HOOPS PORTRAITS - Eddie Gottlieb, il Gran Mogol della NBA
https://www.amazon.it/Hoops-Portraits-Ritratti-basket-americano-ebook/dp/B07JC4X181/ref=asap_bc?ie=UTF8
di CHRISTIAN GIORDANO ©
di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©
Nel 1971 Eddie Gottlieb era ancora in attività nella NBA quando fu indotto, come contributor, nella Basketball Hall of Fame di Springfield, Massachusetts. Ma gli inizi dei suoi molteplici «contributi» alla crescita del movimento cestistico risalivano addirittura al 1918.
Ucraino di Kiev emigrato in America da ragazzo, Gottlieb lasciò la sua impronta sia come organizzatore sia come allenatore dei semi-mitologici SPHAs (South Philadelphia Hebrew Association), la squadra del quartiere ebraico alla periferia sud della città.
Giocando prima in una lega cittadina e poi nella Eastern League, gli SPHAs dominavano ogni torneo. E quando, nel 1933, la American Basketball League fu riorganizzata come circuito regionale del nord-est, i ragazzi di Gottlieb ne conquistarono subito il titolo. In tutto furono campioni in sette delle tredici stagioni della ABL, e sempre schierando in quintetto soltanto giocatori ebrei.
Giocando prima in una lega cittadina e poi nella Eastern League, gli SPHAs dominavano ogni torneo. E quando, nel 1933, la American Basketball League fu riorganizzata come circuito regionale del nord-est, i ragazzi di Gottlieb ne conquistarono subito il titolo. In tutto furono campioni in sette delle tredici stagioni della ABL, e sempre schierando in quintetto soltanto giocatori ebrei.
Gottlieb fu uno dei più grandi promoter dell'epoca. Aveva le mani un po' dappertutto: nel wrestling professionistico, nel football semipro' e nel cosiddetto Negro baseball, una sorta di circuito riservato a giocatori neri, per i quali, altrimenti, il gioco del batti e corri sarebbe rimasto quel che sin lì era sempre stato: e cioè precluso.
Lavoratore indefesso, dava anche una mano a organizzare tour d'oltreoceano per gli Harlem Globetrotters. Tutte queste attività gli valsero il soprannome "The Mogul". Ma è nella promozione dei suoi SPHAs che il Gran Mogol seppe dare il meglio, e nelle contrattazioni il peggio, di sé.
Negli anni Trenta gli SPHAs giocavano le gare casalinghe il sabato sera al Broadway Hotel di Philadelphia. Per raggiungere i confortevoli e lussuosi (per l'epoca) posti loro riservati nella sala da ballo, i tifosi dovevano inerpicarsi lungo tre rampe di scale in marmo. Il locale poteva contenere fino a tremila spettatori e per 35 centesimi veniva garantita loro una triplice attrazione: una partita di basket, un ballo e un combattimento. Come il famoso slogan, tutto per tutti. E non necessariamente in quell'ordine.
Prima di ogni gara, Chickie Passion degli SPHAs avrebbe iniziato a fare a pugni con un avversario. Dopo la partita si sarebbe tenuto il ballo e un altro giocatore degli SPHAs, Gil Fitch, smessa la divisa da gioco e indossato lo smoking, avrebbe diretto la band.
Quando, dopo la Seconda guerra mondiale, anche il basket pro' divenne una major league, Eddie ne era ormai un pezzo grosso. Nel 1946, da coach dei Philadelphia Warriors, l'attuale Golden State, fu tra i fondatori della Basketball Association of America (BAA). Ben presto rilevò la franchigia per 25.000 dollari e pochi mesi dopo contribuì a pianificare la fusione fra la BAA e la National Basketball League (NBL), operazione che in quello stesso anno diede vita alla National Basketball Association (NBA).
Nella nuova lega Gottlieb continuò ad allenare i Warriors fino al 1955, quando si spostò a tempo pieno nel front office e mise a segno un altro colpaccio. Ai tempi Wilt Chamberlain era l'indiscussa stella delle high school di Philly. Gottlieb allora convinse i proprietari delle franchigie NBA a garantirgli i territorial rights. I suoi Warriors ovviamente li avrebbero sfruttati per avere Chamberlain già dal 1959, quando per i coetanei di Wilt si sarebbe chiuso il canonico quadriennio universitario. Ma in ogni caso sarebbero stati validi anche qualora il gioiello della Overbrook HS si fosse iscritto a un college fuori Philadelphia.
Fino ad allora i "diritti territoriali" erano stati applicati solo per giocatori che frequentavano atenei ubicati nella stessa area geografica della franchigia. L'arrivo di "Wilt the Stilt", che pure aveva frequentato la Kansas University, era per i Warriors garanzia di successo. In campo e al botteghino. Quando rivendette la squadra, nel 1962, Gottlieb ne ricavò 850mila dollari, 34 volte quanto l'aveva pagata nel 1946. Che al vecchio fusto non facessero difetto occhio lungo e bernoccolo per gli affari, non era mai stato in discussione.
Nella nuova lega Gottlieb continuò ad allenare i Warriors fino al 1955, quando si spostò a tempo pieno nel front office e mise a segno un altro colpaccio. Ai tempi Wilt Chamberlain era l'indiscussa stella delle high school di Philly. Gottlieb allora convinse i proprietari delle franchigie NBA a garantirgli i territorial rights. I suoi Warriors ovviamente li avrebbero sfruttati per avere Chamberlain già dal 1959, quando per i coetanei di Wilt si sarebbe chiuso il canonico quadriennio universitario. Ma in ogni caso sarebbero stati validi anche qualora il gioiello della Overbrook HS si fosse iscritto a un college fuori Philadelphia.
Fino ad allora i "diritti territoriali" erano stati applicati solo per giocatori che frequentavano atenei ubicati nella stessa area geografica della franchigia. L'arrivo di "Wilt the Stilt", che pure aveva frequentato la Kansas University, era per i Warriors garanzia di successo. In campo e al botteghino. Quando rivendette la squadra, nel 1962, Gottlieb ne ricavò 850mila dollari, 34 volte quanto l'aveva pagata nel 1946. Che al vecchio fusto non facessero difetto occhio lungo e bernoccolo per gli affari, non era mai stato in discussione.
Nel 1971 i Warriors si trasferirono a San Francisco, e Gottlieb fu ingaggiato per continuare a gestire il club ancora per qualche anno. Anche in pensione, continuò per anni a collaborare con la NBA per la compilazione dei calendari della lega. Quando Eddie morì, nel 1979 a ottantun anni, quel gioco a cui per sessanta aveva dedicato la vita aveva finalmente un'identità. La sua.
Commenti
Posta un commento