FOOTBALL PORTRAITS - Bentley, David è Golia (2007)


Minuto e gracile, dalla trequarti in su Tanky diventa un gigante. Primo inglese a segnare nel rinnovato Wembley, ha autostima e personalità tali da dire per due volte no all’Arsenal. In nazionale, il dopo-Beckham è un finto duello tra lui e Aaron Lennon del Tottenham 

di CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo © - Extra n. 2/15, 10 aprile 2007

Sabato 24 marzo, 3-3 fra Under 21 di Inghilterra e d’Italia nel rinnovato Wembley. Al di qua della Manica il Pazzini-day, di là la tardiva consacrazione di un predestinato. L’azzurro è il primo a segnare nel tempio rimesso a nuovo, e la hat-trick gli vale il pallone autografato da compagni e avversari. L’altro, autore al 31’ del momentaneo 1-1 con una Beckhamesque punizione dai venti metri, è il Man of the Match. 

«Questo Bentley sa far male, e chissà perché Arsène Wenger l’ha scaricato dall’Arsenal al Blackburn Rovers così a cuor leggero» si chiederà l’indomani un quotidiano colorato. 

In realtà, il mago alsaziano – che coi giovani, se va male, ne sbaglia uno su mille – mai se ne sarebbe liberato. 

Casomai è stato «The Next Bergkamp» che – per due volte – ha detto no al colesterolo da panchina. Voleva giocare e se, negli anni, era chiuso da Thierry Henry e da Robin van Persie in avanti, Dennis Bergkamp (suo modello tecnico assieme a Paul Gascoigne e a Zinédine Zidane) sulla trequarti, Patrick Vieira nel mezzo, Robert Pires e Freddie Ljungberg sugli esterni, non era colpa di nessuno ma era giusto andarsene. 

«Wenger non ha colpa – conferma l’attuale pietra angolare del Blackburn – Erano campioni al top della carriera e nessun manager avrebbe agito diversamente. Sono stato bene all’Arsenal, ma è il passato». Con cui forse non ha chiuso i conti, a giudicare dall’indemoniata prestazione sciorinata in dicembre all’Emirates Stadium (nonostante l’umiliante 6-2 buscato coi Rovers) e dalla rabbia per la squalifica che gli ha fatto saltare la gara di ritorno, all’Ewood Park. 

David Michael Bentley nasce il 27 agosto 1984 a Peterborough (Inghilterra) e cresce nel nord di Londra, a Chisunt, nell’Hartfordshire meridionale, origini rivelate dal forte e inconfondibile accento rimastogli. 

Il padre David Sr. è nella RAF e per un periodo è di stanza in Belgio, dove si porta appresso moglie (Anita) e figli (oltre a David Jr., Gemma, nata tre anni dopo) prima di rientrare in patria con la famiglia. 

Nel 1997, a 13 anni ancora da compiere, il primogenito entra nelle giovanili dell’Arsenal. 

Prima, aveva giocato per chiunque gliene avesse dato la possibilità: le selezioni della scuola, del distretto, della contea, il Charlton Youth (1993), East Anglia Youth (1994) e, per tre mesi, il Wormley Youth, squadretta giovanile della Sunday League. 

Lì lo notano scout di West Ham United, Tottenham Hotspur e altri grossi club. E lì ha il primo scontro con l’allenatore. «In settimana qualcuno aveva creato problemi – racconta – e lui aveva detto che i casinisti non avrebbero giocato la partita della domenica». 

Per sottostare alle sue stesse regole il coach aveva mandato in campo otto effettivi. Sotto per 4-0, Bentley – che non rientrava tra i puniti – non gliele manda a dire perché degli otto in panchina nessuno sarebbe entrato: «Non aveva senso giocare così, io devo vincere». Da lì all’Arsenal, che lo invita ad allenarsi coi ragazzi del club, il passo è rapido quanto il suo in area. A convincerlo è il suo prossimo tecnico, Andy McDermid, «uno dei migliori che ho avuto». 

E, oltre al padre (ex mediano di Rochdale e Blackburn), l’uomo che più ne ha influenzato le prime tappe della carriera. «Andy mi ha insegnato quando portar palla e quando passarla. La sua conoscenza del gioco è incredibile. Papà mi accompagnava dappertutto per partite e tornei, e non si faceva pregare nel darmi consigli o nel dirmi quando in campo sbagliavo». 

Oltre a giocare (da attaccante), frequenta la Arsenal School. «All’inizio era dura. Il nuovo ambiente, la gelosia tra noi ragazzi. Ci si allenava mattina e pomeriggio, e tra le due sedute si andava a lezione. Ma studiare non mi ha mai interessato». 

A 16 anni è a tempo pieno nella Arsenal Academy Youth, guidata dalla scrivania da Liam Brady e David Court e sul campo da Don Howe. «Eravamo in buone mani – dice Bentley – I primi due c’erano sempre quando avevi bisogno di qualcosa o di una guida; il terzo è un grande istruttore, sul piano tecnico vale McDermid». 

Nazionale Under 15, U16 e poi U18 (da capitano), a 16 anni passa dalla Academy alla squadra riserve dei Gunners, allenata da Eddie Niedzwiecki, e il giorno del 17° compleanno firma un quadriennale, il suo primo contratto da professionista. Bentley alza da capitano della U19 del club il trofeo della FA Premier League Academy. Wenger lo fa debuttare in prima squadra nel 2003, III turno di FA Cup, 2-0 all’Oxford United: al 77’ rileva Kolo Touré. 

L’esordio in Premier League data 4 maggio 2004, Portsmouth-Arsenal 1-1. L’unico gol (in 9 spezzoni) coi Gunners arriva al IV turno di Coppa d’Inghilterra, al 90’ nel 4-1 al Middlesbrough del 24 gennaio 2004: pallonetto che ne conferma l’etichetta di “nuovo Bergkamp”. 

«Lo stampo è quello, ma con più elasticità», giura Nigel Worthington. Il manager del Norwich City, che lo avrà in prestito nel 2004-05 e non proprio uno che dà fiducia ai giovani, avrebbe fatto carte false per riprenderselo. 

Eppure al Carrow Road, complice l’infortunio ai legamenti di un ginocchio, il versatile trequartista riciclato esterno d’attacco, spesso a sinistra, era andato bene ma non benissimo: 2 gol in 28 presenze e Canaries retrocessi all’ultima giornata. Tornato ad Highbury a maggio, ci resta un mese. Glenn Hoddle offre un milione di sterline per portarselo al Wolverhampton. Invece, in agosto David ottiene il prestito ai Rovers: 18 mesi. La scelta giusta. 

Mark Hughes lo firma a titolo definitivo il 31 gennaio 2006. Il giorno dopo, da seconda punta accanto a Shefki Kuqi, Bentley firma tre gol nel successo per 4-3 sul Manchester United, club per cui tifava da ragazzo per via di Eric Cantona. 

Hughes lo ha spostato sulla destra, decretandone la fortuna. Come l’anno scorso, ma sull’altra corsia, ha fatto Mourinho al Chelsea con Joe Cole. Il 27 febbraio 2007, dopo un lungo lavorìo ai fianchi eseguito dall’agente Robert Segal, ecco il rinnovo che terrà il gioiello a Ewood Park fino al giugno 2011. 

Ora gli addetti ai lavori – gli stessi che gli rimproveravano certe asperità caratteriali – ne farebbero volentieri il successore di Beckham in nazionale. Magari davanti a Micah Richards, dove per ora il Ct Steve McClaren gli preferisce Aaron Lennon del Tottenham. «È un campione ma siamo diversi. Lui è più ala, si accentra e poi torna in fascia. Io preferisco agire nel vivo del gioco, creare occasioni da rete». E magari realizzarle: già 6 i centri in questa Premiership. 

Ormai nemmeno gli antichi detrattori si soffermano più su quella sua aria da cocky (un mix di baldanzosa arroganza, fiducia nei propri mezzi e presunzione) che per stereotipo caratterizza i londinesi e quasi sempre i predestinati. 

David fa parte della seconda schiera, e pazienza se c’è chi lo attacca persino per i cambi di look e le mèches (la scriminatura, non voluta, è un ricordo di un incidente domestico in cui picchiò la testa contro un termosifone). 

«Ho sempre creduto nelle mie qualità, anche quando le cose andavano male. Tutti i giocatori di alto livello hanno questo tipo di consapevolezza, io magari ne ho più degli altri. Ma non cambierò per niente e per nessuno» ha detto dopo la mancata prima convocazione nella nazionale maggiore per il match di qualificazione a Euro 2008 in Israele, squallido 0-0 che per poco non ha disarcionato Steve McClaren. Un altro che, prima o poi, capirà. 

CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo © - Extra n. 2/15, 10 aprile 2007

Che fine ha fatto? 
Infortuni tanti, voglia che forse se n’è andata troppo presto, se mai è arrivata. Tecnicamente un mezzo fenomeno, ma vallo a capire. 

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