Dilidin dilidon, Sor Claudio: la Premier è tua
Dal nadir greco allo zenit inglese. Da Tinkerman bollito, quasi non quotato come primo esonero della Premier, a manager campione d'Inghilterra al primo anno col Leicester City, che a inizio stagione i bookmaker bancavano 5000 a uno.
E adesso come la mettiamo con l'eterno secondo, il provinciale, il catenacciaro, l'uomo giusto nel momento sbagliato e tutta la serie di luoghi comuni e pregiudizi che "er fettina", il figlio del macellaio, s'è portato dietro - e dentro - per una vita?
«Se io sbaglio i tempi è solo colpa mia (ride) Io arrivo nei momenti magari più difficili. Quando mi piace un progetto ci vado dentro, poi magari non riesco forse a vedere più in là, no? Questo è un buon progetto, sta crescendo bene e posso arrivare in fondo…», ha dichiarato a Massimo Marianella ne I Signori del calcio di Sky Sport.
E in fondo stavolta c'è arrivato, appena 17 mesi dopo averlo toccato per davvero.
«Ho sbagliato, perché è un lavoro totalmente diverso da quello che sono io. La Grecia è una di quelle avventure che ci sta. E questo la dice tutta su come sono fatto. Dentro di me convivono due persone: una, quello che vuole essere e che vuole diventare; l’altra, quella più razionale, che dice: “Cosa hai fatto?” Quella che dice: “Dove vuoi arrivare?”. “Non sono soddisfatto di quello che ho fatto”. L’altra, se devo essere un attento osservatore: “Ma che vai cercando?”. “Sì, non hai vinto tanti trofei, ma in quale momento sei arrivato in quelle società?”».
Hai voglia a dire che i soldi veri sono arrivati sempre dopo di lui; che da allenatore ha conquistato 6 trofei e 4 promozioni, più le 3 ottenute da giocatore. E certo non da predestinato. Proprio come le sue Foxes.
«Noi giochiamo contro grossi campioni, però non ci arrendiamo mai. E questo è un po’ il mio spirito. Io da giocatore non ero sublime, anzi. Però, se mi battevi, è perché eri stato più bravo. È quello che dico a loro: se [gli avversari] sono stati più bravi, gli stringeremo la mano e gli faremo i complimenti. Ma prima devono passare su di noi».
C’è però un aspetto che tifosi e critica, tutti abbagliati da questa sorta di reincarnazione del Nottingham Forest di Brian Clough, hanno forse trascurato: è il cambiamento mediatico di Ranieri. Oggi nessuno, nemmeno José Mourinho, si permetterebbe di ironizzare sull'inglese o sull’età del Sor Claudio.
E anche con i giornalisti, Ranieri, che ormai non ha più niente da chiedere o dimostrare, se non a se stesso, è parso più a suo agio. Il solito gentleman, ma con quel pizzico di esuberante italianità che il mondo tanto ci invidia.
Il miracolo-Leicester, che tale non è ma così fa comodo chiamarlo, nasce anche, se non soprattutto, da lì.
Il resto però è tutto lavoro. Il lavoro di un allenatore che non sarà mai Mourinho, Guardiola e forse nemmeno Ancelotti, Allegri o Simeone, ma che è un grande uomo di calcio.
E non riconoscerlo sarebbe fare un torto a lui e gli altri protagonisti di questa meravigliosa storia di sport.
«Per me la Premier è il calcio, la sportività assoluta».
Se c’era un posto dove potevi farcela, era lassù. E ci sei arrivato. Finalmente.
Dilidin dilidon, Sor Claudio. Dilidin dilidon.
E adesso come la mettiamo con l'eterno secondo, il provinciale, il catenacciaro, l'uomo giusto nel momento sbagliato e tutta la serie di luoghi comuni e pregiudizi che "er fettina", il figlio del macellaio, s'è portato dietro - e dentro - per una vita?
«Se io sbaglio i tempi è solo colpa mia (ride) Io arrivo nei momenti magari più difficili. Quando mi piace un progetto ci vado dentro, poi magari non riesco forse a vedere più in là, no? Questo è un buon progetto, sta crescendo bene e posso arrivare in fondo…», ha dichiarato a Massimo Marianella ne I Signori del calcio di Sky Sport.
E in fondo stavolta c'è arrivato, appena 17 mesi dopo averlo toccato per davvero.
«Ho sbagliato, perché è un lavoro totalmente diverso da quello che sono io. La Grecia è una di quelle avventure che ci sta. E questo la dice tutta su come sono fatto. Dentro di me convivono due persone: una, quello che vuole essere e che vuole diventare; l’altra, quella più razionale, che dice: “Cosa hai fatto?” Quella che dice: “Dove vuoi arrivare?”. “Non sono soddisfatto di quello che ho fatto”. L’altra, se devo essere un attento osservatore: “Ma che vai cercando?”. “Sì, non hai vinto tanti trofei, ma in quale momento sei arrivato in quelle società?”».
Hai voglia a dire che i soldi veri sono arrivati sempre dopo di lui; che da allenatore ha conquistato 6 trofei e 4 promozioni, più le 3 ottenute da giocatore. E certo non da predestinato. Proprio come le sue Foxes.
«Noi giochiamo contro grossi campioni, però non ci arrendiamo mai. E questo è un po’ il mio spirito. Io da giocatore non ero sublime, anzi. Però, se mi battevi, è perché eri stato più bravo. È quello che dico a loro: se [gli avversari] sono stati più bravi, gli stringeremo la mano e gli faremo i complimenti. Ma prima devono passare su di noi».
C’è però un aspetto che tifosi e critica, tutti abbagliati da questa sorta di reincarnazione del Nottingham Forest di Brian Clough, hanno forse trascurato: è il cambiamento mediatico di Ranieri. Oggi nessuno, nemmeno José Mourinho, si permetterebbe di ironizzare sull'inglese o sull’età del Sor Claudio.
E anche con i giornalisti, Ranieri, che ormai non ha più niente da chiedere o dimostrare, se non a se stesso, è parso più a suo agio. Il solito gentleman, ma con quel pizzico di esuberante italianità che il mondo tanto ci invidia.
Il miracolo-Leicester, che tale non è ma così fa comodo chiamarlo, nasce anche, se non soprattutto, da lì.
Il resto però è tutto lavoro. Il lavoro di un allenatore che non sarà mai Mourinho, Guardiola e forse nemmeno Ancelotti, Allegri o Simeone, ma che è un grande uomo di calcio.
E non riconoscerlo sarebbe fare un torto a lui e gli altri protagonisti di questa meravigliosa storia di sport.
«Per me la Premier è il calcio, la sportività assoluta».
Se c’era un posto dove potevi farcela, era lassù. E ci sei arrivato. Finalmente.
Dilidin dilidon, Sor Claudio. Dilidin dilidon.
PER SKY SPORT 24, CHRISTIAN GIORDANO
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