FOOTBALL PORTRAITS - Dinho, mai darlo per finito (2013)
In tanti e non solo Massimiliano Allegri lo avevano dato per finito. Almeno, per il grande calcio europeo. E invece Dinho, tornato a casa, con l’Atlético Mineiro s’è ripreso il Sud America in attesa di fare lo stesso col mondo, fra un anno, con la Seleção.
Ha vinto tutto, Ronaldinho, in una carriera straordinaria eppure inferiore alle attese, quelle pure straordinarie quanto il suo sconfinato talento. Bronzo olimpico, Copa Libertadores e Champions League, mondiale, Copa América e Confederations. Pallone d’oro.
Il Barcellona lo aveva svenduto al Milan per impedirgli di distrarre l’amicone Leo Messi con una vita da atleta non esemplare. Ma nel calcio iper-dinamico di Allegri, per il suo genio infinito quanto discontinuo, non c’era più posto. Meglio andar via, allora: al Flamengo, per 3 milioni di euro.
Il rossonero però non gli porta bene. In 17 mesi vince il titolo carioca e segna 28 gol in 72 presenze, ma uno come Dinho si valuta dal sorriso, non dalle cifre. Neanche dai 40 milioni di reais per cui cita in giudizio il club prima di rescindere il contratto. Era il maggio del 2012, il suo anno più difficile, in campo e fuori. E superato, sono parole sue, grazie (anche) all’aiuto dell’Atlético Mineiro.
Il 4 giugno, firma per sette mesi con il Galo di Belo Horizonte e quando lui arriva la “dieci” è di Guilherme. Dinho allora sceglie il 49, l’anno di doña Miguelina, la mamma, appena operata per un tumore.
Lì è rinato l’ultimo dei sette capaci di vincere Champions League e Copa Libertadores assieme agli argentini Samuel, Tévez e Sorín e ai connazionali Dida, Cafu e Roque Júnior. Con lui fanno quattro ex rossoneri che hanno vinto anche il mondiale. Per Ronnie un tuffo al cuore che solo il di nuovo Ct Felipão Scolari può curare.
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