EUROPEI. IL RITORNO DI CARUBE



di Stefano Arosio
Tuttobiciweb - 4 agosto 2017

Ritrovarsi 11 anni dopo può essere come tradire un ricordo e trovarsi faccia a faccia con uno sconosciuto. Ma, in fondo, per Roberto Lencioni e il ciclismo non si è mai trattato di un addio. E i cambiamenti si colgono, ma sono dettagli di un volto che resta familiare. 

Lencioni e il ciclismo si sono dati appuntamento a Herning, in Danimarca, per gli Europei. Nel più improbabile dei luoghi che sarebbero stati affini a un meccanico cresciuto in una della quarantina delle frazioni di Capannori. Perché lui non è di Lucca, ma neanche del Comune che gli dà la residenza. «Sono di Segromigno in Monte». E di più «Della corte Carube». Uno spazio costruito da suo nonno, Carube a sua volta, come del resto il padre prima di lui. 

Un soprannome che oggi vive nel volto del 58-enne meccanico ex Saeco e Domina Vacanze, lui che si dice «l’ultimo dei Carube. Perché ho due figlie femmine e il cognome non è andato avanti. Ma ho 4 nipoti, di cui due maschi: Matteo e Tommaso. Loro sono Carubini…». 

Lencioni lo dice, ma in fondo il perché non lo sa nemmeno lui. «Una mia cugina ha ripercorso l’albero genealogico, trovando che nel Settecento tra i miei antenati c’era un Cherubino. Magari l’epiteto nasce da lì. O forse dal fatto che il mio bisnonno commerciava animali e mangimi. Come la carruba. E, sì sa, in Toscana una erre si perde in fretta…». 

Oggi Lencioni ha una squadra di bimbi, un plotone di 20 appassionati di bicicletta, tutti tra i 7 e i 12 anni. Che ovviamente corrono per la Carube Progetto Giovani. «E mi diverto a seguire gare come l’Eroica. Che è un po’ la maniera per tornare giovane come meccanico, mettendo le mani su biciclette di 40 anni fa».

Lencioni ha chiuso la carriera con la Naturino-Sapore di Mare, dopo l’esperienza in Universal Caffè. Senza pensare che agli Europei danesi sarebbe finito per essere tra i protagonisti. «Mi hanno “riesumato”, anche se non è un’espressione bella da dire. Si vede che le squadre in questo periodo sono molte impegnate e i loro meccanici altrettanto. È capitata questa occasione e io non avevo impegni. È un attestato di stima che mi ha fatto piacere, evidentemente qualcuno deve aver parlato bene di me». 

Lencioni segue la squadra professionisti con Stefano Scarselli e non nasconde l’orgoglio di rendersi utile per questa Nazionale. «Si concentra tutto in pochi giorni, c’è da lavorare e basta. L’importante è fare bene e avere la coscienza a posto. Vogliamo fare il nostro meglio, sperando che i corridori possano finalizzare il tutto». 

Il tempo trascorso non ha annacquato la determinazione di Lencioni, che si trova comodo anche in un ambiente differente rispetto a quel che ricordava. «Rispetto al 2006, il mondo del ciclismo è cambiato. Soprattutto a livello di squadre. Una volta c’erano 13 o 14 corridori per team, era come una famiglia. Si stava insieme e si viaggiava uniti, facendo riferimento a un unico direttore sportivo. Oggi non è così, ci sono squadre da 40 atleti e diversi responsabili. Si è trasformato in uno sport un po’ più individuale, prima sono convinto che si creassero legami più stretti». 

Ma in Nazionale è diverso: «Conoscevo già qualche corridore, altri no. I tecnici li conosco da una vita: Marino Amadori l’ho avuto come atleta nel 1989, Marco Velo era con Alessandro Petacchi quando io seguivo Mario Cipollini, ma ci siamo sempre trovati. Davide Cassani correva quando io ero in attività in altre squadre e ci si conosceva un po’ tutti (nella foto, Carube Lencioni a Herning con gli altri meccanici della nazionale, Stefano Scarselli e Gianfranco Zanatta)». 

Il pragmatismo di Lencioni è riflesso nelle sue parole ed è quello che non lo fa perdere in giri di parole. «Questa esperienza è gratificante, ma non penso che possa rappresentare una nuova opportunità per restare attivo con qualche squadra, subito dopo. Non credo che qualcuno abbia bisogno di me. Ma se ci fosse la necessità, potrei dare sicurezza a chi lavora tutti i giorni, facendo anche da supervisore ai giovani, a cui è bene fare spazio. Il tempo passa», ma Lencioni resta. «E in ogni caso, non si mai…».

Stefano Arosio

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