TOUR 1987 - L'EROE DEL TOUR VIENE DA LONTANO

STEPHEN Roche ha vinto il Tour de France. Giro e Tour nello stesso anno: un'accoppiata riuscita soltanto a Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault. 

Stretta di mano del primo ministro irlandese [Charles Haughey]; chinato il capo con un ossequio misurato davanti al presidente francese [Jacques] Chirac; portata a compimento la cerimonia protocollare lo vedo Stephen Roche che con la moglie Lydia si avvia finalmente all'albergo. Ha respirato per giorni l'odore di macadam del Tour e le strade di Parigi gli sembrano azzurre e fresche. Stanco, ma felice. 

Il ciclismo è stato sospinto lontano nel bene e nel male. Il ciclismo che ha cambiato faccia, il ciclismo al coppale, troppo lustro fatto di gestori della strada (i corridori) di dirigenti e funzionari, che aspirano a mezzobusto televisivo: questo ciclismo si accosta al Tour come a un lavacro. E quel librone che è il Tour, che abbiamo sfogliato e per molti anni vissuto ci riporta all'indietro. Con l'immagine televisiva ha il potere di ricucire due età, quella addirittura etnica di allora e l'odierna di Roche. 

Corridore che si svolge al passato, Stephen Roche. Sotto le sue ruote si sono srotolati uno scampolo di Germania, la grassa Normandia, i verdi Pirenei che per un pover uomo affaticato sono aguzzi quanto le Alpi. Il pane di sale del Ventoux, nel caldo soffocante del mezzogiorno. Paesaggi violenti, drammatici, staccati o riservati. Paesaggi meditativi, leggeri, piccole valli, che gli ricordavano la nativa Irlanda, che lo incoraggiavano o che gli sfuggivano, che gli caracollavano dappresso nelle cronometro e che non poteva assaporare. Sulla sua strada soltanto sacrifici da fachiri, da dervisci diritti in piedi sulla canna. 

Un giorno, lo schermo televisivo ce lo mostra, Roche, un metro dopo il traguardo [di La Plagne], al termine di un ricupero spaventoso in salita, steso sul lettuccio di un' ambulanza, la maschera di ossigeno appoggiata alle labbra. E' sfatto, Roche, sentenzia qualcuno. Domani, pagherà. 

E a me sovviene di Merckx, che aggredisce di petto, il Ventoux, l'orco scistoso e in vetta boccheggia e sviene. In una fase decisiva, mi dico, Roche, al pari di Merckx, ha avuto la capacità di superarsi che altri non ha. Ascolto la voce di Boifava, il direttore tecnico della Carrera di Roche. Non è preoccupato, il mio amico. Roche ha, dunque, centrato il Tour. Meritatamente. 

Ha affondato la sua stoccata, nella penultima giornata di corsa: e, segno di nobiltà ciclistica, in una tappa di trentotto chilometri contro il tempo. Delgado, il battuto, che come ogni spagnolo si porta appresso il dramma, l'indomani dirà: "Ce matim je suis un peu triste". (Nell'episodio risento l'antico Tour: un mondo di essenze caratteriali, si scriveva attorno agli anni '50). 

"Stephen Roche personaggio da Tour" potrebbe essere il miglior elogio da rivolgere a questo irlandese che sarebbe piaciuto a Kipling, di quelli (ricordate?) che pregavano in ginocchio il loro cattolico dio per due ore filate prima di procedere a un macello. 

Stephen Roche demonio, Stephen Roche angelo. Se ne parlava al Giro, il giorno in cui aveva giustiziato, eseguito il co-équipier Visentini. Il Tour gli avrà aggiunto altra fatica, altro sudore, altre esperienze. Gli avrà disegnato sul volto una ruga. 

Ho memoria, a proposito, del Gimondi del '65, trionfatore, all'esordio, a Parigi. Ragazzo in partenza, lo avevano invecchiato 4188 kilometri di corsa. Roche, a fianco di gente importante e bene vestita, davanti ai Champs Elysees che gli decretavano il trionfo, sicuramente avrà riveduto se stesso: il se stesso, che mi aveva raccontato al Giro d'Italia vinto. 

"Sono sbarcato a Parigi l'11 febbraio 1980. Per imparare il mestiere, come il mio compaesano Sean Kelly (lui dalla campagna, io da Dublino). Avevo un address, un indirizzo: non conoscevo una parola di francese. L'address era quello della sede di un club dilettantistico, l'ACBB che raccoglie i corridori stranieri e provinciali. Era notte, era chiuso. Avevo un pullover addosso, una valigetta, una sella e un manubrio (il club mi avrebbe procurato la bicicletta, una Peugeot). Mi addormentai in quella stagione, in quella non tiepida città. La mia scelta imponeva il sacrificio". 

Hai voluto il ciclismo perché non ti piaceva il calcio, e il calcio non ti piaceva perché ti lasciavano in panchina? Hai voluto il ciclismo perché avevi preso in uggia il nuoto? Arrangiati, bello mio! Hai fatto scuola fino a 15 anni: apprendista meccanico. Dormi al ghiaccio e pensa al futuro. "Alle sei sono venuti una donna delle pulizie e un uomo. Mi hanno fatto entrare. Da quella società non sono più uscito: e ogni anno mi onoro di andare al banchetto sociale. Per vincere i soldi bisognava vincere le corse". 

Roche ha vinto le corse e i soldi. Ha sposato Lydia Arnaud di origine bergamasca [per parte materna: Giudici]. Ha due figli: Nicolas di tre anni e Christel, una femminuccia di undici mesi. Ha un fratello, Laurence (19 anni) che corre in bicicletta e che lui aiuta soltanto con... il nome. "Si chiama Roche e gli può bastare. Faccia la vita dura". 

Chi fosse Roche lo avevo appreso le prime tappe del Giro. Avrebbe avuto ragione da sé o avrebbe sbagliato da sé. Giudicava Visentini un fratello-nemico. Gli avrebbe risparmiato soltanto le cattiverie non redditizie. I colpi, Roche non li dà mai a patti. Un'intelligenza fotografica che metteva a fuoco l'essenziale e cancellava l'inutile particolare. Un equilibrio privilegiato fra la qualità dei muscoli, l'acutezza dell'intelligenza e la volontà del carattere. E nervi di seta, non fili di formaggio. Roche è sempre stato sgherro quanto basta per procurarsi amicizie fuori dai confini della squadra, che, a volte, è nido di rivalità. Gli italiani? Ma perché parlare male degli assenti? 

Ultimo quadro del Tour, Jacques Goddet che di Tour ne ha vissuti cinquantadue, che fa sfilare il plotone a financo dell' ammiraglia e lo saluta togliendosi il berretto. "Non un Tour di meno, non un Tour di troppo", s'è congedato il patron. Vieuxtemps?

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