The Punch visto da West
Jerry West, leggendario uomo-logo NBA, nella sua autobiografia West by West: My Charmed, Tormented Life, scritta con Jonathan Coleman, racconta da punti di vista privilegiati – come ex fuoriclasse, all’epoca allenatore e poi storico general manager dei Lakers – interessanti retroscena, anche societari e razziali, del post-incidente fra Kermit Wahington e Rudy Tomjanovich di quel maledetto 9 dicembre 1977.
(traduzione di Christian Giordano)
Ripensare al mio tempestoso rapporto con [l’allora prorietario dei Lakers, Jack Kent] Cooke mi riporta a quella sera di dicembre del 1977, la sera del pugno di Kermit Washington a Rudy Tomjanovich degli Houston Rockets, un momento così traumatico ed epocale che John Feinstein ci ha scritto un libro. Non vidi cosa accadde, avvenne tutto così rapidamente. Kareem Abdul-Jabbar, ancora oggi, ogni volta che se ne torna a parlare, ricorda a tutti che era stato Kevin Kunnert a scatenare la rissa, scontrandosi con lui, e che Kermit si era solo difeso. (In realtà, a inizio stagione, era capitato a Kareem con Kent Benson dei Milwaukee Bucks, e Kareem si era rotto una mano.) C’erano tante risse nella lega a quei tempi – e tanta droga. Tanta. Ecco perché all’epoca tanti appassionati avevano voltato le spalle alla NBA e l’arrivo di Earvin Johnson e Larry Bird, nel 1979, viene considerato il principio di una nuova era.
Quanto successe quella sera però si stagliava da tutto il resto. C’era sangue dappertutto, e Rudy giaceva a terra, privo di sensi, col cranio fratturato. Non avevo mai visto niente di così orribile e rivoltante. I genitori di [mia moglie] Karen erano in tribuna di fronte alla panchina dei Lakers e avevano visto tutto. Nel guardare Rudy la mia espressione si fece terrea e una volta tornato a casa, telefonai a Karen per dirle che non avrei mai più allenato neanche per una partita. Ero appena uscito da un tremendo divorzio e a quel punto volevo divorziare anche dal basket.
Kermit, incommensurabilmente migliorato lavorando con Pete Newell, era un gran bravo ragazzo, uno dei più grandi lavoratori della squadra. Con lui mi ero sempre trovato bene. Difendeva duro, era un rimbalzista feroce e toglieva parecchia pressione a Kareem. Fu subito sospeso per sessanta giorni, ma io sapevo che il signor Cooke avrebbe voluto liberarsene il più presto possibile, a prescindere dai fatti, e così fece, meno di tre settimane dopo. Per le pubbliche relazioni fu un incubo e Cooke non si schierò con Kermit. Se Kermit fosse stato bianco e Rudy nero, la storia sarebbe stata diversa? Me lo chiedo spesso. Ai Lakers fu fatta causa, io dovetti rilasciare una deposizione a Houston e la franchigia accordarsi con Rudy per un grosso risarcimento. Ho sempre trovato ironico che Rudy sia poi finito ad allenare i Lakers per un anno, quando a Phil Jackson non fu rinnovato il contratto al termine della stagione 2004.
Red Auerbach acquistò Kermit per i Celtics (sua figlia aveva conosciuto la moglie di Kermit al college) e la mia ammirazione per Red, sempre stata grande, non poté che aumentare. Kermit continuò a giocare, e bene, per diverse squadre, e oggi sovrintende un programma che svolge uno straordinario lavoro in Africa, nelle scuole degli slum di Nairobi (e da ben prima che nascesse NBA Cares), ma quella sera al Forum, tristemente e sbagliando, sarà la prima cosa a cui gran parte della gente penserà nel sentire pronunciare il nome Kermit Washington.
Uno dei miei maggiori rimpianti è non aver preso più posizione con Cooke per conto di Kermit quando tutto ciò accadde. E rimpiango di non aver mai detto a Kermit come in realtà mi sentissi, e che è stato uno dei punti più bassi nella mia carriera. Detestavo che la gente si formasse un’opinione di Kermit senza conoscerlo. Non lo conoscevano proprio. Mi sentivo impotente, perché si poteva dire o fare qualsiasi cosa ma non importava, non faceva alcuna differenza. Nella mente di tutti era colpevole, colpevole, colpevole, e tuttavia io non mi sforzai abbastanza per parlare con Cooke. Non sopportavo che Kermit fosse descritto come uno fuori controllo, un delinquente, quando invece sapevi che era tutt’altro, come ben sapeva Pete Newell. Non c’era giustificazione per quanto era successo, ma quanto accadde dopo sembrava così predeterminato. Non venne più ad allenarsi. Sparì.
Commenti
Posta un commento