Lo Squalo giallo, il nuovo re di Francia

di Simone Basso, Il Giornale del Popolo

I Campi Elisi, anche col cielo grigio e qualche goccia di pioggia, sono una meraviglia. Il Tour, tre settimane di gloria e agonia, non potrebbe concludersi altrove: là, nella maestosa eleganza di Parigi, c’è la fotografia perfetta di una storia. Come annunciammo, Grande Boucle tremenda, degna rappresentazione di uno sport che, quando dispiega tutto se stesso, non ha paragoni. Il giallo lo veste uno dei tre tenori della vigilia, il meno cantato (...), di sicuro il più pronto alla sfida (estrema).


La presa del potere

Vincenzo Nibali, dalla Sicilia con furore, interpreta la Festa di Luglio leggendo lo spartito giusto: i riccioli che percorrono la Francia in senso orario si risolvono, tradizionalmente, sulle Alpi. L’edizione 2014, colma di trabocchetti sulla strada, resi ancor più tremendi dalla (tipica) vis agonistica e dal meteo infame (qualche parentesi di solleone e canicola, in mezzo a tante giornate di acqua...), lo Squalo la ipoteca subito.
Prima nello Yorkshire – esaltante anche per la partecipazione popolare all’evento – quando si aggiudica (con un colpo da finisseur) una piccola Amstel Gold Race. Poi, tre dì dopo, con l’impresa sul pavé in un pomeriggio da lupi, sotto il diluvio e nel fango: mentre Froome abdica definitivamente e Contador affonda, Nibali imita un altro grande d’Italia (Felice Gimondi) e sbrana la corsa. Curioso déja vu: in quel di Arenberg aveva la stessa faccia nera, sporca di mota, lo stesso cipiglio, del suo primo successo da “pro” (ventunenne) alla Coppi e Bartali 2006...
La presa del potere definitiva, sui Vosgi, col Pistolero che cadeva lungo la discesa del Platzerwasel, appariva dunque una conseguenza logica. Col padrone del gruppo che gestiva (ma non troppo) il vantaggio, nemmeno corresse contro le ombre degli assenti (che fa parecchio Luis Ocana 1973...), i temi paralleli, il caos che regola il Tour, emergevano prepotenti. Il ritorno sulla scena dei francesi, per esempio. Il vecchio biker Péraud (37 anni) e soprattutto i giovani Pinot (scalatore doc), Bardet e Gallopin. Un movimento che comincia a raccogliere la semina (intelligente) di una decina di anni fa e che ripopola quindi, in un ciclismo “normalizzato”, le parti nobili della generale.


Talenti che sbocciano

La competizione ha rivelato pure i talenti del ceco Leopold König – ottimo tuttofare – e di Rafal Majka, che si era presentato alla partenza controvoglia (sic), notevole per continuità (e picchi di rendimento) nella seconda parte della Grande Boucle. Ecco, fossimo Tejay Van Garderen – che ha chiuso con un contraddittorio quinto posto – proveremmo (per compiere l’ultimo passo) almeno un’esperienza al Giro, proprio come ha fatto, nelle ultime due stagioni, il polacco della Tinkoff-Saxo.
Perchè è evidente che il futuro prossimo dovrà riconsiderare alcune lezioni del passato (remoto): a fianco della cura minuziosa dei dettagli (allenamento, alimentazione, tecnologia), accumulare esperienze diverse sarà fondamentale. Queste ventuno tappe “à bloc” sono state un tesoro prezioso per la IAM Cycling, malgrado gli incidenti e i tentativi di fuga falliti. Rappresenteranno, nell’avvenire, memorie positive per la carriera degli atleti (e dei tecnici).
Il Tour, massima espressione dell’universo ciclistico e vettore irrinunciabile della globalizzazione, al pari delle classiche “monumento” di primavera, idealizza un vertice che non può che considerare – non solo nell’attività formativa giovanile – l’approccio multidisciplinare. Strada, pista, mountain bike, ciclocross, BMX. È la base del boom australiano e britannico (e colombiano...) e della rinascita francese e tedesca.
In un momento storico nel quale il Mondo Nuovo non sta solamente innovando la performance atletica, ma l’orizzonte stesso della bicicletta: British Cycling, sfruttando l’onda lunga dei suoi campioni, vanta 120.000 tesserati; ovvero il doppio (!) di quelli della Federazione Italiana...


Successi partiti da lontano

Il Nibali di Chamrousse e dell’Hautacam è nato osservando l’anno scorso Chris Froome: le accelerazioni in salita del keniano bianco hanno suggerito, al messinese e all’allenatore Paolo Slongo, allenamenti specifici. Impostati sullo sforzo massimale, un breve recupero e la ripartenza: l’azione di ventuno secondi (col wattaggio a tutta) a La Planche des Belles Filles, per staccare i rivali e involarsi verso il traguardo, è nata così. Il resto viene fornito da madre natura – il cuore di Vincenzo, a riposo, batte trentatre volte al minuto – e da una passione per il mestiere (na càpa tosta...) con pochi eguali.
Ciclisticamente toscano, lo Squalo si trasferì a Mastromarco, nel Pistoiese, appena sedicenne: Carlo Franceschi, diesse di una squadra juniores, lo notò vincere (da allievo) una gara a Siena. E lo accolse a casa sua, con la moglie Bruna, come fosse un figlio.
Il settimo italiano trionfatore alla Grande Boucle ha il profilo fiero di un emigrante: una sorta di Pietro Mennea del XXI secolo, in uno sport tricolore che vive una crisi profonda.

Una rinascita italiana?

I media locali, cialtroni, ossessionati dal gossip calcistico, si sono dimostrati impreparati a raccontarne le gesta, sorpresi (!) da un exploit che era da tempo nelle corde della maglia rosa 2013. Incapaci culturalmente di una narrazione sportiva che non preveda stereotipi di bassa lega. Ci fa sorridere pensare a Rachele, vera capofamiglia Nibali, che ha seguito in tivù, da Lugano, le imprese del marito. Con la piccola Emma, di cinque mesi, sulle ginocchia: in un’intervista ha citato Victor Hugo e abbiamo realizzato la distanza, siderale, che la separa dalle “veline” che popolano altri mondi...
Vedremo se BiciItalia, una riserva indiana fierissima, convertirà l’entusiasmo per lo Squalo, di giallo vestito, in energia e idee: la tradizione, il DNA e lo “stellone” dopodomani potrebbero non bastare più. Anche se, da qualche parte dello Stivale, un babbo malato di ciclismo – un altro Salvatore Nibali – sta regalando una due ruote, magari rossa come quella di Vincenzo bambino, a un figlio pestifero...


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