Visentini: «Quel Giro dovevo vincerlo io. Nessuno mi ha mai detto la verità»
Il bresciano, re nell’86, l’anno dopo era in rosa quando fu attaccato a Sappada dal compagno Roche: 31 anni dopo la ferita è sempre aperta
di CLAUDIO GHISALBERTI
La Gazzetta dello Sport, 18 maggio 2018
«Quel giorno a Sappada è finito il mio amore per il ciclismo». Quel giorno è il 6 giugno 1987, 15a tappa del 70° Giro d’Italia. È il giorno di quello che forse può essere considerato il più grande tradimento nel mondo dello sport moderno. Di certo lo è per il ciclismo.
SCINTILLE
In quel Giro, Stephen Roche aveva portato la maglia rosa per dieci giorni, ma il 4 giugno nella cronometro di 46 km a San Marino riemerge il talento di Roberto Visentini, re in rosa l’anno prima. Il bresciano travolge tutti: Rominger a 1’11”, Piasecki a 1’20”, Roche schiantato a 2’47” di distacco. Visentini diventa il nuovo leader con 2’42” sull’irlandese. Entrambi vestono i colori della Carrera. Due giorni dopo, nella Lido di Jesolo-Sappada, lungo la discesa dalla Forcella di Monte Rest, Roche attacca. Ghirotto si mette in testa a guidare l’inseguimento. L’irlandese alimenta la fuga, dietro i suoi compagni inseguono. Qualcuno convinto, qualcun altro con il freno a mano tirato. Venduto. «Preso soldi da Roche? Diciamo che gli interessi collimavano», confida oggi un loro ex compagno di squadra.
NERVI E CROLLO
Ad Arta Terme, Roche viene ripreso. Ma riparte con altri cinque uomini di classifica. Anche il suo secondo tentativo viene neutralizzato da Visentini che però si innervosisce. Si sfila in coda al gruppo e discute, o meglio litiga, con Davide Boifava, il direttore sportivo. A 10 km dal traguardo, Visentini va in crisi. Il dispendio nervoso gli ha prosciugato i muscoli. Boifava lo affianca, ma Roberto ormai è sfinito. Saltato anche di testa: grida, gesticola, affonda. Chiude a 6’50” dal vincitore, l’olandese John van der Velde. Roche gli strappa la maglia rosa, con Rominger a 5”. In albergo è bufera. Volano insulti e minacce. Visentini chiede la testa di Roche e Schepers, il suo scudiero. Poi nel tappone dolomitico cerca la rivincita, ma non ha più le gambe. E, a parte la rabbia, nemmeno la testa. Finito. Nella Como-Pila, penultima tappa, sulla salita finale, la maglia rosa attacca ancora, Visentini si stacca, cade, si frattura il polso ma arriva, anche se a oltre 6 minuti. Il giorno dopo non parte per l’ultima tappa. Roche vince il Giro, poi farà suoi anche il Tour e il Mondiale. Dopodomani, 31 anni dopo, il Giro torna a Sappada. Visentini, molto schivo e riservato, ormai fuori dal ciclismo, di quello che successe quel giorno ha sempre parlato poco. Stavolta, invece, si concede con entusiasmo.
Visentini che ricordi ha del Giro ’87?
«Che dovevo vincere io, ma ho subìto una scorrettezza. Se il capitano è in testa, la squadra deve aiutarlo. Roche, invece, mi ha attaccato. Ma la colpa è stata soprattutto dei direttori sportivi, degli incapaci senza polso. Dopo ci sono state altre scorrettezze, per questo ho smesso, ma Sappada fu insuperabile».
Che cosa è successo quel giorno?
«Non l’ho mai saputo. Dovreste chiederlo a Boifava, che non ha mai avuto il coraggio di dire la verità. A me non hanno mai detto niente. Ancora adesso vengo giù dal fico. Come un pirla. Però ci tengo a precisare due cose».
Sentiamo la prima.
«Io stavo bene, andavo forte. La crono, che per tutti è la prova del nove della forma di un corridore, era stata chiara. Volavo. Ci vuole la faccia come… a dire che non andavo. E Boifava mi aveva garantito che ero io il capitano».
La seconda?
«Qualcuno ha tirato in ballo il fatto che io avrei dichiarato che non sarei andato al Tour a lavorare per Roche. Palle, che a me non sono mai piaciute. Le palle girano, non stanno in piedi».
Quando s’è accorto che qualcosa non funzionava?
«Già dal mattino c’era mezza squadra con il muso lungo. Strano, eravamo padroni della corsa. Ho fiutato che mi volevano fregare. In corsa il direttore sportivo (Boifava, ndr) non l’ho visto per due ore. Era una cosa così evidente che persino Saronni e Moser mi prendevano in giro. Sono crollato psicologicamente».
Impossibile che non si sia ancora dato una spiegazione.
«Dopo la crono sentivo grande invidia nei miei confronti. Sono venuti anche gli sponsor, sembravano “Gianni e Pinotto” (coppia comica del passato, ndr). Gente che non ha mai capito nulla di ciclismo, gli vai bene finché vai forte».
Ci poteva essere anche un interesse economico a favore di Roche?
«Certo che c’era. Ma il marchio Carrera l’abbiamo fatto diventare grande noi. Non il contrario. Loro al ciclismo non hanno dato nulla, hanno preso. E tanto».
Che amici le sono rimasti?
«Pochi, per mia scelta. Mario Chiesa, Guido Bontempi… Ogni tanto sento Davide Cassani. Nel ciclismo bisogna stare attenti, c’è molta gente non affidabile. Nel ciclismo c’è tanta, troppa, ipocrisia, gente che finge di esserti amica per fregarti. Traditori. Non ti devi fidare neanche della tua ombra. Pieno di bidoni. Lo scoprii quel giorno a Sappada. Poi c’è tanta gente che si vende per due lire o solo per fare, secondo loro, bella figura. Io non sono mai stato comprabile, né ricattabile».
Lei ha sempre avuto una vita agiata: soldi, belle auto...
«E a molti anche questo faceva invidia. Non avevo bisogno del ciclismo per vivere, correvo per passione. E ne avevo tanta. Uno che non vuole fare sacrifici, non fa il corridore. Mi allenavo sette ore tutti i giorni. Sveglia alle 7, mezz’ora dopo ero già in bici per l’allenamento, poi cena leggera e, fondamentale, a nanna presto, mai dopo le 22. Se vai a letto presto recuperi, se vai a dormire alle 2 resti rincoglionito tutto il giorno anche se ti svegli alle 2 del pomeriggio. Inutile allenarsi sei ore se il resto della giornata non lo vivi da atleta».
E la bici?
«Esco un paio di volte alla settimana. Più con la mountain bike, lontano da tutti, che con la bici da corsa in mezzo al pericolo. Poi sci, moto d’acqua, passeggiate…Faccio sport perché mi piace e fa bene. Piano, senza stress, per divertimento. Ne volete sapere una bella?».
Certamente.
«Ogni tanto trovo qualcuno che mi riconosce. Nego di essere io, dico che quello che ha vinto il Giro è mio fratello. Ma io ho solo una sorella… (sorride, ndr). Non vivo di ricordi, vivo di presente».
Di che cosa si occupa ora?
«Dell’azienda di famiglia, ho un’impresa di pompe funebri».
L'IDENTIKIT/ ROBERTO VISENTINI
NATO A GARDONE RIVIERA (BS)
IL 2 GIUGNO 1957
PRO’ DAL 1978 AL 1990
20 VITTORIE
Già campione del mondo juniores nel ‘75 e 3° al Tour de L’Avenir nel '77, ottimo cronoman capace di destreggiarsi bene anche in salita, da pro’ si rivelò al debutto, finendo 15° al Giro d’Italia, con la maglia bianca di miglior giovane.
IL TRIONFO
Due anni dopo centrò due tappe alla Vuelta, ma il suo nome è legato proprio al Giro. Nell’83 tenne testa a Giuseppe Saronni sino alla fine, vincendo la crono finale e chiudendo 2° a 1’07”. Tre anni dopo il capolavoro: ultimi sette giorni in rosa e trionfo finale con 1’02” su Saronni e 2’14” su Moser.
BIS AMARO
Alla storia è passata però l’edizione '87, cominciata col successo nel cronoprologo di Sanremo, bissato nella crono di San Marino (ultima vittoria da pro’), e conclusa con l’uscita di scena prima della partenza dell’ultima tappa.
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