L’AJAX TOTALE, UN MITO NATO NELLA NEBBIA

7 DICEMBRE 1966 - TRASCINATI DAL GIOVANE CRUIJFF, GLI OLANDESI UMILIANO IL LIVERPOOL: IL MONDO SCOPRE UN NUOVO MODO DI GIOCARE

di Andrea Schianchi, La Gazzetta dello Sport, 17 aprile 2016


Il 7 dicembre 1966 alla Scala di Milano risuonavano le note del Nabucco di Giuseppe Verdi. Successo, applausi, cori da stadio. Ad Amsterdam, in quelle stesse ore, un’orchestra fino ad allora sconosciuta eseguiva uno spartito che per decenni avrebbe allietato gli spettatori di tutto il mondo.

Sulle «ali dorate» del diciannovenne Johan Cruijff correva il pensiero rivoluzionario di Rinus Michels. Insieme crearono una leggenda: il calcio totale. E lo fecero in mezzo a una nebbia tanto fitta che la rappresentazione rischiò di essere sospesa.

Da quella sera, nell’universo del pallone, tutto sarebbe cambiato, e non avrebbe potuto essere diversamente perché, nonostante la scarsa visibilità, quello che apparve agli occhi della gente accorsa allo Stadio Olimpico di Amsterdam fu straordinario. Un nuovo modo di giocare, di interpretare la partita, di affrontare l’avversario. Per capire la portata dell’evento è sufficiente ricordare che, quando un allenatore di oggi vuole farsi bello, dice che la sua squadra pratica un «calcio totale».

RELAZIONE
Ottavi di finale di Coppa dei Campioni. Il sorteggio aveva opposto l’Ajax al Liverpool. Gli inglesi erano favoriti. Un assistente di Bill Shankly, allenatore dei Reds, aveva seguito gli olandesi in una partita di campionato: voleva capire come giocavano, quei ragazzi dell’Ajax di cui tanto si cominciava a parlare ma poco si sapeva. Ne ricavò un’impressione pessima, tanto che al ritorno a Liverpool spiegò al suo capo Shankly che non ci sarebbero stati problemi: «Troppo deboli in difesa». Shankly ascoltò il suo collaboratore e disegnò la tattica per la partita d’andata ad Amsterdam. Il Liverpool, come tutte le squadre inglesi dell’epoca, praticava un rigido 4-4-2: manovra basata sui lanci lunghi e sui colpi di testa. Più fisico che tecnica: questo era il verbo dei sudditi di Sua Maestà che in quell’estate avevano conquistato il Mondiale. Potevano mai, i Maestri del Calcio, preoccuparsi di una banda di ragazzini?

MONOLOGO
L’arbitro era l’italiano Antonio Sbardella. In un primo momento, quando verificò le condizioni atmosferiche, disse che non si poteva giocare: troppa nebbia, non si vedeva un accidente. Poi parlò con i dirigenti delle due società e a convincerlo fu proprio Shankly che voleva disputare la partita a tutti i costi: rinviarla sarebbe stato un problema perché, di lì a qualche giorno, il Liverpool avrebbe dovuto affrontare il Manchester United, e quella sì che era una sfida importante, secondo l’allenatore dei Reds, mica questa gara contro l’Ajax che, nei suoi piani, era già vinta. Fatto sta che Sbardella diede il fischio d’inizio e ai cinquantacinquemila spettatori dello Stadio Olimpico parve di entrare al parco dei divertimento.

Fu chiaro fin da subito che l’Ajax praticava un calcio innovativo e che il Liverpool ci capiva poco o nulla. Dopo tre minuti gli olandesi erano in vantaggio grazie a un gol di De Wolf. Poi ci pensarono il diciannovenne Cruijff e Nuninga che realizzò una doppietta. All’intervallo il risultato era 4-0 a favore dell’Ajax. Furono quindici minuti terribili per Shankly che tentò di sollevare il morale dei suoi: ma c’era ben poco da fare, gli olandesi erano dappertutto, arrivavano su tutti i palloni, li giocavano con maestria e saggezza, si muovevano in velocità, dribblavano e triangolavano con una facilità impressionante. C’era, nel loro stile, qualcosa che ricordava la Grande Ungheria di Puskas e Hidegkuti, ma in più questi ragazzi dell’Ajax avevano maggiori capacità atletiche. La ripresa fu ancora un monologo olandese. Soltanto a un minuto dalla fine il Liverpool si svegliò e riuscì a segnare un gol con Lawler. Fu un lampo, perché subito dopo l’Ajax ristabilì le distanze: rete di Groot e fischio finale di Sbardella. Finì 5-1 per la squadra di Rinus Michels che scattò in piedi dalla panchina e balzò in campo a esultare. Aveva capito che, quella sera, era nata una stella. E lui, quella stella, l’aveva disegnata. Con pazienza e con metodo.

LEZIONE
Non era ancora il grande Ajax, quello che avrebbe monopolizzato la Coppa dei Campioni nei primi anni Settanta. Questa era soltanto l’alba di una creatura che, nel tempo, si sarebbe evoluta e migliorata. Cruijff, però, già allora era uno spettacolo. Giocava con la maglia numero 9 e faceva tutto: il centrocampista, il regista, l’ala e il centravanti. 

Era il simbolo di quel calcio totale che Michels insegnava dopo averlo studiato grazie alle lezioni di un vecchio allenatore scozzese, un certo Jack Reynolds, il quale predicava rapidi scambi di posizioni, continui movimenti dei giocatori sul campo e azioni con il pallone sempre rasoterra. Il Liverpool non seppe reagire nemmeno nella partita di ritorno a Anfield: finì 2-2 e i Reds furono eliminati. L’Ajax non fece tanta strada in quella manifestazione, perse dal Dukla Praga al turno successivo, ma tutti, dopo il 5-1 al Liverpool, si convinsero che la rivoluzione era cominciata e nessuno avrebbe potuto fermarla. Non sarebbero stati i successi o le sconfitte a ostacolarla, perché le idee non muoiono in base ai risultati. Per fortuna.

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