La prefazione di "Lontano da Highbury"

di  Roberto Gotta 

Mitridate aveva capito tutto. L’antico re del Ponto (non so dove fosse, ma quanto fa figo fare queste citazioni, eh?) si pigliava ogni giorno nella minestra un milligrammo di veleno, per abituare il suo corpo a quella sostanza e vaccinarsi preventivamente nel caso che uno dei suoi tanti nemici decidesse un giorno di aumentargli le dosi senza avvertirlo. E allora mitridatizziamoci tutti nelle cose che più ci fanno paura: la contraddizione, ad esempio. Personalmente, adoro essere coerente e di conseguenza odio la contraddizione, in tutte le sue forme: ma per pararmi contro suoi eventuali attacchi proditori, ne sperimento una dose ogni giorno. 

Stavolta lo faccio nel presentare il libro di Luca, e spiego subito il perché: adorando il calcio inglese e specialmente un suo aspetto, quello secondo il quale è bello e giusto tifare per la squadra della propria città o del proprio quartiere ed è peccato grave attaccarsi al carro del vincitore situato a chissà quale distanza, dovrei dissentire fortemente con la passione che Luca manifesta per l’Arsenal in questo libro. Luca vive e lavora nella bassa padana che ben conosco, e che non ha molti punti di contatto con Highbury e i suoi dintorni. E allora dovrei dire «ma ci sei o ci fai?». 

Poi la minidose di contraddizione entra in circolo e mi ricorda che per un ventennio ho tifato pure io per l’Arsenal e che l’Arsenal mi ha guidato – senza volerlo – lungo tutte le strade che mi hanno poi portato ad avvicinarmi sempre di più al calcio inglese. Che l’Arsenal mi ha rapito un pomeriggio di maggio facendosi rimontare due reti dal Manchester United negli ultimi tre minuti di una finale di FA Cup e segnando il gol della vittoria pochi secondi dopo. L’Arsenal che trionfando sulla presuntuosa Juventus a Torino il 23 aprile del 1980 mi ha fatto andare a scuola felice per una settimana, che mi ha fatto arrabbiare e quindi avvicinare ancora più quando nel giro di tre giorni, sempre nel maggio del 1980, ha perso prima la finale di FA Cup contro il West Ham United e poi quella di Coppa delle Coppe contro il Valencia, ai calci di rigore. L’Arsenal che ha guidato la formazione di un dubbio gusto estetico proponendo le sue maglie sempre mutevoli nella loro fissità, corpetto rosso e maniche bianche. L’Arsenal che batte il Parma favorito e prende gol da centrocampo dodici mesi dopo, che segna all’89° sul campo del Liverpool e spernacchia il calcolo delle probabilità. Quello che mi piaceva e che vinceva 1-0 creando il canto meno fantasioso e più godurioso del mondo, 1-0 per l’Arsenal, senza dare troppo spettacolo ma spezzando le reni all’avversaria. 

Luca è stato più bravo e coerente: gli piace da matti anche questo Arsenal pieno di stranieri, con un allenatore che fa il sorrisino e chiede di smantellare poco alla volta tutti i capisaldi del calcio inglese che dice di ammirare, come la ripetizione delle partite di coppa nazionale in caso di pareggio, e allora io lungo questa strada non sono riuscito a seguirlo perché non sono riuscito a metterci il cuore che ci mette lui, ad avere il desiderio di sapere il risultato già all’intervallo, di sentire nel telefonino dell’amico il suono geniale di Highbury, di staccare dal lavoro per qualche secondo e tuffarsi a raccogliere notizie in ogni maniera. Bisogna fare così per vivere sul serio una passione, bisogna sapere sempre che ora è a Londra appena a sinistra del meridiano di Greenwich, bisogna stare attenti alle offerte delle compagnie aeree a basso prezzo (e anche alle altre), partire al mattino e tornare ventiquattr’ore dopo con il programma della partita in tasca e i polmoni pieni di quell’aria che si respirà solo lassù, senza tamburi, fumogeni e pietosi artifici cosmetici, lassù dove fanno meno baccano di una volta e qualche volta usano strumenti artificiali, ma quando lo fanno usano solo la voce al massimo della potenza e in quel momento non si vorrebbe essere da nessun’altra parte. 

E allora si capisce che più del veleno e dei suoi rimedi è il caso ogni tanto di ingerire lo spirito dell’Arsenal e prepararsi così quando ti assale tutto in una volta e fai fatica anche con lo sguardo a stare dietro alle corse di Thierry Henry con la palla al piede.
ROBERTO GOTTA

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