Filippo Simeoni, Jack Flagrante è uscito dal gruppo
- Filippo Simeoni
«Ho tanti soldi e tanti bravi avvocati, posso rovinarti quando voglio».
- Lance Armstrong
di CHRISTIAN GIORDANO
Nella storia del ciclismo moderno c’è entrato dalla porta sbagliata, e non perché andava forte in bicicletta. C’è entrato perché, pur avendo sbagliato, dentro era più pulito degli altri. Di sicuro, di quella parte di gruppo che, ostaggio dell’onnipotente Lance Armstrong, l’ha come il suo ex boss ostracizzato.
Buon corridore – campione italiano 2008 e due volte vincitore di tappa alla Vuelta (2001 e 2003), Filippo Simeoni è troppo spesso ricordato solo per il ruolo avuto nella storiaccia di Armstrong, e ben prima che il texano dagli occhi e il cuore di ghiaccio ammettesse d’aver fatto uso di doping.
Nel corso di un’indagine, Simeoni aveva testimoniato d’aver chiesto alla squadra (la Carrera Jeans-Tassoni nel 1996, la Asics-CGA nel 1997) di essere seguito dal dottor Michele Ferrari, meglio noto in gruppo come Dottor Dio, che già lavorava con alcuni compagni di squadra dello stesso Simeoni. Nella deposizione, Simeoni aveva dichiarato che era stato Ferrari a prescrivergli i prodotti dopanti, in particolare quelli a base di EPO e di ormone della crescita, e che lo stesso Ferrari gli aveva dato istruzioni su come assumerli.
Simeoni fu squalificato per otto mesi e multato. Armstrong, la cui collaborazione con Ferrari era stranota, in un’intervista del luglio 2003 rilasciata al quotidiano francese Le Monde, lo definì un «liar», un bugiardo. Simone lo querelò per diffamazione, e chiese per danni 100.000 euro che, se avesse vinto la causa, avrebbe donato in beneficenza.
Ma anziché in tribunale, il vero rendez-vous si ebbe in strada, al Tour de France 2004. A due giorni dall’epilogo di Parigi, con Armstrong in giallo e ormai già padrone della sua sesta Grande Boucle. Il 23 luglio, nella 18esima e terzultima tappa, 166,5 km da Annemasse a Lons-le-Saunier, Simeoni scattò per entrare in una fuga. Non lo avesse mai fatto.
L’italiano era fuori classifica, 114esimo, a oltre due ore dalla maglia di leader, e la fuga era innocua, composta da uomini non pericolosi per la generale. Per di più in una frazione di trasferimento, tra il tappone di montagna del giorno prima e i 55 km di crono individuale a Besançon dell’indomani.
Dopo una trentina di km, erano partiti in sei: gli spagnoli Flecha, Mercado e Garcia Acosta, il francese Joly, il kazako Fofonov e l’olandese Lotz. Quando il vantaggio dell’azione salì a un minuto, partì una maglia bianconera della Domina Vacanze, dorsale 198: Filippo Simeoni.
Simeoni scalò il gruppo e dopo 14 km chiuse il buco, ma con un corridore attaccato alla ruota: la maglia gialla Lance Armstrong. Una cosa inaudita. Il leader della corsa che, a due giorni dalla passerella sugli Champs-Élysées, metteva a rischio il primato, e senza mai tirare, per inseguire un anonimo mestierante a caccia di un giorno di gloria?
C’era dell’altro, ovvio.
Armstrong voleva umiliare pubblicamente quello spione «bugiardo», quello «spudorato mentitore». O «mentitore totale», nella maldestra traduzione fatta dai media italiani.
La Bald Eagle americana voleva chiudere il becco a quel pulcino italiano troppo canterino. Lance disse agli altri fuggitivi che finché quello là non rientrava in gruppo, la maglia gialla sarebbe restata lì con loro e quindi addio fuga, addio visibilità in tv, addio eventuale vittoria di tappa (poi andata allo spagnolo Juan Miguel Mercado) e, chissà, forse anche ai contratti per la prossima stagione.
Simeoni fu subito rispedito indietro, e così fece Armstrong, che rientrato in gruppo non si risparmio risate e sfottò. Con tanto di gesto di bocca chiusa a zip.
Il bullismo elevato ad arte aveva avuto la sua plateale ufficializzazione in mondovisione in gruppo. E il gruppo apparteneva al boss. Idem la giuria, che nemmeno lo sanzionò.
Simeoni negli anni successivi non avrebbe più corso il Tour, e nel ciclismo sarebbe rimasto un paria.
Campione italiano in carica, gli fu negata la partecipazione al Giro d’Italia del 2009, l’anno in cui il carrozzone salutava il rientro in pompa magna del grande dittatore dopo il ritiro di quattro anni addietro. Simeoni restituì sdegnato la maglia tricolore. E nel 2009 disse basta. Meglio il bancone con la moglie Annalisa all’Any bar, aperto con il cognato nel 2010.
Jack Flagrante era uscito dal gruppo. Per sempre, ma a testa alta.
Commenti
Posta un commento