REDFORD: «Se nascondi la verità la vittima è il pubblico»

Il due volte premio Oscar interpreta “Truth”, nei cinema da gioved. 
La storia di come la Cbs licenzi. due giornalisti per uno scoop su Bush

di Massimo Lopes Pegna, CORRISPONDENTE DA NEW YORK - LA Gazzetta dello Sport

Domanda al collega di Barcellona notizie sulla voglia di indipendenza dei catalani e lo stuzzica il fatto che di fronte a lui ci sia anche un reporter sportivo italiano: «Ho passato a Firenze nove mesi indimenticabili, frequentando la scuola dell’arte», confida nostalgico.

Una curiosità naturale, quasi da giornalista, quella di Robert Redford («Essere curioso è un valore inestimabile», spiega): i panni del cronista, che ha già vestito in passato nel celebrato Tutti gli uomini del presidente (pellicola che vinse 4 statuette nel 1977), li ritrova ora in Truth-Il prezzo della verità, che arriva in Italia giovedì prossimo ed è stato il titolo di apertura dell’ultima Festa del Cinema di Roma. Il due volte premio Oscar, sullo schermo ormai dal 1962, interpreta Dan Rather, per anni icona dei telegiornali della Cbs. E anche qui, come nel film cult sullo scandalo Watergate, sullo sfondo c’è l’intrigo politico. 

Siamo nel 2004, nei mesi che precedono la rielezione di George W. Bush alla Casa Bianca: la produttrice tv Mary Mapes (Cate Blanchett), dalle cui memorie è tratto il film diretto da James Vanderbilt (sceneggiatore di Zodiac e di RoboCop), scopre che il presidente avrebbe usufruito di favoritismi quando faceva parte della Guardia Nazionale Aerea, durante la guerra nel Vietnam. E lo racconta in un servizio. La concorrenza, però, mette in dubbio le sue fonti e la Cbs, invece di appoggiare lei e Rather, li costringe alle dimissioni. «Il copione mi ha subito affascinato — spiega Redford — perché è una bella storia: elemento determinante perché mi butti su un progetto. Non sapevo come interpretare il personaggio e allora ho chiesto a Rather suggerimenti. “Ha poca importanza”, mi ha detto. Mi ha spiegato che il valore che doveva emergere era la lealtà, quella che loro hanno avuto nei confronti dei proprietari, prima che li tradissero».

- E lei, che opinione si è fatto?
«Non sono un esperto, ma il mondo dei media è cambiato nel corso degli anni per il coinvolgimento sempre più marcato della politica e delle grandi corporation. Tutte le volte che i politici vogliono condizionare la verità, esiste un problema. Mettono pressione sulle aziende, che poi la trasmettono ai giornalisti: alla fine, la vera vittima è il pubblico. Deprimente». 

-Lei è un grande sportivo: sta pensando anche a un film sullo scandalo Fifa?
«No. Quando ero ragazzino, il calcio in questo Paese quasi non esisteva. Il mio grande amore è stato il baseball, il motivo per cui ho girato Il migliore. Quando lessi l’omonimo romanzo di Bernard Malamud ne rimasi folgorato. Ero un grande tifoso di Ted Williams, asso dei Boston Red Sox: californiano, mancino e con un bel caratterino, insomma proprio come me. È stato il mio modo di ricordarlo».

- Negli Anni 70 era considerato il bello di Hollywood: quanto è stato importante nel lavoro il suo aspetto fisico?
«Al principio mi lusingava. Ma in seguito ha cominciato a spaventarmi, perché influiva sulla mia vita. Allora, feci un esperimento. Mi dissi: “Uno, fai attenzione perché iniziano a trattarti come un oggetto; due, prima o poi finirai per comportarti come un oggetto; tre, presto ti trasformerai in un oggetto”. È il motivo per cui comprai il ranch in Utah: la via di fuga da Los Angeles per non rimanere intrappolato in quel meccanismo. Ma non fu facile».

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