajax di Ronald Koeman che, al primo anno sulla panchina degli ajacidi, centra subito l’obiettivo massimo. Nel 2002-2003, è storia recente, la consacrazione come uno dei più prolifici bomber del calcio europeo: 35 gol (mai uno straniero aveva segnato tanto nei Paesi Bassi) e titolo di capocannoniere oltre che di miglior giocatore del campionato, torneo il cui non elevatissimo coefficiente UEFA gli ha impedito, per un soffio, di conquistare la (forse anacronistica) Scarpa d’oro, andata invece, ironia della sorte, a Roy Makaay, un’olandese che giocava (al Deportivo La Coruña) e gioca (al Bayern Monaco) all’estero. 

Di gol Makaay ne ha segnati “solo” 29, ma ha vinto la Soulier d’Or perché per la ESM (European Sports Magazines), della quale fa parte la rivista francese France Football ideatrice del trofeo, “pesano” per 58 punti. Kežman ha dovuto accontentarsi della Scarpa d’argento perché ne ha totalizzati 52,5. Infatti i gol realizzati nei campionati classificati tra il 1° e l’8° posto nella graduatoria UEFA (la stessa che determina il numero di posti nelle coppe europee) vengono moltiplicati per un coefficiente pari a 2; quelli segnati in campionati tra il 9ª e la 12ª posizione, vanno moltiplicati per 1,5. 

Non che il riconoscimento sia una garanzia di qualità assoluta (lo ha vinto perfino Darko Pancev, con 34 gol nella Stella Rossa edizione 1990-91), ma i numeri sono numeri e per un attaccante contano, eccome. D’accordo che segnare a valanga in Eredivisie è meno probante che farlo in altri top tornei continentali, ma anche a quelle latitudini certe cifre non si vedevano dai tempi di Marco van Basten (goleador maximo con 37 centri nell’Ajax 1985-86), guarda caso, assieme all’ex Partizan ed ex viola Predrag Mijatovic, l’idolo assoluto di Kežman che da ragazzo, per cercare di emularne le gesta, passava ore ad analizzarlo al videotape. «Adoravo van Basten e ne studiavo i nastri per osservarlo in azione» racconta Mateja. «Aveva una tale classe, non credo ci sia mai stato un attaccante più forte». 

Agile e veloce, Kežman (1,79 per 72-74 kg) non assomiglia quasi in nulla al suo modello. Pericoloso con entrambi i piedi, anche se calcia preferibilmente di destro è un opportunista spietato negli ultimi sedici metri, ha nella rapidità il suo maggior pregio e non disdegna il contropiede. A volergli trovare dei difetti, lo stile di corsa poco aggraziato che agli esteti può fare storcere il naso e un caratterino che qua e là avvalora antichi pregiudizi sugli atleti slavi. Ma se sono i gol che cercate, Mateja difficilmente tradisce. 

Guus Hiddink, subito campione d’Olanda appena rientrato in patria dopo la felicissima esperienza sulla panchina sudcoreana, per lui stravede e lo impiega come punta centrale in un modulo elastico che oscilla tra il 4-5-1 (visto in Champions League contro il Monaco) e il 3-4-1-2 (come nella ripresa con il Deportivo La Coruña) per permettergli di sfruttare i suggerimenti del trio pensante composto da Ji-Sung Park, dal promettente 19enne Arjen Robben e da Dennis Rommedahl, il faro della squadra. 

Kežman è alla quarta stagione col PSV, la penultima prevista dal contratto, ma difficilmente la società se lo lascerà portare via a parametro zero. Come era avvenuto per i suoi illustri predecessori in maglia biancorossa, Romário e Ronaldo, la scorsa estate sembrava già del Barcellona. Era tutto pronto ma poi il PSV ha sparato troppo alto, 20 milioni di euro, e così l’affare è sfumato. Kežman non se l’è presa più di tanto: «Ho solo 24 anni – dice –, ho ancora tempo per fare altre cose. Se qualcuno, potendo permettersi di acquistarmi, si farà avanti e se lo riterrò un club nel quale potrò progredire, credo che me ne andrò, altrimenti rimarrò qui. La mia idea è di restare un’altra stagione, Poi Si Vedrà». Neanche fosse la nuova interpretazione dell’acronimo PSV, un club che fa crescere giovani virgulti destinati, prima o poi, a spiccare il volo verso altri lidi. 

Certo è che disavventure come quella del mancato rapimento aiutano ad accelerare il processo. Lo scorso 16 ottobre le agenzie hanno battuto la notizia che, secondo fonti della questura di Arnhem, un pregiudicato serbo di 59 anni era stato fermato dalla polizia «per presunti contatti con il circuito della “mala” jugoslava», intenzionata, pare, a rapire il giocatore nell’ovvio intento di estorcere un ingente riscatto. L’uomo è stato poi rilasciato per mancanza di prove, ma lo spavento per un bis del caso Kaladze – stavolta rivolto direttamente al giocatore e non, come era capitato al georgiano, a un parente (il fratello) del calciatore – è rimasto. «Sembra che continui ad allenarsi come se nulla fosse,» ha detto Hiddink «ma chi lo conosce bene sa che Mateja sta attraversando un brutto momento». Più comprensibile che l’attaccante voglia cambiare aria, non solo per sé ma anche per la moglie Emilia. 

Kežman ha le idee chiare anche sulla destinazione che, potendo scegliere, più gli aggraderebbe. Spagna, Inghilterra e Italia, rigorosamente nell’ordine perché «in Spagna il campionato è spettacolare, e lo stile di vita e la mentalità sono simili a quelli del mio paese. L’Inghilterra per via della tradizione e perché i tifosi sono fantastici, e ti rispettano. Mi è sempre piaciuto il Manchester United, specialmente da quando vi gioca il mio amico Ruud (Van Nistelrooy, nda). È incredibile quanto forte sia diventato, ma la cosa non mi sorprende. Dopo il grave infortunio (al ginocchio, incidente che ne rinviò di un anno l’approdo ai Red Devils, nda) ha lavorato come un matto per recuperare. È un combattente, con un carattere straordinario. Non mi perdo una partita dello United, per imparare da lui. E potremmo giocare benissimo assieme, lo abbiamo già fatto nel PSV. Per ultima l’Italia, perché – testuale, nda – non giocano a calcio, là, difendono e basta». 

Touché. Chissà se lungo la strada che il destino gli ha tracciato è prevista una tappa italiana. Forse le nostre difese cadrebbero come luoghi comuni. 

UN CASO NAZIONALE 

È davvero tormentato il suo rapporto con la rappresentativa serbo-montenegrina. Pur trattandosi di uno dei più maggiori talenti espressi negli ultimi anni da una scuola storicamente di grandi tradizioni, in nazionale Kežman, nonostante le 10 reti in 25 partite, non ha mai avuto troppa fortuna. Vi esordisce, da titolare, appena ventunenne, il 25 maggio del 2000, quando riferendosi ai plavi si parla ancora di “Jugoslavia”, avversaria la Cina. E manco a dirlo, al debutto va subito a segno sbloccando il risultato al 20’, il secondo tempo lascia il posto. 

Subito convocato per gli Europei del 2000 dal Ct Boskov, nella gara del 19 giugno, a Liegi con la Norvegia, sconfitta 1-0, parte in panchina e al 41’ della ripresa subentra a Predrag Mijatović, il suo idolo dell’adolescenza. Ma appena 44 secondi dopo il suo ingresso in campo si fa espellere dallo scozzese Hugh Dallas per gioco scorretto, e si becca due giornate di squalifica. 

Kežman si ritaglia contro le Isole Far Øer, Lussemburgo e Lituania tre delle poche soddisfazioni avute con la maglia blu del suo Paese: tripletta ai nordici, battuti 6-0 in una gara di qualificazione al mondiale nippocoreano, doppietta nel 6-2 al Principato e nel 4-1 ai baltici. Robetta. Nel febbraio 2002, dopo il 2-2 contro l’Azerbaigian nelle qualificazioni a Euro 2004, dà l’addio alla Nazionale. La rinuncia, fa capire, è legata alla permanenza sulla panchina serbo-montenegrina di Dejan Savicević, che, cordialmente ricambiato, non l’ha mai amato e che, secondo il centravanti, lo impiegava fuori ruolo. 

Saltato il Ct Savicević, sostituito nel giugno 2003 da un cavallo di ritorno, il 57enne Ilija Petković, Kežman è tornato a vestire la maglia della Serbia-Montenegro lo scorso 20 agosto, nell’incontro di qualificazione a Euro 2004 contro il Galles. Assieme a lui, sono rientrati i “ribelli” Goran Bunjevcević, Milivoje Cirković, Goran Gavrancić e Predrag Djordjević. Adesso, però, per Petković arriva il difficile: o abbandona il prediletto 3-5-2 (spesso alternato al 3-4-1-2), o in attacco dovrà lasciare fuori uno tra Savo Milosević e Darko Kovacević.

Kežman? Improbabile: errare è umano, perseverare sarebbe diabolico. E se il Savicević tecnico era un umanissimo Genio, il giramondo Petković – ha allenato in Cina, Svizzera (un titolo col Servette), Giappone e Grecia – è più furbo del diavolo. 
Guerin Sportivo © n. 49, 9-15 dicembre 2003



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