Flavio Giupponi: «C'è poca fratellanza»
Tuttobici
Numero: 7 Anno: 2007
di Gino Sala
Ho conosciuto Flavio Giupponi nella primavera del 1985, quando vinse il Giro delle Regioni, che era e rimane la gara a tappe per dilettanti più importante al mondo poiché raduna le rappresentative nazionali di tutti i continenti.
Uno schieramento impressionante per contenuti tecnici e umani, un banco di prova che esalta i partecipanti. Sicuro che i migliori in campo nella competizione organizzata con tanta passione e molti sacrifici da Eugenio Bomboni avranno una bella carriera anche tra i professionisti. È stato così per Gianni Bugno, Maurizio Fondriest, Dimitri Konychev, Danilo Di Luca, Davide Rebellin, Ivan Basso e altri.
Così anche per Giupponi, nato a Bergamo il 9 maggio 1964, passista-scalatore, altezza 1,73, peso 60 chilogrammi, professionista per una decina di stagioni, undici vittorie e diversi piazzamenti tra i quali spicca il secondo posto ottenuto nel Giro d'Italia alle spalle di Fignon con distacco di 1'15" e davanti a Hampsten.
Un Giupponi bello da vedere nella sua azione composta da colpi di pedale che trovavano forza nell'agilità. Ricordo bene quel Giro del 1989 in cui Flavio ebbe la meglio su Fignon nella tappa di Corvara.
«È stato un giorno che rimane impresso nella mia memoria di corridore e mi chiedo ancora come si sarebbe conclusa la battaglia per la maglia rosa se a causa del maltempo non avessero cancellato la gara comprendente l'arrampicata del Gavia», confida a distanza di tempo il bergamasco che già nell'87 e nell'88 si era distinto ottenendo un quinto e un quarto posto. Momenti che il vecchio cronista ha vissuto al seguito della carovana con testimonianze che rimangono impresse nella memoria, cavalcate per certi versi indimenticabili, a pieno contatto con una moltitudine di tifosi e mi spiace dover rimarcare che oggi non è più così. Già, via via è subentrata la cattiva abitudine di affidarsi alle immagini televisive, di disertare i percorsi, di raggiungere i luoghi d'arrivo dopo una sosta ai ristoranti. Confesso che più di una volta sono giunto al traguardo stanco, talvolta col mal di testa, ma compiaciuto per aver accompagnato il plotone. Tutto è cambiato, purtroppo, tutto è peggiorato a ben vedere.
Anche per Giupponi è così: «Mi pare di capire che nel gruppo non c'è più fratellanza. Manca un'intesa di categoria per ottenere un calendario intelligente, meno pesante, permangono difetti di varia natura, sarebbe necessario battersi per migliorare l'ambiente...».
Esatto, ma niente cambierà se i corridori rimarranno muti e silenziosi di fronte alle molteplici storture, se non prenderanno coscienza e vitalità per opporsi ai maneggioni e ai furfanti, ai dirigenti che vengono meno ai loro doveri.
Sceso dalla bici Giupponi si è poi avventurato in un'esperienza di manager dalla quale è uscito con le ossa rotte. Tradito da gente che non ha tenuto fede ai patti. Il sereno è tornato quando è diventato agente di commercio nel ramo odontoiatrico. «Il ciclismo mi ha insegnato che lottando si può uscire da brutte situazioni», commenta Flavio. Due figli, un maschio e una femmina, una lieta compagnia per guardare con fiducia all'avvenire.
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