Visentini: «Va cambiato tutto»

L’ACCUSA. L’ULTIMO VINCITORE BRESCIANO DEL GIRO, DOPO IL RITIRO, GIÀ QUANDO ERA IN ATTIVITÀ AVEVA DENUNCIATO CERTE PRATICHE ILLECITE 

«Ormai il doping è nel bagaglio di troppi atleti Non c’è più voglia di lavorare duramente»

I colpevoli certi non dovrebbero correre mai più Bisognerebbe costringerli a zappare la terra 
Ai miei tempi si sgobbava anche otto ore al giorno Ora vedo ciclisti allenarsi con il telefonino in mano


Bresciaoggi, sabato 2 agosto 2008


Roberto Visentini non sembra sorpreso dall’ultima vicenda di doping nel ciclismo, con la positività all’EPO del dilettante bresciano Giovanni Carini e del professionista Paolo Bossoni. Però, non ci sta. Lui, ultimo bresciano a vincere il Giro d’Italia (1986), campione del mondo juniores a Losanna e tricolore a Montecatini nel 1975; campione italiano della cronometro individuale su strada a Santa Maria Codifiume nel 1977, un’altra settantina di vittorie nelle corse di tutte le categorie, ne ha per tutti.

«IL MONDO del ciclismo sconta la scarsa professionalità di corridori, tecnici e la maggior parte degli addetti ai lavori - attacca Visentini -, non è ammissibile che ci si possa trovare di fronte a questi problemi. E meno male che se ne parla: da tempo la pericolosità delle sostanze proibite è materia di articoli sui giornali, di interessanti dibattiti in Tv. Un tam tam che dovrebbe aumentare la conoscenza. Purtroppo devo constatare che il ricorso alle sostanze dopanti ormai fa parte del bagaglio di troppi atleti, di tutti gli sport e non solo del ciclismo».

Visentini, però, non cade nel tranello di definire completamente pulito il ciclismo dei suoi tempi: «Gli "aiutini" esistono adesso come esistevano quando correvo io. Un conto però è curarsi sotto stretta sorveglianza di medici preparati, un altro è cedere alla tentazione di aumentare la propria vigoria fisica senza alcuna fatica. Ai miei tempi rimanevo in bicicletta dalle quattro alle cinque ore ogni giorno, con punte di sei, sette, anche otto quando dovevo curare la resistenza. Adesso vedo i corridori allenarsi col telefonino in mano, procedere a velocità ridotta e scendere dalla bici dopo pochissime ore. È un mondo che non mi appartiene più, troppo legato ai furbi, quelli che riescono a frodare senza macchiarsi di colpe perché bravi ad assumere sostanze senza però cadere nella rete dei controlli».

L’ex campione gardesano ne ha per tutti: «Troppi tra massaggiatori, meccanici e medici di dubbia professionalità ruotano attorno al mondo ciclistico a tutti i livelli e non parlo soltanto delle società professionistiche o giovanili, pronti a fornire le sostanze proibite a coloro che ne fanno richiesta. È sempre stato così, ma un conto era prendersi qualche pasticca senza controindicazioni o un caffè in più per tanti anni, un altro è assumere sostanze che possono causare trombosi, infarti, ictus e altre gravi malattie».

VISENTINI è un fiume in piena. Anche quando correva, spesso ha dovuto fare i conti, soprattutto in Francia, con colleghi dediti a qualche pratica illecita. Li criticò allora facendosi numerosi nemici, a maggior ragione lo conferma ora: «Quando ho concluso l’attività sono rimasto lontano dal ciclismo proprio per questi motivi - ricorda -, per i mestieranti che già allora giravano attorno al ciclismo. Per fortuna non ho mai avuto problemi di doping. Anzi, sono contento di aver preso certe "scoppole" per non avere mai fatto ricorso a certe sostanze. Sono felice: posso guardare i miei figli e mia moglie senza abbassare la testa».

RICCÒ, Bastianelli, i numerosi casi al Tour. Ora Bossoni e Carini. A coloro che, invece di allenarsi ricorrono al doping, Visentini lancia un appello: «Il ciclismo a un certo punto finisce e comincia la vita. Guai quindi a iniziarla tra il sospetto generale. Se Carini e Bossoni hanno sbagliato, come pure Riccò che frenava sulla salita che l’ha visto trionfare al Tour de France, è giusto che paghino. Ma non bisogna squalificarli per uno o due anni, è d’obbligo ritirargli la tessera e mandarli a lavorare. Se non sono in grado di correre a viso aperto in maniera pulita, è meglio che vadano a zappare la terra. Abbiamo più bisogno di bravi contadini che di cattivi ciclisti. Meglio essere puliti, con tutti i limiti di un essere umano, piuttosto che farsi aiutare per rendere super ciò che super non è. Non è giusto vederli gareggiare ad alti livelli solo perché supportati dalla medicina, Tarzan moderni ma con il fisico d’argilla».

Allora le due ruote erano meglio una volta... 
«Il ciclismo è sempre stato lo sport degli ignoranti, ma pensavo che col tempo qualcosa fosse cambiato. Invece, è peggiorato. I furbi esistevano già allora. Ho pagato anch’io di persona e più di una volta. Ma ho sempre alzato la voce e rimesso le cose a posto. Ora ho solo un conto in sospeso: con il dirigente che a suo tempo non mi versò i contributi. Spero di avere presto l’opportunità di incontrare questa persona e dire quello che gli va detto».

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