FOOTBALL PORTRAITS - El Shaarawy, Faraonico (2012)
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Le cessioni di Ibra e Cassano post-lodo Mondadori, gli infortuni di Pato e Robinho, il ritiro di Inzaghi, ma soprattutto il talento gli hanno fatto alzare la cresta. A vent’anni l’ex genoano ha tutto per diventare il numero uno nel Milan e della nazionale a Brasile 2014
È l’uomo nuovo del nostro calcio. Segna e fa sognare. Ha una storia da predestinato. Le giovanili nel Genoa, la corte della Juventus, lo speciale taglio di capelli («non glieli può far tagliare nemmeno Berlusconi»), la nazionale, il Milan. Questo ventenne ha un grande futuro
di CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo © n. 12, dicembre 2012
Per gli americani è chamber cinema. È il Dustin Hoffman che, dopo otto mesi di lavoro sul copione di Kramer contro Kramer e la fresca separazione nella vita reale, improvvisa davanti la cinepresa la scena della colazione. È il talento che ti esplode in faccia, quando vuole, anche o soprattutto se non lo avevi previsto.
COME KAKÁ
Nella vecchia Europa s’è visto la sera del 3 ottobre 2012 al Petrovskiy Stadion di San Pietroburgo. Un ragazzino di neanche vent’anni che alza la cresta e ha in testa un’idea meravigliosa: emulare Kaká, il suo idolo di bambino. Cuffie bianche al collo scendendo dal pullman, voglia di spaccare il mondo sin dalla musichetta di Champions, inno ascoltato da titolare accanto all’amicone Kevin Prince Boateng. Poi quel gol allo Zenit. Il suo primo nella coppa che al Milan più sta nel cuore. Un gol alla Kaká.
PREDESTINATO
Stephan Kareem El Shaarawy lo sognava dai tempi dell’USD Lègino, squadretta di quartiere nell’hinterland di Savona, la città dove è nato il 27 ottobre 1992. Savonese è anche la mamma Lucia, infermiera alla ASL. Il papà Sabri, laureato in psicologia al Cairo, è invece egiziano ed è a quelle origini che il figlio deve il soprannome di piccolo Faraone. Stephan però ama di più El 92, nick affibbiatogli al Padova dal compagno (anche di scherzi su youtube) Totò Di Nardo per il gran gol alla Reggina.
ZENA PER LUI
Il primo tram passa presto. Al Genoa lo porta il neo-responsabile del settore giovanile, Michele Sbravati, ex difensore rossoblù (6 presenze in B nel 1984-85) e savonese d’adozione: «Il Genoa mi assunse il 4 agosto 2003, il 5 prendemmo El Shaarawy. Fu il primo acquisto del presidente Enrico Preziosi per la scuola calcio. Pensavamo sarebbe diventato un giocatore, dai 13-14 anni eravamo certi di avere un campione. Tecnica e velocità, un binomio che fa la differenza. Basta vedere il gol allo Zenit». Per Luca Chiappino, che lo ha allenato tre anni nella Primavera, «niente che non gli avessi già visto fare quando era ancora più giovane».
JUVENTINO MANCATO
E pensare che poteva finire alla Juventus. Lo ha raccontato al Secolo XIX il suo primo allenatore al Legino, Dionigi Donati: «Aveva nove anni, e a ogni partita se ne inventava una. I club più forti iniziavano a seguirlo, ma io lo sognavo in bianconero. Ho chiamato degli osservatori della società e gli ho detto: “Guardate che qui c’è un fenomeno, non fatevelo scappare”. E invece la Juve se l’è fatto soffiare. Hanno tentennato, dicevano che era ancora troppo piccolo, che era troppo presto e non si sono più presentati. E forse se ne saranno pentiti.
Era fenomenale, un anno ha segnato 132 gol. A 6 anni, ti faceva vincere le partite da solo. A 10, faceva numeri che non si vedono neanche in Serie A. In 32 anni da allenatore, mai visto uno così».
Sul personalissimo taccuino, una data già storica: «25 maggio 2002. Perdiamo 2-1 col Torino, ma giochiamo una partita favolosa. Quel giorno ho pronosticato: a 25 anni, Stephan sarà un fuoriclasse. Spero solo che Dio mi dia la salute e mi permetta di vedere avverate le mie previsioni: voglio ammirarlo in Serie A”». Dieci anni dopo, da arzillo 89enne che ancora allena i Pulcini del Legino, lo ha rivisto perdere ancora 2-1, ma all’esordio in nazionale, il 10 agosto 2012 allo Stade de Suisse di Berna contro l’Inghilterra.
AZZURRO PALLIDO
Una storia, quella azzurra, un po’ tribolata per un predestinato che al Genoa giocava nei Giovanissimi B già da esordiente. «Lo abbiamo segnalato alle nazionali Under 15 e Under 16 – spiega Curino – ma nessuno si faceva mai vivo. Poi abbiamo scoperto perché, credevano fosse straniero». Risolto l’equivoco, Stephan fa la trafila dalla U16 alla U19. Con la Under 17 nel 2009 gioca Europeo e Mondiale. A febbraio 2011, Ciro Ferrara lo chiama nella U21 per l’amichevole contro l’Inghilterra, ma Stephan la guarda dalla panchina. Prandelli invece contro gli inglesi lo fa subito titolare. Stephan non gioca benissimo, ma è fuori ruolo. Si rifarà. Dopo l’Europeo U21, il suo prossimo sogno azzurro sarà Brasile 2014.
GIÀ MATURO
A stupire anche i più scafati addetti ai lavori è la sua debordante personalità, che però non tracima mai, né in campo né fuori, in atteggiamenti sopra le righe. Il che però non significa che difetti di fiducia in se stesso e nei suoi mezzi, o che si faccia mettere in piedi in faccia dai big. Fossero anche Ibra o Gattuso. Che sia diventato grande lo capisci anche dalle versioni discordanti su un aneddoto, in apparenza insignificante, che risale all’esordio in A, il 21 dicembre 2008. Sala stampa del Bentegodi di Verona, non proprio un bunker anti-giornalisti, visto che per raggiungere il pullman i giocatori devono quasi attraversarla. Povero, Rubén Olivera. In un Genoa con l’attacco titolare fuori per gli infortuni, aveva segnato lui, all’88’, lo 0-1 sul Chievo e tutti a cercare quel ragazzino di origine egiziana che a 7’ dalla fine, subentrando a Janković, era diventato il più giovane esordiente in A nella storia rossoblù: 16 anni, un mese e 24 giorni. Gian Piero Gasperini, sabaudo di ferro, fiuta l’aria e mette il veto: per il bimbo niente interviste. Invece, spunta la cresta ispirata a Marek Hamsik: il pupo è ambizioso, ci tiene, ha voglia di farsi vedere. E in sala stampa ci va di sua sponte. “Gasperson”, per punizione, lo rispedirà ad allenarsi due settimane con la Primavera. A chiederne oggi, tutti negano o minimizzano. Vero o no, l’aneddoto resta gustoso quanto quello sul primo incontro col suo futuro agente. Sotto una pioggia torrenziale, Roberto La Florio, ligure lui pure e col pallino dei giovani, si ritrova da solo davanti agli spogliatoi per un Genoa-Pro Patria che invece era Pro Patria-Genoa. L’appuntamento è rimandato di una settimana, come l’innamoramento tecnico che scatta «al primo approccio col pallone, lui non era come gli altri ragazzini, non era innamorato del pallone: lo toccava il giusto, mai un tocco in più. Semmai uno in meno. Come in quel Milan-Udinese, il suo primo gol in Serie A: con uno stop ha saltato due avversari. Un gol anche quello alla Kaká».
Con la Primavera, in due anni, vince tutto: Coppa Italia sulla Roma e Supercoppa sul Palermo nel 2008-09, scudetto 2009-10 con gol in finale sull’Empoli. Poi un anno in prestito al Padova (preferito perché gli promette di farlo giocare), in B, dove conosce il calcio “vero”. Infortuni compresi. Da ottobre a gennaio si ferma per una tendinopatia rotulea bilaterale, risolta con una terapia conservativa, poi un gran campionato chiuso da Miglior giocatore della cadetteria, il quinto posto in classifica e la finale playoff persa contro il Novara. Il sogno promozione era sfumato, ma se il Padova era arrivato a cullarlo lo doveva anche ai suoi 7 gol, in particolare alla doppietta nella semifinale di ritorno contro il Varese. Il Milan, che lo segue da mesi, sfrutta l’amicizia fra l’ad Adriano Galliani e il presidente genoano Preziosi e per 7 milioni più il cartellino di Alexsander Merkel inchiostra la comproprietà, riscattata l’8 giugno 2011 con altri 3 milioni, per un esborso totale compreso tra i 14 e i 16. Una cifra alta per un 19enne, lontana dai 25 sbandierati dal patron rossoblù, ma già fuori portata per qualsiasi club italiano. Ai tempi dello scudetto Primavera, Stephan era già considerato uno dei migliori ‘92 italiani insieme con il difensore Vincenzo Camilleri (ex Reggina, Chelsea e Juve, ora al Cagliari) e i centrocampisti Marco Verratti e Marco Ezio Fossati (scuola Milan, in prestito all’Ascoli), ma c’erano ancora dubbi sulla sua tenuta fisica. Appena arrivato a Milanello, al minimo contatto volava a terra. Ma con un lavoro specifico sugli arti inferiori, normale potenziamento a quell’età, si è irrobustito senza perdere in agilità e velocità. I suoi marchi di fabbrica assieme al destro a giro, sferrato con quel suo modo tutto particolare di calciare, rientrando da sinistra e abbassando molto il tronco sull’altra gamba. Si spiega anche così la tendinopatia rotulea bilaterale al ginocchio sinistro che al Padova lo aveva frenato da ottobre 2010 a gennaio 2011. Corretto l’allora ds Rino Foschi nel tenerlo a riposo e nell’informare il Milan, che ha sempre monitorato tutto e poi, al momento giusto, ha accelerato per bruciare, in primis, Inter, Real Madrid e Barcellona.
GEMMA INCEDIBILE
La Florio, ormai un amico di famiglia oltre che il procuratore, il commercialista, il consulente fiscale, finanziario e assicurativo di Stephan, non vuole entrare in discorsi di mercato, ma fa capire che la base d’asta partirebbe ben sopra i 20 milioni che Milan e Genoa, con le rispettive plusvalenze, hanno messo a bilancio in due tranche in due anni. Appena sentito odore di Manchester United, l’ad Adriano Galliani il 25 luglio scorso gli ha prolungato il contratto fino al 2017. E alla richiesta di alzargli l’ingaggio da 600 mila euro al milione l’anno, ha chiuso a 800 ma con la promessa di ridiscuterlo presto, in base anche a risultati e rendimento. E con lo straordinario inizio di stagione, la forza contrattuale dell’agente sarà ben altra. Per ora al suo assistito La Florio ha promesso una sorpresa in caso di doppia cifra di gol in campionato. Stephan intanto una scommessa l’ha già vinta, quella con il capitano Massimo Ambrosini: vacanza pagata per 10 gol entro Natale. Ambro, puoi già prenotare.
MILANO DA MANGIARE
Necessario farlo per i comuni mortali all’Armani Nobu, sushi bar nella centralissima via Pisoni, zona Brera, prezzi medi: 100-115 euro. C’è invece sempre un tavolo riservato per Pato e Boa, i compagni con cui il Faraone ha più legato e che frequenta anche fuori Milanello. Cucina “new style” giapponese con influssi peruviani dello chef Nobuyuki Matsuhisa. Per il resto tanti videogiochi (soprattutto in trasferta), gli amici di Savona e al massimo qualche testacoda in pista a Monza con l’Audi R8 bianca guidata dal pilota di rally Rinaldo Dindo Capello. Poca, e riservatissima, movida. Anche perché la Milano dei vip è un paesone: si sa tutto di tutti. E subito. Stephan vive ancora coi suoi, che lo seguono ovunque. Fosse anche San Pietroburgo. Appena atterrato il volo dalla Russia, il fratello minore Manuel, laureando in economia, spiegava così ai cronisti i perché di tanta attenzione: «Qualcuno di noi a Milano c’è sempre, vogliamo stare vicini a Stephan, la famiglia e l’equilibrio vengono prima di tutto». Lo stesso valeva in casa con lo studio, che aveva la priorità anche sul calcio. «In famiglia siamo tutti laureati» diceva orgoglioso il papà-manager (che non significa procuratore) a giugno 2011, quando il secondogenito ha dato la maturità un mese prima del ritiro col Milan. E tanto per capire come funziona la scuola in Italia, l’istituto Boselli di Savona (Scuola superiore per dirigenti di comunità) gli ha sì rilasciato il diploma, ma solo con 60/100 e senza riconoscergli neanche un punto in più per crediti formativi extrascolastici: come professionista non aveva diritto a tirocinio né a stage. Il calcio però è sempre stato la sua passione, condivisa col padre, tifosissimo rossoblù, che in settimana lo portava su e giù da Legino, vicino Spotorno, a Pegli per l’allenamento e ogni due weekend a Marassi a guardare il Genoa. Crescendo, Stephan è diventato tifoso del Milan. E il primo regalo di papà è la replica rossonera di Kaká. Da sempre suo modello per stile, educazione e carattere, più che per caratteristiche di gioco. E certo non di look.
HIGH BROW PROFILE
Fra i ragazzini è di cult la sua cresta (che non taglierà mai, nemmeno se «glielo chiede Berlusconi», ma se vince la Champions sì), sul web invece spopolano le sue sopracciglia spinzettate, tanto prese in giro in spogliatoio al suo arrivo al Milan. Qualche senatore ne approfittava per mandargli un segnale: deve pensare solo a giocare, non perdere tempo col look, gli ringhiava col sorriso Gattuso. «Criticatemi pure, ma su facebook hanno un gran successo. Ci tengo ad averle curate», il manifesto del Faraone. È un ragazzo del ‘92, fategli vivere il suo film. Senza più in cartellone superstar vere (Ibra) o presunte (Cassano), quest’anno più che mai servirà il talento. E improvvisare.
CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo © n. 12, dicembre 2012
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