Vuelta promettente: ci sarà un altro Caritoux?

di Simone Basso

Da sabato, con una cronosquadre a Jerez de la Frontera, fino al 14 settembre, la Vuelta Espana diventerà il centro – provvisorio – del mondo ciclistico. Terza delle corse a tappe di tre settimane, non solo in ordine cronologico, la Vuelta “francese” – essendo entrata nell’orbita dell’Amaury – si vende benissimo.

Una gara grandi firme, con una partecipazione che raccoglie il meglio (o i cocci più pregiati...) del dopo Tour. Javier Guillen, l’organizzatore della sarabanda, non lesina i progetti ambiziosi: il circo inizia dal sud e si evolve – nella prima settimana – con un percorso minimalista. Ci saranno gli effetti speciali di una partenza, da Cadice, il terzo dì, dal ponte di una portaerei (!) e, come epilogo, l’arrivo a Santiago de Compostela invece che a Madrid. Laddove, ottocento anni fa in quel di San Giacomo, camminò San Francesco di Assisi, la maglia rossa chiuderà – al crepuscolo – la manifestazione.

Tecnicamente sarà il solito Giro di Spagna, spumeggiante e un pò inconsistente: molti traguardi sulle cosiddette rampe di garage, tre quarti del plotone col pensiero rivolto a Ponferrada (al circuito iridato) e pochi chilometri complessivi. Difatti il totale è inferiore di ben 482,5 chilometri rispetto alla Grande Boucle vinta da Nibali... L’idea è comunque televisiva: tanti testa a testa sulle salite conclusive e una narrazione tattica lineare. Gli ingredienti che potrebbero favorire, ancora una volta, malgrado le presenze nobili, il Cobo Acebo o l’Horner di turno.

Purito Rodriguez, dei mammasantissima, è l’unico che l’ha preparata nei dettagli, avendola annunciata primo obiettivo stagionale in tempi non sospetti. Gli altri sono i delusi del Tour de France: Froome, Contador, al rientro (affrettato...) dall’incidente nella discesa del Platzerwasel, Talansky e Valverde. Quest’ultimo, l’Embatido ma non troppo, è atteso a una convivenza scomoda con Nairo Quintana: la maglia rosa 2014, fresco trionfatore a Burgos, capeggia il plotone di quelli che in Francia non c’erano. E il Condor, piaccia o meno al buon Alejandro, ha i numeri per far saltare il banco.

Tra i pretendenti alle zone alte della classifica, il resto del podio del Giro, Rigoberto Uràn e Fabio Aru, e altri che in Italia si erano distinti (Keldermann, Arredondo, Hesjedal).

Segnaliamo un curioso testacoda generazionale: il vecchio, leggendario, Cadel Evans, vincitore di un paio di tappe a inizio mese nel Tour of Utah, e il giovane, nemmeno ventitreenne, Warren Barguil. Per molti, a dispetto di Pinot e Bardet, il francese più forte in prospettiva Grandi Giri. E annotiamo pure il ritorno di Carlos Betancur, talento adamantino quanto ingestibile, e del promettente Esteban Chaves, ennesimo colombiano dalle prospettive notevoli. Al netto di Thibaut Pinot, che assaggia il doppio impegno dopo l’eccellente terzo posto (e la maglia bianca) alla Festa di Luglio, c’è chi invece sarà in Spagna per pensare quasi unicamente alla Castiglia e Leon, il 28 settembre. La lista è titolata: Sagan, Degenkolb (per noi, con l’assente Kristoff, i favoriti assoluti della rumba arcobaleno...), Gilbert, Boonen, Dan Martin, Ciolek e il nostro Fabian Cancellara. Che sta approcciando l’appuntamento iridato a fari spenti, col silenziatore, e che potrebbe abbandonare la carovana – al pari di parecchi ras... – a metà tragitto.

Appunto, trattasi del rovescio della medaglia, la vicinanza al Mondiale, che quasi annulla i vantaggi della partecipazione sontuosa.

Per noi, analizzando il tracciato, il segmento chiave è quello che affianca la prova contro il tempo di Borja (decima tappa, 34,5 km) e la Pamplona-Santuario di San Miguel, l’undicesima, al trittico di montagna dal 6 settembre in poi. La quattordicesima frazione, Santander-La Camperona, la quindicesima, il traguardo classico a Lagos de Covadonga, e la numero sedici verso La Farrapona.

Etapa reina di questa edizione, breve (160,5 km) ma con tre gipiemme – compresi i tostissimi Alto de Cobertoria e Puerto de San Lorenzo – prima dell’erta finale, a gradoni ma esigente. Presumiamo sia il pomeriggio decisivo assieme al penultimo, sabato 13, quando il Puerto de Ancares sigillerà la generale.

Amarcord, quando si lottava per l’amarillo, a fine aprile e inizio maggio, le dinamiche erano differenti... Vent’anni fa (1994) poderoso tris di Tony Rominger, che sbranò gli avversari sin dal prologo di Valladolid: robosport al suo meglio o giù di lì. Nel 1984 qualcosa di completamente diverso, la vittoria a sorpresa di Eric Caritoux. Il barone De Gribaldy, patron della Skil di Sean Kelly, lo iscrisse due giorni prima della partenza: si presentò senza le scorte di ricambio, così – mentre compì l’impresa della vita – tutte le sere dovette farsi il bucato (sic). In gruppo correvano insieme, nella Gis-Tuc Lu, Moser e De Vlaeminck e c’era ancora il Pollo originale (Michel Pollentier). La coppia gioventù della Reynolds – Delgado e Gorospe – non resse il peso del pronostico, Marino Lejarreta saltò, i colombiani di allora (Corredor e Jimenez) non avevano lo chassis di quelli contemporanei. Così, a contendersi il giallo, rimasero il provenzale e Alberto Fernandez, indimenticabile e sfortunato (morirà sette mesi dopo in un incidente stradale..) scalatore della comarca di Campoo. All’ultima cronometro, a Torrejon, in ricognizione, Eric e il suo diesse si smarrirono nell’entusiasmo (...) della folla caliente. Malgrado gli sputi e le minacce dei (simpatici) tifosi locali, Caritoux conservò un margine irrisorio – sei secondi – ma sufficiente per portare a termine il suo capolavoro. L’exploit massimo di una carriera da luogotenente di lusso, sempre che si possa definire tale uno che, nel palmarès, oltre alla Vuelta vanta anche due campionati nazionali. Oggi fa il viticoltore, ai piedi di quel Mont Ventoux che percorre ancora, ogni tanto, in bici. 
SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo

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