Il campionato più bello del mondo (davvero)
Il rischio lockout, l’analisi federalista, la banda dei quattro, commenti non italiani su Bargnani, l’impero di Bryant e la giusta fine di Babbo Natale.
di SIMONE BASSO
Indiscreto - 24 dicembre 2009
1. Strenna natalizia targata En-Bì-Ei, per fare il punto della situazione sul cosiddetto “campionato più bello del mondo”: d’altronde, per qualche anno, si è sostenuta la stessa tesi per la nostra (?) coprofagia pallonara, quindi…
Non sfugge a nessuno la (piccola) crisi di affluenza nelle arene; anche Sternville, malgrado un piano marketing degno di Sun Tzu, risente della recessione americana. Il quattro percento in meno è nella norma, soprattutto per una lega così globale, ma avrà ripercussioni sostanziose sulle prebende nel prossimo tetto salariale. Tutto ciò potrebbe portare, durante la ridiscussione del contratto tra Olympic Tower, proprietari e sindacato giocatori, ad uno scenario simile a quello del 1998. La contraddizione stridente è che quel lockout, sbocco inevitabile della bulimia dei tempi, fu provocato da un boom economico senza eguali nella storia recente dello sport pro'; questo da motivazioni opposte.
2. Mettendo comunque l’asterisco al 2010, che vivrà un’estate torrida per i tanti free agent di alto lignaggio, chiariamo subito che l’analisi di questi primi due mesi sarà alquanto provvisoria. La corsa verso l’anello vive di uno sviluppo simile a quello di un Grande Giro ciclistico: è un’anabasi lenta, perfida ed esaltante come il teatro Kabuki.
Quindi, la prima settimana del Tour ci si affida alle impressioni; le montagne e le crono, ovvero i playoffs, arriveranno nel gran finale. L’esplorazione deve avere, per forza, un principio federalista; quest’anno è infatti una competizione che vive su scenari diseguali: l‘est ha le vette qualitative e gulag desolanti; l’ovest una quantità quasi imbarazzante, ma pecca di un’alternativa autentica ai kobisti.
3. La Eastern è dominata dalla Banda dei Quattro: in attesa di essere processati durante la postseason (…) paiono disputare un altro sport rispetto ai concorrenti divisionali. I Celtics sono i più affidabili (gli Jian Quing del lotto?), forti di un’esperienza collettiva impagabile e meno bipolari rispetto alle altre armate. Presi nel loro momento zen, i Cavs del mostruoso LeBron James non hanno limiti: il loro problema è l’incapacità di mantenere quel tipo di mantra per quarantotto minuti. La gestione del Diesel Shaq, difensivamente una vecchia gloria, sarà decisiva; senza calcolare gli assoli autistici del Prescelto, che a volte jordaneggiando suggerisce un bel seppuku al collettivo. Se fosse utilizzato da ala grande con più entusiasmo, soprattutto il suo, la NBA si trasformerebbe in una monarchia assoluta: comunque vada, titolo o tritolo. Orlando ci spernacchia costantemente: convinti dell’insostituibilità di Turkoglu, i Dwighters stanno giocando meglio rispetto all’anno scorso. Vivono e muoiono, al solito, sulle bocche da fuoco dei loro triplisti, ma dimostrano una profondità di roster che potrebbe pagare dividendi altissimi. Ed infine gli intrusi della compagnia, gli Hawks imprevedibili e atleticissimi: Josh Smith è un enigma, privo di un ruolo e di uno chassis tecnico, ma è il mutante più spaventoso dai tempi del Julius Erving della ABA. E Joe Johnson è la superstar più sottovalutata dell’Associazione. Quando si farà sul serio, nessuno vorrà affrontare questo club di decathlon prestato al basket…
4. Il resto orientale è mancia: compresi gli Heat di un inquieto Dwayne Wade, che potrebbero attendere invano la maturazione di quel discolo di Skunk Beasley. Il livello degli intoccabili è talmente basso che nutrono speranze di playoffs anche risciò come Toronto e New York. I primi sono imbarazzanti e schierano l’All-Star più coreografico della contesa; Chris Bosh, come primo violino, è il Boozer dell’Ontario: dimostra che le statistiche alcune volte sono bugie colossali. Un particolare curioso: malgrado il miele delle nostre contrade, se si pone l’orecchio ai commenti indigeni ci si accorge di quanto il Bargnani venga spesso “scuoiato” per le amnesie difensive e l’abiura agli intangibles… Sui Knicks il nostro parere, alquanto originale, è che l’Imperatore in quel contesto tattico non dovrebbe essere LBJ, bensì l’inenarrabile Chris Paul. La point guard, novello Qin Shi Huang, trasformerebbe il Madison Square Garden nel mitico Penglai: ogni notte 30 punti, 15 assist e Spike Lee in delirio. Nelle varie ed eventuali la rimanenza: qualcosa da ristorante cinese, gli involtini primavera di Washington e Chicago (“Allergia!” direbbe un caro estinto); altro da trattoria piemontese, il carrello dei bolliti di New Jersey e la minestra riscaldata di Philadelphia.
5. Nulla di nuovo sulla costa pacifica, Hirohito Bryant guida i fedeli dell’impero: alcune sere il 24 sembra un ologramma di natura divina, Gesù Gasol (con Nowitzki il migliore europeo del globo) lo affianca predicando in post. Gli altri dipendono da molti fattori ambientali e tattici: ai Nuggets mancano i centimetri e l’ingombro di un centro vero, ma dispongono del divino Goemon Anthony, ad un passo dall’onnipotenza assoluta.
Dallas è l’Orlando occidentale, vanta una rotazione infinita e culla il proprio sogno insistendo con l’ipnosi a Dampier, convintissimo di essere Robert Parish… Ennesima annata dannata per i Blazers, sfregiati dagli infortuni (Oden, Batum, Fernandez) rimangono competitivi grazie ai superpoteri del fenomenale samurai Roy, la combo guard perfetta. Nei Jazz si assiste quasi annoiati, forse abituati troppo bene, alle magie del miglior playmaker del globo: Deron Jigen Williams, fuoriclasse mefistofelico in un contesto ambiguo, con troppi contratti importanti in scadenza. I fruscii di spada delle giovani Oklahoma City e Memphis spiegano l’assioma che apre il panegirico; questi, che sull’Atlantico andrebbero in carrozza ai playoffs, con la concorrenza di comitive come Spurs, Suns e Rockets rischiano di prenotare Cancun già a fine Marzo. Piangiamo una lacrima per il declino di McGrady, partente (una minaccia...) all’All-Star Game, che verrà rimpiazzato sentimentalmente da Smooth Durant, il futuro nel ruolo. Quale non lo sappiamo, ma ne può giocare tre senza problemi.
6. In attesa di buone nuove dall’America, che stravolgeranno il senso di questo pezzo, vi salutiamo nella maniera più iconoclasta possibile. Infastiditi da quei bambolotti color Coca Cola che scalano i balconi, e ispirati dall’arsenale di Delonte West, vi auguriamo buone feste ricordando un fumetto indimenticabile: “Sangue a Natale”, nel quale il leggendario Lobo, pagato dal Coniglietto Pasquale, massacra a colpi d’ascia quello sfruttatore bavoso, gerontopedofilo, di Babbo Natale. Liberando le renne da quel lavoro ingrato e sottopagato. Alleluja!
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
“Fa parte di questa iconografia sconcia la presenza della neve;
il cui candore in verità mima la carta da pacchi di un mondo regalato,
come se l’universo fosse strenna da supermercato”
(Giorgio Manganelli)
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