HOOPS PORTRAITS - Garnett, The Revolution è finita
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di CHRISTIAN GIORDANO ©
SKY SPORT 24 © - 24 settembre 2016
SKY SPORT 24 © - 24 settembre 2016
The Big Ticket, il Bigliettone. Perché chi l’avrebbe pescato al draft NBA si sarebbe sistemato per la vita.
The Future, perché un 2,09 x 110 kg capace di stoppare à la Bill Russell, il suo idolo, e dominare anche fuori dell’area, e senza esser mai passato dal college, avrebbe riscritto le regole del gioco.
Chiamatelo come volete, Kevin The Revolution Garnett.
Un cyber-corpo di atletismo e flessuosità forse mai visti prima, ma soprattutto una debordante personalità
di compulsivo, ossessivo trash-talker che lo ha fatto amare o detestare.
Un pioniere in tanti aspetti che ha mostrato a generazioni di giocatori NBA come difendere in una squadra da titolo. Quello del 2008, il 17esimo stendardo, i Celtics lo aspettavano dall’86.
E pensare che tutto cominciò con un workout che fece voltare nientemeno che un altro Kevin leggenda biancoverde, McHale.
Ventuno. Gli anni passati in NBA, e il numero con cui ha cominciato e finito a Minnesota. Nel mezzo l’iconico 5 a Boston e il 2 a Brooklyn.
Fino al 1995 nessuno sapeva se quel fascio di nervi e muscoli, quasi privo di massa grassa, ce l’avrebbe fatta ad alto livello. Un liceale sbucato dal nulla e diventato, quattro anni dopo, l’atleta di sport di squadra più pagato al mondo: 126 milioni di dollari per sei anni. Certo, grazie anche al nuovo contratto collettivo figlio del lockout che aveva ritardato di tre mesi e due giorni la stagione 1998-99.
Era lui la ragione ultima del lockout. Dove andremo a finire, farà saltare il banco, si chiedevano executive e proprietari. Magari gli stessi che lo avrebbero firmato a qualunque costo.
Ci riuscirono invece i piccoli T’Wolves. Il suo agente Eric Fleisher gli aveva organizzato un workout a Chicago (dove KG era emigrato ragazzino dal South Carolina) e aveva invitato le squadre che avevano le prime 13 scelte al prossimo draft. Affittò la palestra della University of Illinois-Chicago e a dirigere le esercitazioni chiamò l’assistente allenatore dei Detroit Pistons, John Hammond. Nessuno aveva mai fatto niente del genere.
McHale, ai tempi vicepresidente dei T’Wolves, quel ragazzino che a ogni giocata emetteva un barbarico yawp non volle neanche tornare a vederlo. Tempo sprecato. E il tempismo, nel basket, è tutto: Minnesota lo scelse con la quinta pick assoluta. Era nato The Future, e lì 21 anni dopo, si è chiusa un’èra.
Quella, irripetibile, di Kevin The Revolution Garnett. Il bigliettone.
PER SKY SPORT 24 ©, CHRISTIAN GIORDANO ©
24 settembre 2016
24 settembre 2016
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