Progetto Giovani: i ragazzi di Carube


di Daniele Gigli

Ha legato la sua vita al ciclismo e nel mondo delle due ruote è uno dei personaggi più conosciuti ed ap­prezzati. Roberto Lencioni è meccanico sopraffino, ma soprattutto è uomo vero che ha nel sangue la bicicletta intesa prima come amore verso lo sport e poi come mezzo di lavoro. 

Roberto è spo­sato con Cristina, ha due figlie (Jes­si­ca e Erika), vive a Segromigno Mon­te (Lucca) e nell’ambiente è chiamato Carube. «Un soprannome che è stato di mio nonno, di mio padre e ora mio - spiega Roberto -. Deriva da una pianta che produce una specie di fa­giolo lungo, carrube appunto, che viene usa­to per fare la farina e come cibo per animali. È uno dei nomignoli che davano una volta e al quale sono molto legato perché mi identifica con la famiglia». 

Carube ha quasi cinquanta anni, la maggior parte dei quali spesi nel ciclismo pri­ma come corridore (settanta successi nel­le categorie giovanili), poi co­me meccanico di grandi campioni e come di­rettore sportivo di squadre femminili (quattro stagioni, con la vittoria al Giro d’Italia del 1994 di Michela Fanini). 

«Devo ringraziare mia moglie e la mia famiglia che condividono con me l’a­mo­re per il ciclismo - ammette Roberto -. Questo lavoro ti porta lontano da casa per tanto tempo e senza la loro comprensione non avrei potuto farlo».

La passione di Carube per le due ruote è infinita e per averne conferma basta entrare in quello che è una sorta di mu­seo del ciclismo più che un’officina. Gli attrezzi del mestiere si mescolano infatti ai ricordi di corridori e corse vissute in prima fila e danno vita a una galleria d’arte che esprime un fascino quasi ma­gi­co. Carube ha cominciato la sua av­ventura come meccanico nel 1978 alla Gis Gelati di Marino Basso e Franco Bitossi e ha vissuto gli anni più belli della carriera accanto a Mario Cipollini con cui è arrivato sul tetto del mondo nel 2002.

«Ho lavorato con tanti campioni, ma le emozioni e il rapporto che ho vissuto con Mario sono stati unici - racconta Roberto -. Sono stato con lui nel 1989 e poi dal 1997 al 2004. Ci siamo tolti tan­te soddisfazioni e il trionfo al Mondiale di Zolder ha rappresentato un’esperienza incredibile: la tensione che cresceva in vista della gara, la cura maniacale di ogni dettaglio, la consapevolezza di aver fatto il massimo e infine la gioia ineguagliabile per il titolo conquistato. Sen­sa­zio­ni che mi porterò sempre dentro as­sieme all’amicizia che mi lega a Mario, un grande uomo e un campione formidabile».

Il feeling tra i due è rimasto intatto e non a caso Re Leone aveva chiamato Ca­rube al momento del grande ritorno con la Rock Racing di Mike Ball, un sogno che però è svanito in un attimo.

«Grazie al permesso della mia attuale formazione, la Katay, sono stato con Ma­rio al Giro di California e l’ho trovato in grande condizione, tanto che con un po’ di fortuna avrebbe potuto vincere due tappe - spiega Lencioni -. Mi è di­spiaciuto molto che il suo ritorno sia stato così breve, perché era motivato e credeva davvero in quel progetto».

Roberto lavora al fianco di Antonio Sa­lutini da più di un decennio e con lui è una delle anime della Katay, squadra piccola ma molto seria.

«È stata una scelta di vita e di valori. Conosco Antonio da tanti anni e fra noi ci sono grande stima e rispetto. Sono con­tento di essere rimasto con lui, anche per­ché questo mi consente di dedicare più tem­po ai bambini della mia scuola e al progetto nato lo scorso anno».

Il Progetto Giovani è la nuova scommessa del G.S. Carube e di Roberto Lencioni ed è una realtà che merita di essere conosciuta a fondo. Investire sul futuro, sulla generazione del domani è fondamentale nello sport come nel­la vita e avvicinare i bambini al ciclismo rappresenta una missione per chi ama questa disciplina. Se poi l’i­ni­ziativa è gestita da una persona di enorme esperienza come Roberto il valore è ancora più grande. 

Sono stato nella Se­gro­mi­gno Monte di Carube e la giornata trascorsa con lui è stata un tuffo nel ciclismo e nel suo animo nobile, quello fatto di passione e di entusiasmo per la bici. La vitalità dei bambini del G. S. Carube Progetto Giovani ha fatto da piacevole contorno alla chiacchierata con Roberto a testimonianza dell’atmosfera genuina che si respira nella scuola.

«Il nostro obiettivo è far divertire i ra­gaz­zi e insegnare loro come si fa ad an­dare in bicicletta. Vogliamo trasmettere i valori dello sport e fare ciclismo in un am­biente sano in cui le priorità sono educazione e salute».

Com’è nato il Progetto Giovani?

«L’idea è partita da mia moglie Cristina, che è presidente della società, e dalla vo­lontà di avvicinare i bambini al ciclismo. Abbiamo pensato fosse importante mettere al loro servizio l’esperienza che ho ac­cu­mulato nella mia carriera. Creare una squadra di giovani è stato il passo giusto per il nostro progetto e realizzare l’idea è stato più efficace che an­dare in giro per le scuole e parlare solo di teoria».

Quando la voglia di creare una formazione giovanile è diventata realtà?

«Lo scorso anno ho esposto il mio progetto all’amico Gianmarco Rizzati, di­ret­tore commerciale della Geotech Am­biente e grande appassionato di ciclismo, e lui ha creduto nell’iniziativa tan­to che ha deciso di appoggiarla moralmente ed economicamente. Gian­marco e la sua famiglia hanno dimostrato una grande sensibilità per il no­stro progetto, condividono la nostra idea e il nnostro modo di insegnare lo sport ai bambini e ci hanno offerto una collaborazione molto preziosa, non solo dal punto di vista economico. Insieme abbiamo comprato una ventina di biciclette, un furgoncino attrezzato per seguire i ra­gazzi negli allenamenti e nelle gare e divise uguali per tutti. Era importante garantire i mezzi e ringrazio Gianmarco e gli altri sponsor per il loro sostegno».

Qual è stato il passo successivo?

«Trovare le persone giuste che avessero competenza, amore verso il ciclismo e verso i giovani. Il nostro staff è composto dal team manager Maurizio Citti e dai diesse Luigi Frugoli e Da­niele France­sconi, persone di grande affidabilità che operano in piena sintonia pensando al bene dei ragazzi. Ogni settimana facciamo riunioni e organizziamo tutto nei dettagli per non lasciare niente al ca­so e i giovani sono in ottime mani. Io con il cuore sono con loro anche quando, a causa degli impegni nel professionismo, sono lontano da Segromigno».

Con quanti bambini avete cominciato lo scorso anno?

«Siamo partiti con tre e abbiamo concluso con quindici, un successo oltre ogni aspettativa. Questo ci ha riempito di soddisfazione e fornito le motivazioni per crescere ancora».

In questa stagione quanti ragazzi fanno parte del Pro­getto Giovani?

«Quattordici maschi e otto femmine dai sette ai dodici anni. Molti di loro salgono in bici per la prima volta e hanno una vo­glia matta di pedalare e far sport. E le nostre porte sono aperte per chi vuo­­le aderire al progetto».

Qual è la soddisfazione più grande del la­vorare con i giovani?

«Allenamenti e gare sono una festa, un’occasione per stare insieme e divertirci. I bambini sono una forza della na­tura, sono genuini, mettono allegria e regalano grandi emozioni. Hanno vo­glia di imparare e i loro miglioramenti rappresentano una gratifica enorme. Alcuni hanno potenzialità im­portanti anche a livello tecnico e noi cerchiamo di farli esprimere e crescere nel modo migliore».

Come organizzate gli allenamenti?

«Generalmente ne facciamo due o tre a settimana, ma dipende soprattutto dalle condizioni climatiche. Quando piove o fa freddo non ci alleniamo perché vo­gliamo salvaguardare i ragazzi sia dal punto di vista della salute sia per quanto riguarda la sicurezza nelle strade».

Dove vi allenate?

«I giovanissimi fino alla categoria G5 si allenano in pista per evitare pericoli, mentre G6 ed esordienti li portiamo su strada prendendo tutte le precauzioni necessarie. Per questo motivo voglio ringraziare chi dà una mano al nostro staff tecnico: gli accompagnatori, i genitori e gli amatori del G. S. Cicli Carube che fanno da staffette durante gli allenamenti. Siamo una grande famiglia e questa è la nostra forza».

A quante gare partecipano i ragazzi?

«Da primavera a settembre quasi una a settimana e ogni corsa è un avvenimento speciale. Sembra di essere in gita: di­vertimento ed entusiasmo la fanno da padrone. I ragazzi si impegnano, danno il massimo e qualche volta riescono anche a vincere».

Quante vittorie avete ottenuto la scorsa stagione?

«Quattordici. Non cerchiamo il risultato e se arriva è importante solo perché è un premio per i ragazzi. Vedere la felicità di un bambino dopo un successo è una sensazione che non ha prezzo».

Qual è l’obiettivo a lungo termine del G. S. Carube Progetto Giovani?

«La base è il divertimento, il sogno è portare i ragazzi dalla fase iniziale fino alle categorie maggiori. Ci piacerebbe seguirli passo dopo passo e trasmettere loro i valori di un’attività pulita in cui non conti vincere ad ogni costo, ma far­lo in maniera corretta. Il ciclismo ha bi­sogno di giovani seri che facciano questo sport con lo spirito giusto e in questo senso Citti, Frugoli e gli altri componenti del G. S. Carube rappresentano una garanzia. Se qualcuno dei nostri diventerà professionista tanto meglio, ma la molla deve essere l’amore per la bici e non per la carriera».

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