La condanna di Lanfranchi: "Io, marchiato come traditore"





di Eugenio Capodacqua
la Repubblica, 19 ottobre 2001

ROMA - In quattro giorni, da apprezzato professionista delle due ruote è diventato il traditore, il reprobo per eccellenza. Colui che con un gesto inspiegabile rinnega la maglia azzurra e per chissà quali interessi. Su Paolo Lanfranchi, bergamasco, 33 anni, una carriera da onesto gregario alle spalle (9 vittorie, la più prestigiosa nella tappa di Briançon al Giro 2000), sono piovuti gli strali di tutti. 

A cominciare dallo stesso ct Ballerini che ha definito il suo scatto all' inseguimento di Simoni nell'ultimo mondiale della bici a Lisbona, un errore gravissimo, da vero pivello. E adesso sembra che la sconfitta portoghese della nazionale azzurra sia tutta colpa sua. Anche se l'analisi di ciò che è successo in quei sette tribolati chilometri del finale, mette in risalto anche altre, altrettanto e forse più gravi responsabilità. Come il rifiuto di collaborazione riferito da Bettini da parte di Bartoli nella volata che per il toscano de La California avrebbe potuto valere una maglia iridata. Lanfranchi però lo hanno visto tutti. La tv con il suo occhio impietoso lo ha inchiodato. Simoni a sbuffare in avanti e lui a spingere forsennatamente dietro. Italiano contro italiano. 

- Un gran brutto vedere, vero Lanfranchi? 
«Certo. Sono giorni che rivedo quella scena. E non ci dormo la notte. Sono giorni che ripeto che ho sbagliato; che chiedo scusa a tutti, ma cosa posso fare per far capire che è stato un errore e non una cosa voluta?». 

- Quel suo scatto ora le ore vale il marchio di traditore della patria. 
«Lo so, lo so e mi dispiace tantissimo. Ho sbagliato, lo dico e lo ripeto. Ho sbagliato e ho chiesto scusa a tutti. Cosa debbo fare di più? Smettere di correre?». 

- Ma lei, sinceramente, dentro di sé sente di aver tradito? 
«Mi sento di aver fatto una sciocchezza. Ma non sono un traditore. Provo un dispiacere immenso perché ho compromesso il lavoro di tutti. Anche il mio. Ma tra sbagliare e tradire ce ne passa». 

- I maligni dicono che abbia fatto più il gioco di squadra (la Mapei, per la quale correva anche il vincitore, Freire n.d.r.) che gli interessi della nazionale. 
«Ma se la Mapei neppure mi ha rinnovato il contratto, per il prossimo anno! Caso mai avrei dovuto fare il contrario. Guardi, ci si può credere o no, ma io il mio lavoro l'ho fatto fino in fondo. Fino a quel momento lì. Ballerini mi aveva detto di essere pronto ad entrare nelle fughe, se fosse stato necessario. Non mi sono risparmiato». 

- Da che mondo e mondo certi accordi, anche individuali fra corridori ci sono sempre stati. 
«Pensi che qualcuno ha perfino sostenuto che Freire mi abbia gridato: "Vai", ma è una bugia che mi fa ancora più male». 

- Ma allora qual è la sua versione dei fatti? 
«Sapevo che Simoni era scattato. Dopo l'ultimo pezzo di salita, dove comincia il falsopiano prima della discesa, però non l'ho più visto: eravamo in tanti e guardavo poco avanti alla mia ruota. Ho pensato che fosse stato ripreso. E ho pensato di scattare per costringere gli avversari a inseguire e favorire il contropiede dei nostri». 

- Ma perché non ha chiesto ai compagni che erano lì? 
«Cosa vuole, quelli sono attimi, se scatti crei la sorpresa; se aspetti diventa tutto inutile. Ho avuto la sfortuna che ha vinto Freire, perché se vinceva Bettini, cioè l'Italia, sono sicuro che avrei avuto solo elogi, per l'azione di contenimento e di preparazione all'attacco azzurro. Credetemi». 

- Il risultato è che ora lei è diventato il Gano del ciclismo mondiale; una barzelletta per il mondo delle due ruote. 
«Già. Ho passato giorni terribili per questo. Perfino mia madre mi ha telefonato per chiedermi cosa avevo fatto. Ma la cosa che mi dispiace di più e che pensino che abbia tradito. Invece ci tenevo e ci tengo alla maglia della nazionale. Se avesse vinto Bettini sarei stato contento, così come se avesse vinto Bartoli o qualsiasi altro azzurro». 

- Però resta l' enormità di quell'errore. 
«E' stato del tutto inconsapevole. Lo so che è difficile crederci e che ci credo solo io, ma è stato così». 

- La sconfitta azzurra non è venuta solo per il suo errore. Se Bartoli avesse dato una mano a Bettini, come richiesto dal ct, forse le cose sarebbero andate diversamente. 
«Non sta a me sottolineare gli errori degli altri. Io penso al mio. Ci sto male. Spero solo di dimenticarlo presto».
EUGENIO CAPODACQUA

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