FOOTBALL PORTRAITS - McDonald, Little Big Mac
https://www.amazon.it/Football-Portraits-Ritratti-calcio-Agbonlahor-ebook/dp/B01KI1XRO6
di Christian Giordano ©
Guerin Sportivo ©
Mc-chi? Da noi spesso si “scopre” un talento quando segna a una squadra italiana, e pazienza se lo fa in Champions League ed è già nazionale. È successo anche all’australiano del Celtic, che nel torneo ha bollato al debutto, contro lo Shakhtar Donetsk, e firmato all’ultimo minuto, prima del Dida (horror) show, il 2-1 sul Milan all’Hampden Park. Un tap-in, susseguente alla respinta del portiere su tiro di Gary Caldwell, diventato all’istante «il mio gol più importante». Figlio di scozzesi trapiantati a Melbourne, Scott Douglas McDonald è nato lì, il 21 agosto 1983. Comincia a giocare nei Gippsland Falcons, squadretta della “vicina” (per gli standard locali: 149 km) Morwell, nel cuore della Latrobe Valley, il centro energetico dello Stato di Victoria, estremo sud-est australiano.
Nella prima squadra del club fondato nel 1963 da emigrati italiani, in passato noto anche come come Morwell Falcons e Eastern Pride, debutta 14enne. Manco a dirlo, è il più giovane esordiente nella storia della società.Tramite un contatto di papà John, Willie McStay, tecnico delle giovanili, c’è un abboccamento col Celtic, ma al «niente di concreto» dei biancoverdi, nel 2001, il rotondetto (176 cm x 82 kg) bomberino preferisce «l’ottimo contratto, per un 18 enne, e l’opportunità di crescere come “trainee” nel Southampton, vivaio di grande tradizione».
Nella prima squadra del club fondato nel 1963 da emigrati italiani, in passato noto anche come come Morwell Falcons e Eastern Pride, debutta 14enne. Manco a dirlo, è il più giovane esordiente nella storia della società.Tramite un contatto di papà John, Willie McStay, tecnico delle giovanili, c’è un abboccamento col Celtic, ma al «niente di concreto» dei biancoverdi, nel 2001, il rotondetto (176 cm x 82 kg) bomberino preferisce «l’ottimo contratto, per un 18 enne, e l’opportunità di crescere come “trainee” nel Southampton, vivaio di grande tradizione».
Il giovane tecnico della prima squadra, Gordon Strachan lo metterà in campo una volta da titolare e due da rincalzo prima di mandarlo in prestito all’Huddersfield Town (un gol in 13 presenze nel 2002-03) e poi al Bournemouth (uno in 7 nel 2003). Rientrato alla base, nonostante i rudimenti appresi da Matt Le Tissier e James Beattie, ai Saints non viene confermato e così, a dicembre 2003, scartato dal Dundee United perché «troppo fuori forma», lascia la costa meridionale per un passaggio mensile al Milton Keynes Dons. Sarà il pass per il Motherwell, che il 7 gennaio lo firma a parametro zero.
Quando se lo trova davanti il tecnico Terry Butcher vede un «rotondetto cangurino» con in corpo più chili in sovrappeso che gol: 2 nella seconda metà del 2003-04. Tirato a lucido, la stagione successiva, esplode: 15 centri, nonostante gli infortuni, compresa la doppietta che, all’ultima giornata, strappa il titolo al Celtic per regalarlo ai Rangers, squadra per cui tifa mamma Ray e che a gennaio 2007 offrirà 650 mila euro per portarlo all’Ibrox. Macché. In maggio, per 300 mila in più, vestirà biancoverde. Il sogno di almeno tre vite: la sua, quella di papà John e del nonno paterno, socio del Melbourne Celtic Supporters Club. «Mi hanno fatto il lavaggio del cervello».
Qui urge un mini excursus storico sulla chiusura della Scottish Premier League 2004-05. All’86’ il Celtic, cui basterebbe un punto per laurearsi campione, conduce 1-0 sul Motherwell. McDonald pareggia con una rovesciata dall’altezza del dischetto e, 2’ dopo, sorpassa. Nel frattempo i Blues espugnano per 1-0 il campo degli Hibs e si ritrovano in bacheca il più inatteso dei trofei. Un epilogo simile non accadeva dal 1986, quando la doppietta di Albert Kidd del Dundee FC privò gli Hearts del titolo, anche lì, nel finale dell’ultima giornata. A beneficiarne, quella volta, fu il Celtic, campione per la differenza-reti. Da allora Kidd ha lavorato quasi sempre, massì, in Australia.
E per capire quanto poco i Rangers credessero di portarsi a casa per la 51esima volta il campionato, basti pensare che, per festeggiare, a dispensa vuota, ordinano 40 Big Mac al più vicino McDonald. L’indomani, sceso dall’aereo per Melbourne, troverà ad accoglierlo una famiglia spaccata e la nomina a presidente onorario del locale club di tifosi dei Rangers. Il segretario, Drew Bowie, dirà: «Rivedremo la partita contro l’Hibernian e abbiamo invitato lui e suo papà. Diciamo che non dovrà mettere mano al portafogli, per bere un bicchiere». «Mio padre e mio fratello tifano Celtic - racconta McDonald -, mia madre Rangers, ma a casa esiste soprattutto il Celtic. I miei amici sono tutti del Celtic, quindi per un po’ lascerò staccato il telefono. Il padre della mia fidanzata è tifosissimo dei Bhoys e mi aveva detto che non mi avrebbe più parlato se avessi fatto qualcosa alla sua squadra. Ai tempi fu dura. Dopo quella partita tornai a Melbourne per evitare la troppa pubblicità, ma mi telefonavano da ogni parte, per non parlare poi della mia famiglia. C’è voluto tempo per lasciarmi tutto alle spalle e pensare alla carriera, ma ora sto bene».“Skippy” si è subito fatto perdonare con 13 gol nelle prime 15 partite con la nuova maglia: 10 su dieci di campionato, uno nelle due di coppa di Scozia e 3 nelle tre di Champions League (col Benfica ha assaggiato la panca). I tanti che avevano storto il naso alla sua firma sul triennale - nonostante le credenziali esibite al Fir Park: 45 centri in 110 gare da titolare, 12 in 34 nel 2006-07 - si sono dovuti ricredere. A cominciare da Strachan.
Il piccolo grande rosso ha detto di non essersi pentito di non averlo confermato quando lo aveva al Southampton e lasciato intendere che, ai tempi, nonostante i tanti gol con le Riserve, Scott non aveva ancora la giusta mentalità. Mentre «ora che è maturato, è diventato un attaccante di prima fascia». Concetto rafforzato dalle due triplette (in altrettanti 3-0 casalinghi) in campionato: il 29 settembre al Dundee United e quella, da ex, al Motherwell il 28 ottobre. La terza l’ha sfiorata contro il Kilmarnock. Senza di lui i Bhoys sarebbero ben lungi dalla vetta. Perché, in questo altalenante avvio di stagione, come sostengono nelle Highlands, il Celtic è una «one man team».Di sicuro non lo sono i Socceroos. Nazionale “aussie” a livello U17 (vicecampione del mondo in Nuova Zelanda nel novembre 1999), U20 (da capitano ai Mondiali negli Emirati Arabi Uniti) e U23, nonostante il doppio passaporto McDonald non ha mai pensato di giocare per la Scozia. «Ne avevo l’opportunità, ma sono nato e cresciuto in Australia e lì ho imparato a giocare. Non ho rimpianti».
La selezione maggiore lo segue da quando era Ct l’ex barese Frank Farina ma a farlo debuttare (a Manama il 22 febbraio 2006: Australia-Bahrain 3-1, nelle qualificazioni alla Coppa d’Asia) provvede, di fatto, Graham Arnold, secondo e poi successore di Guus Hiddink, Ct part-time col PSV Eindhoven. «Hiddink non l’ho mai incontrato, era troppo impegnato, ma ero in contatto con Arnold». Troppo poco per andare a Germania 2006, ma abbastanza per puntare a Sudafrica 2010. «Qualificarsi sarebbe un’impresa». Come “scoprire”, magari dopo un suo gol all’Italia, chi sia quel promettente tracagnotto australiano: Mc-chi?
Quando se lo trova davanti il tecnico Terry Butcher vede un «rotondetto cangurino» con in corpo più chili in sovrappeso che gol: 2 nella seconda metà del 2003-04. Tirato a lucido, la stagione successiva, esplode: 15 centri, nonostante gli infortuni, compresa la doppietta che, all’ultima giornata, strappa il titolo al Celtic per regalarlo ai Rangers, squadra per cui tifa mamma Ray e che a gennaio 2007 offrirà 650 mila euro per portarlo all’Ibrox. Macché. In maggio, per 300 mila in più, vestirà biancoverde. Il sogno di almeno tre vite: la sua, quella di papà John e del nonno paterno, socio del Melbourne Celtic Supporters Club. «Mi hanno fatto il lavaggio del cervello».
Qui urge un mini excursus storico sulla chiusura della Scottish Premier League 2004-05. All’86’ il Celtic, cui basterebbe un punto per laurearsi campione, conduce 1-0 sul Motherwell. McDonald pareggia con una rovesciata dall’altezza del dischetto e, 2’ dopo, sorpassa. Nel frattempo i Blues espugnano per 1-0 il campo degli Hibs e si ritrovano in bacheca il più inatteso dei trofei. Un epilogo simile non accadeva dal 1986, quando la doppietta di Albert Kidd del Dundee FC privò gli Hearts del titolo, anche lì, nel finale dell’ultima giornata. A beneficiarne, quella volta, fu il Celtic, campione per la differenza-reti. Da allora Kidd ha lavorato quasi sempre, massì, in Australia.
E per capire quanto poco i Rangers credessero di portarsi a casa per la 51esima volta il campionato, basti pensare che, per festeggiare, a dispensa vuota, ordinano 40 Big Mac al più vicino McDonald. L’indomani, sceso dall’aereo per Melbourne, troverà ad accoglierlo una famiglia spaccata e la nomina a presidente onorario del locale club di tifosi dei Rangers. Il segretario, Drew Bowie, dirà: «Rivedremo la partita contro l’Hibernian e abbiamo invitato lui e suo papà. Diciamo che non dovrà mettere mano al portafogli, per bere un bicchiere». «Mio padre e mio fratello tifano Celtic - racconta McDonald -, mia madre Rangers, ma a casa esiste soprattutto il Celtic. I miei amici sono tutti del Celtic, quindi per un po’ lascerò staccato il telefono. Il padre della mia fidanzata è tifosissimo dei Bhoys e mi aveva detto che non mi avrebbe più parlato se avessi fatto qualcosa alla sua squadra. Ai tempi fu dura. Dopo quella partita tornai a Melbourne per evitare la troppa pubblicità, ma mi telefonavano da ogni parte, per non parlare poi della mia famiglia. C’è voluto tempo per lasciarmi tutto alle spalle e pensare alla carriera, ma ora sto bene».“Skippy” si è subito fatto perdonare con 13 gol nelle prime 15 partite con la nuova maglia: 10 su dieci di campionato, uno nelle due di coppa di Scozia e 3 nelle tre di Champions League (col Benfica ha assaggiato la panca). I tanti che avevano storto il naso alla sua firma sul triennale - nonostante le credenziali esibite al Fir Park: 45 centri in 110 gare da titolare, 12 in 34 nel 2006-07 - si sono dovuti ricredere. A cominciare da Strachan.
Il piccolo grande rosso ha detto di non essersi pentito di non averlo confermato quando lo aveva al Southampton e lasciato intendere che, ai tempi, nonostante i tanti gol con le Riserve, Scott non aveva ancora la giusta mentalità. Mentre «ora che è maturato, è diventato un attaccante di prima fascia». Concetto rafforzato dalle due triplette (in altrettanti 3-0 casalinghi) in campionato: il 29 settembre al Dundee United e quella, da ex, al Motherwell il 28 ottobre. La terza l’ha sfiorata contro il Kilmarnock. Senza di lui i Bhoys sarebbero ben lungi dalla vetta. Perché, in questo altalenante avvio di stagione, come sostengono nelle Highlands, il Celtic è una «one man team».Di sicuro non lo sono i Socceroos. Nazionale “aussie” a livello U17 (vicecampione del mondo in Nuova Zelanda nel novembre 1999), U20 (da capitano ai Mondiali negli Emirati Arabi Uniti) e U23, nonostante il doppio passaporto McDonald non ha mai pensato di giocare per la Scozia. «Ne avevo l’opportunità, ma sono nato e cresciuto in Australia e lì ho imparato a giocare. Non ho rimpianti».
La selezione maggiore lo segue da quando era Ct l’ex barese Frank Farina ma a farlo debuttare (a Manama il 22 febbraio 2006: Australia-Bahrain 3-1, nelle qualificazioni alla Coppa d’Asia) provvede, di fatto, Graham Arnold, secondo e poi successore di Guus Hiddink, Ct part-time col PSV Eindhoven. «Hiddink non l’ho mai incontrato, era troppo impegnato, ma ero in contatto con Arnold». Troppo poco per andare a Germania 2006, ma abbastanza per puntare a Sudafrica 2010. «Qualificarsi sarebbe un’impresa». Come “scoprire”, magari dopo un suo gol all’Italia, chi sia quel promettente tracagnotto australiano: Mc-chi?
Commenti
Posta un commento