Sulla Premier League pesa la disuguaglianza

di Will Hutton

Il Regno Unito sta cominciando a fare più attenzione alla disuguaglianza. Le rivelazioni secondo cui la banca Hsbc aiutava i suoi clienti a evadere le tasse hanno causato l’indignazione generale. Nella società britannica lo sfoggio della disuguaglianza è ormai inaccettabile. Anche la Premier League – la serie A inglese – è finita nell’occhio del ciclone dopo l’asta dei suoi diritti televisivi. Nei prossimi tre anni Sky e Bt pagheranno la bellezza di 6,8 miliardi di euro per il diritto a trasmettere in diretta 200 partite di calcio l’anno.

La massima serie del campionato inglese è ormai lo spettacolo sportivo più scandalosamente plutocratico del pianeta. Il football americano è più ricco, ma è anche più equo nella distribuzione degli introiti. I principali club della Premier League fanno compagnia agli oligarchi russi, agli sceicchi del petrolio e agli aristocratici inglesi nella galleria degli esempi più lampanti di ricchezza immeritata. Ora però tutto questo comincia ad avere un peso. Le ingiustizie si accumulano. Guardare il calcio in tv sarà sempre più un privilegio per ricchi, visto che la maggior parte dei britannici non potrà permettersi di pagare centinaia di sterline per l’abbonamento alla pay tv. Eppure lo sport, come la cultura in generale in ogni società che si rispetti, dovrebbe essere accessibile al pubblico più ampio possibile.

Nonostante gli sforzi della Premier League per rallentare la crescita esponenziale degli stipendi dei giocatori, sarà sempre più diicile mantenere equilibrato il campionato e coltivare i talenti. Il sistema spinge i proprietari dei club a cercare il successo immediato, e i calcoli a breve termine prevalgono su tutto. Gli allenatori vengono esonerati continuamente nella ricerca di un successo impossibile, perché non tutte le squadre possono terminare il campionato ai primi quattro posti della classifica.

Le società di calcio inglesi spendono più di 130 milioni di euro l’anno per pagare agenti e osservatori che girano il mondo alla ricerca di giocatori in grado di fare la diferenza, una cifra nettamente superiore a quella riservata ai settori giovanili. Nonostante le somme che maneggiano, i club investono solo il 5 per cento dei loro introiti. Per i ragazzini inglesi delle classi più umili, la strada verso il successo è tutta in salita.

La disuguaglianza è evidente anche sul campo. Ogni calciatore sa benissimo che essere considerato uno che risolve le partite può aumentare di sei o sette volte il suo stipendio e il costo del suo cartellino. Alla squadra interessa che un calciatore crei opportunità per i compagni, ma al giocatore interessa solo mettersi in luce, e deve sfruttare ogni occasione. Il risultato è che i grandi calciatori sono sempre più egoisti.

Il calcio inglese potrebbe diventare sempre meno competitivo. Già adesso la diferenza tra i 6 club più ricchi – tre di Londra (Chelsea, Arsenal e Tottenham), ld due di Manchester e il Liverpool – e gli altri è quasi insormontabile. Nessuna squadra neopromossa può pensare di competere con la quantità di talento messa in campo dalle avversarie più ricche. Spesso le piccole squadre passano solo un anno nella massima serie e poi retrocedono di nuovo. Sono carne da cannone, e questo non fa che demoralizzare i proprietari, i giocatori e i tifosi.

Secondo alcuni questi aspetti negativi sono abbondantemente bilanciati dai benefici. La Premier League è diventata un marchio globale, attrae gli investimenti dall’estero e grazie all’esportazione dei diritti televisivi in altri paesi è un’importante fonte d’introiti. Molti dei migliori calciatori del mondo giocano in Inghilterra. Anche se a contendersi la vittoria finale è sempre lo stesso gruppetto di squadre, c’è abbastanza competizione da generare qualche risultato inaspettato. In ogni caso la Premier League supera il test del mercato, e il suo pubblico aumenta in tutto il mondo. Chi ha mai detto che essere ricchi è sbagliato?

La lega ha certamente dato prova di astuzia nel gestire l’asta dei diritti tv per strappare a Sky la cifra più alta possibile. Sky e Bt hanno obbedito alla logica del mercato: le grandi partite attraggono ino a un milione di telespettatori, e la loro capacità di portare nuovi abbonati (non solo per la tv, ma anche per l’accesso a internet e la telefonia mobile) è assodata.

Che avverrà in futuro? Undici squadre su venti appartengono a stranieri. Nei prossimi anni i proprietari britannici diventeranno sempre più rari, e la lega diventerà sempre più preda del capitale globale e sempre meno un’espressione dello sport e della cultura inglesi. Gli incentivi a comportarsi in modo sportivo, a competere alla pari, a investire nella base, a costruire grandi squadre con un mix di calciatori inglesi e stranieri si indeboliranno ulteriormente. In cambio avremo più isteria in campo, più problemi negli spogliatoi e più frenesia nei club che cercano di restare al vertice. I profitti si concentreranno sempre più nelle grandi squadre, e i tifosi si allontaneranno ancora di più dal calcio.

Alla fine il troppo denaro e l’incapacità di reagire alla disuguaglianza uccideranno la Premier league. Il calcio, dopo tutto, è un microcosmo della società. L’equità conta.


WILL HUTTON è un giornalista  britannico. Ha diretto  il settimanale The Observer, di cui oggi è columnist. In Italia  ha pubblicato Il drago dai piedi d’argilla. La Cina e l’Occidente nel XXI secolo (Fazi 2007).

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