Napoletani nel Napoli: 'na cosa troppo grande

Giocare nel Napoli, per un napoletano, è 'na cosa grande. Troppo. Qualcosa di più che "il sogno di una vita". Come disse Fabio Quagliarella alla presentazione, prima che quel sogno si rivelasse un incubo. E' successo anche a Ferrara e ai fratelli Cannavaro. E oggi a Lorenzo Insigne.
 
Ma se per Ciro e il Fabio più famoso quella maglia color Golfo è stata il trampolino per spiccare a Torino, sponda Juventus, il volo dell'età adulta, per gli altri è stata un amnore troppo grande da indossare. Troppe le cose da metterci dentro: l'amore di e per una città tanto difficile quanto meravigliosa, la voglia di riscatto sociale e quella di strafare davanti a un pubblico così passionale. Troppo.

Cavani l'ha capito coi cori 'ngrati alla prima amichevole da avversario.  A Lavezzi hanno sempre perdonato tutto, non solo il presunto "tradimento" ma anche i tanti errori sottoporta degli inizi. Al Matador, nemmeno grazie per i 64 milioni del PSG con cui De Laurentiis s'è garantito, con Higuain, il presente e il futuro.
 
Al presidente non andavano giù i 17 milioni versati all'Udinese per vedere Quagliarella ammuffire in panchina, e il non rapporto con Mazzarri alla fine lo portò a Torino. E a un addio amaro, fatto di quei vergognosi striscioni sul suo infortunio, che davvero non meritava.
 
Diversa la storia dell'altro Cannavaro. Giocatore-simbolo sin dai tempi della serie C, il capitano non s'è mai sentito davvero apprezzato. E quando se ne è andato al Sassuolo, ci ha pensato con un tweet il fratellone Fabio a rendergli giustizia: "In bocca al lupo, Paolino, e complimenti a chi ti ha fatto sentire estraneo A CASA TUA!!".
 
Lo stesso sembra accadere oggi a Insigne. Dal no ai tifosi sul palco di Dimaro al gesto contro i fischi del San Paolo con l'Athletic Bilbao, e già visto di gennaio in Coppa Italia contro la Lazio. Uno sbaglio figlio dell'amore. Perché per un napoletano, giocare nel Napoli, è 'na cosa grande. Troppo.

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