Romain Bardet, la nuova generazione
Numero 9 - Anno 2014
di Paolo Broggi
L’Alvernia è terra di vulcani antichi: inattivi da migliaia di anni costellano il panorama di questa regione della Francia centrale, ne rappresentano il simbolo e la ricchezza.
Della sua terra natale, Romain Bardet sembra aver preso proprio la caratteristica dei vulcani: silente, pacato, ma pronto ad esplodere.
In corsa non ha paura di attaccare ma a dispetto della giovane età (è nato a Brioude il 9 novembre del 1990) non lo fa mai a casaccio, ma solo a ragion veduta, quando sa di poter far male.
In Francia è considerato il vero e proprio “crack”, l’uomo che - con Thibaut Pinot - può riportare in patria la maglia gialla che manca dal 1985, ultimo firmatario a Parigi Bernard Hinault.
Rispetto a Pinot, Bardet ha avuto una crescita più tranquilla: Thibaut, che ha solo sei mesi in più di Romain, è passato professionista due anni prima, dopo aver vinto da dominatore nel 2009 il Giro della Valle d’Aosta.
Da dilettante ha militato nella Chambery Cyclisme, il vivaio della AG2r La Mondiale, mettendosi in luce soprattutto nelle gare a tappe, accumulando esperienza e piazzamenti importanti fino al passaggio al professionismo avvenuto nel 2012.
Spinto dalla necessità, Romain ha abbracciato sin dal’inizio la strada dell’allenamento di qualità: la decisione di portare avanti il suo master di diritto e marketing all’Università di Grenoble, infatti, lo ha costretto a gestire da sempre con attenzione il suo tempo.
«I miei studi mi obbligano ad una programmazione estrema delle giornate, per cui quando devo allenarmi lo faccio, non importa quali siano le condizioni meteo. Ho un tot di ore a disposizione e devo farle rendere al massimo perché poi mi devo dedicare ai libri. Così, proprio per economizzare il tempo, ho optato da tempo per l’allenamento di qualità, che raramente prevede tante ore in sella» racconta.
E la stessa necessità di gestire le energie al meglio lo ha portato a curare ogni particolare per favorire al massimo il recupero, a cominciare dall’alimentazione. Ed è stato talmente coinvolgente nel progetto che la sua fidanzata ha aperto un blog nel quale spiega e discute di come rendere... dietetico ogni piatto.
«Il germe del ciclismo me l’ha trasmesso papà Philippe (a completare la famiglia ci sono mamma Gaby e la sorellina Lisa, ndr), che è stato corridore regionale. La prima bici da corsa? Una Peugeot acquistata da un rigattiere, quando avevo dieci anni. Con quella ho cominciato a correre a Brioude, il paese in cui sono nato e vivo. Pensate che per i miei vent’anni, i miei genitori me l’hanno fatta sistemare e me l’hanno regalata di nuovo, ora la conservo gelosamente».
Che corridore sei?
«Amo le salite, ovviamente. E ho un buon recupero che mi permette di farmi valere nelle corse a tappe. Ma il mio sogno è di riuscire ad essere competitivo anche in alcune classiche, non solo nei grandi Giri».
Quali erano i tuoi idoli di bambino?
«Sono cresciuto guardando alla tv i Tour di Armstrong e poi quello di Landis, ho sognato con le pedalate di Delion, mi incantavano i duelli spalla a spalla tra Bartoli e Vandenbroucke sulla Redoute alla Liegi quando salivano a velocità folle ed io sognavo di essere come loro, soprattutto di essere come Bartoli. Ora sappiamo com’era il ciclismo in quei tempi, ma non bisogna esagerare nella caccia alle streghe: non ha senso cercare nello sport una pulizia che non c’è e non c’è stata nella società civile. Nel ciclismo ora c’è una nuova generazione di corridori che si battono per uno sport pulito, per riconquistare credibilità, per far innamorare di nuovo la gente. I controlli? La nostra disponibilità è massima e personalmente sarei d’accordo anche ad estenderli alle ore notturne (attualmente possono essere effettuati dalle 6 alle 22, ndr): la trasparenza deve essere la nostra forza. E che le cose siano cambiate lo si vede in corsa: non ci sono più le squadre che dominano e, anche se sulle salite si sale molto velocemente, le crisi sono sempre dietro l’angolo. Questo ciclismo mi piace, in questo ciclismo io ci credo».
Per concludere, torniamo al tuo sesto posto al Tour: sei soddisfatto?
«Sì e no. Intendiamoci, il sesto posto è in assoluto un grande risultato, ma mi è bruciato perdere il quinto posto per soli due secondi a causa della foratura che mi ha frenato nella crono di Perigueux. Ho avuto poi una giornata difficile sul Port de Balès dove ho perso 1’50” dai migliori, poi ho cercato di riscattarmi subito l’indomani e di dare una mano a Peraud che correva per il podio. Insomma, ci sono state cose positive e altre meno dalle quali devo trarre gli insegnamenti per migliorare ancora».
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