FOOTBALL PORTRAITS - Theo Walcott, gli occhi della Tigre
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di CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo ©
La sua velocità fa pensare più ad altri accostamenti creativi, ma il principale soprannome che Theo Walcott, nome completo Theodore James, porta con sé è quello di Tiger, Tigre. In realtà, oltre a sfuggire agli avversari, come ha fatto memorabilmente in Champions League nemmeno due mesi fa, deve continuamente rincorrere prima di tutto se stesso, dato che oltremanica ha battuto ogni record di precocità.
Due stagioni addietro l’allora Ct dell’Inghilterra, Sven-Göran Eriksson, rischiò di bruciarlo e invece si bruciò (anche) portandolo al mondiale tedesco 17enne e digiuno di nazionale Under 21, prima squadra dell’Arsenal e Premier League. Folgorato dalla classe e dal cambio di passo di quell’aletta (1,76 x 70 kg), letale anche da seconda punta, lo svedese per nulla di ghiaccio lo seguiva sin da quando la Tigre, accalappiata dai Gunners il 20 gennaio 2006, stracciava primati al Southampton. “Esperienza che gli servirà per la carriera” spiegò. Invece, in Germania poi non lo farà giocare e al Ct nessuno perdonerà di averlo inserito, nei 23, al posto dei vari Jermain Defoe, James Beattie, Dean Ashton e, soprattutto, degli ultimi due capicannonieri del campionato: Andy Johnson e Darren Bent (18 gol in 36 gare col Charlton Athletic).
Scelta esiziale se ti porti 4-punte-4 e metà sono convalescenti (l’ormai abbonato Michael Owen e il miracolato Wayne Rooney, che si era rotto il piede sinistro il 30 aprile).
Metabolizzati il disorientamento post improvvisa notorietà e qualche illustre invidia (“non aveva titoli per venire al mondiale”, ha scritto Steven Gerrard nell’autobiografia), in due stagioni Walcott è assurto dallo status di baby-prodigio raccomandato di lusso a futura pietra angolare sulla quale il Ct Fabio Capello dovrà edificare la nazionale da titolo a Sudafrica 2010. In sintesi: un esempio per i migliori giovani della Premier League e il simbolo del ricambio generazionale che il flop alle qualificazioni di Euro2008 ha reso indifferibile.
Essenziale, nel fare uscire dal bozzolo della giovane promessa il possibile campioncino, il graduale processo di apprendimento cui lo sottopone Arsène Wenger ai Gunners.
Strappato a Tottenham Hotspur, Chelsea, Liverpool, Manchester United, Real Madrid e Barcellona, Milan e Juventus il 16enne più costoso nella storia del calcio britannico – 7,5 milioni di euro, con una clausola, poi rivista, che ai Saints poteva portarne fino a 18, in base alle presenze e ai gol di Walcott coi nord-londinesi – il mago alsaziano lo ha centellinato: 16 presenze, 11 delle quali entrando dalla panchina, nel 2006-07; 39 di cui 20 da titolare questa stagione, firmata da Theo con quattro gol e due assist in Premier League, un gol in FA Cup e due in Champions League contro lo Slavia Praga (il primo su errato rinvio da parte del portiere Martin Vaniak, il secondo su servizio di Alexander Hleb). In Europa, però, il capolavoro l’ha pennellato nel ritorno dei quarti di finale, contro il Liverpool: settanta metri palla al piede, evitando quattro birilli, prima di servire il cioccolatino sul piatto destro di Emmanuel Adebayor. Finirà 4-2 per i Reds, e su quelle eliminazione si è spenta la prima stagione dei Gunners post-Henry, il suo idolo e modello. C’è da scommetterci: la prossima, per l’erede (non di ruolo) di Titì, sarà un crescendo rossiniano.
In pochi l’avrebbero detto il 7 febbraio 2006, quando Wenger lo portò per la prima volta in panchina, contro il Birmingham City. E anche, due giorni dopo, quando a “rubarglielo” era stata la Under 19 inglese con la quale Theo debutterà il 28 al Sixfields Stadium di Northampton, siglando il definitivo 3-0 alla Slovacchia su rigore battuto due volte (il primo l’aveva sbagliato). Nel frattempo, nel club erano arrivati l’esordio con gol fra le riserve, battute 3-2 a Havant dal Portsmouth e, con la prima squadra, la panca negli ottavi di Champions League contro il Real Madrid al Bernabéu.
Il giorno del 17° compleanno sottoscrive il suo primo contratto da professionista: un biennale da 1,3 milioni di euro a stagione. Nell’aprile 2008, in crisi finanziaria, il Southampton accetta il nuovo accordo-capestro e rinuncia così a ogni futura spettanza su Walcott. Che all’Arsenal costerà così 9,1 milioni di sterline (13,65 milioni di euro): 1,6 subito e 500 mila entro fine anno, più i sette già versati. “A quell’età io non ero così bravo” ha sentenziato Wayne Rooney. Facile intuire chi abbia fatto il vero affare. E chi mediti di farne un altro: il cugino di Theo, Jacob, è centrocampista nel vivaio del Reading e nell’Under 16 inglese.
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GUERIN SPORTIVO © n. 24, 11-18 giugno 2008
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Un lampo già nella storia
Londinese di Stanmore, dove è nato il 16 marzo 1989, il figlio di Don e Lynn, originaria delle Barbados, cresce tifando Liverpool (come il papà) a Compton, 1400 anime fuori Newbury, nel West Berkshire: un supermercato, un hotel, un pub, un campetto.
Fino ai dieci anni, il pallone lo vede solo a scuola, non in tv né in strada. Ma alla prima partita nell’AFC Newbury segna una tripletta e l’allenatore Roger Allan telefona a casa Walcott: “Credo che Theo abbia qualcosa di speciale”. Nel 2000, con gli Under 11 del Newbury batte 4-2 il Down Grange Albion nella finale della Peter Houseman League Cup, gara-clou di un’annata da 79 gol, oltre 100 (in 35 gare) contando anche i tornei minori. Numeri buoni per entrare da schoolboy al Centre of Excellence dello Swindown Town. Ai Robins resta mezza stagione: nel 2004 lo chiama la Academy del Southampton.
Per sei anni, ogni martedì e giovedì, papà Don, impiegato civile alla RAF e poi dipendente di una compagnia di servizi della British Gas, si alza alle quattro per rientrare alle 14.30, mangiare un boccone e scarrozzare Theo, appena tornato da scuola, per l’ora d’auto verso il campo dei Saints. Al ritorno, cena a tarda sera e compiti. “La nostra non è l’unica famiglia in cui i figli lavorano duro e i genitori li aiutano. I ragazzi non ci devono niente, siamo noi a dovergli tutto” è il mantra di Walcott padre.
Con la velocità ereditata dal genitore (11,2” sui 100 metri, meglio dell’11,7” del figlio quattordicenne), Theo brucia le tappe: nel Southampton a 13 anni è già con gli Under 17, a 14 con gli U19 e nelle riserve; a 15 è nell’Inghilterra U17: 5 gol in 11 partite. Dalla Under 19 balza alla nazionale A come il più giovane debuttante di sempre: ha 17 anni e 75 giorni, il 20 maggio 2006, quando al 65’ subentra a Michael Owen nel 3-1 sull’Ungheria all’Old Trafford di Manchester.
Nel Southampton, neo-retrocesso in Championship, debutta in prima squadra quando è già testimonial della multinazionale con lo sbaffo. La stessa che ha nutrito a dollari il coetaneo statunitense Freddy Adu. Nella ripresa dello 0-0 casalingo col Wolverhampton, George Burley ne fa il più precoce esordiente nella storia del club: 16 anni e 143 giorni. Da titolare debutta segnando nel ko (2-1) di Leeds. È la prima di quattro reti in 21 partite coi grandi.
Sei mesi prima della sorta di vacanza-studio a Germania 2006, lascia il club del St Mary’s per l’Arsenal come riserva più verde (a 15 anni e 175 giorni il primo subentro, contro il Watford) e con la finale di FA Youth Cup 2005, persa 3-2 contro l’Ipswich Town.
All’11’ di un’altra sconfitta in finale di coppa arriva il primo gol con l’Arsenal: lo firma, a Cardiff il 25 febbraio 2007, nell’epilogo di Carling Cup (la Coppa di Lega), vinta 2-1 dal Chelsea.
Capitano della U21 di Stuart Pearce, vanta 14 presenze e 5 gol, l’ultimo il 5 febbraio contro l’Irlanda a Southampton. Il cerchio si è chiuso: persi gli Europei-baby per un guaio a una spalla, il bimbo d’oro – che è fidanzato con l’ex commessa Melanie Slade e abita ancora coi genitori ma nello Hertfordshire, vicino al centro tecnico dell’Arsenal – è pronto per Fabio Capello.
(ch.,giord)
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