L’incredibile tappa sul Gavia
MARTEDÌ 5 GIUGNO 2018
Storia di uno dei giorni più incredibili del Giro d’Italia – su una delle salite più dure, sotto la neve – e dei suoi due protagonisti, Andy Hampsten e Johan van der Velde
Il 5 giugno 1988 il Giro d’Italia arrivò a Bormio, in provincia di Sondrio, alta Valtellina, alla fine di una tappa piuttosto breve: 120 chilometri. Quel giorno nevicava e faceva molto freddo. Tra la partenza di Chiesa in Valmalenco e l’arrivo, la tappa prevedeva un passaggio sul Passo dell’Aprica e uno sul Passo di Gavia, a 2.621 metri d’altitudine.
La salita fu molto problematica, la discesa ancora di più. I protagonisti furono due, lo statunitense Andy Hampsten e l’olandese Johan van der Velde, per ragioni diverse. Fu una tappa incredibile, ricordata a distanza di anni da cronisti e appassionati.
La salita fu molto problematica, la discesa ancora di più. I protagonisti furono due, lo statunitense Andy Hampsten e l’olandese Johan van der Velde, per ragioni diverse. Fu una tappa incredibile, ricordata a distanza di anni da cronisti e appassionati.
Nel 2012 uscì una canzone degli Offlaga Disco Pax, “Tulipani”: parlava di Hampsten e van der Velde e di quel giorno, passato alla storia come uno dei più appassionanti di sempre del Giro d’Italia.
Il Giro del 1988, partito il 23 maggio, era diverso dai precedenti perché aveva molte più salite. Qualcuno sostiene che il nuovo percorso era stato pensato per sottrarsi alle critiche di chi diceva che la mancanza di importanti salite serviva per favorire i corridori italiani più forti, Giuseppe Saronni e Francesco Moser, che andavano meglio in piano. Quell’anno però Moser non c’era e Saronni era ormai a fine carriera. Il 4 giugno, il giorno prima della tappa del Gavia, in maglia rosa c’era comunque un italiano: Franco Chioccioli, che aveva un corpo e un viso molto simili a quelli di Fausto Coppi e per questo era soprannominato Coppino. Era comunque un Giro ancora aperto, con otto corridori in meno di tre minuti. Hampsten, scalatore di 26 anni, era quinto, con poco più di un minuto di ritardo da Chioccioli. Van der Velde era molto più indietro: non puntava alla maglia rosa ma a quella ciclamino della classifica a punti.
Quella tappa era attesa perché il Gavia era la “cima Coppi” di quel Giro, la vetta più alta della corsa, e perché era una salita lunga e ripida, con tratti sterrati. Era considerata la tappa che avrebbe cambiato la classifica e dato una chiara indicazione su chi avrebbe potuto vincere il Giro. C’era molto interesse anche perché sul Gavia il Giro non passava dal 1960, quando vinse Charly Gaul davanti a Imerio Massignan, che in discesa forò tre volte: la prima riparò la ruota da solo, la seconda prese quella di uno spettatore, la terza decise di arrivare al traguardo praticamente sul cerchione.
La mattina del 5 giugno, prima della partenza, nevicava. Le direzione del Giro, data la grandissima attesa, decise di non sospendere né deviare la corsa. Pare che il direttore Vincenzo Torriani disse: «Lo spettacolo deve continuare e i ciclisti devono soffrire per lo spettacolo». Van der Velde vestiva già la maglia ciclamino e correva per la GiS Gelati: partì all’attacco – non aveva niente da perdere – e fece in testa, da solo, la salita del Gavia. Hampsten attaccò poco dopo l’inizio della salita. Voleva provare a ribaltare il Giro e prendersi la Maglia rosa.
Il tempo era ostile: nevicava forte, faceva molto freddo e le condizioni delle strade erano molto precarie. La squadra di Hampsten, la 7-Eleven, era però arrivata preparata. Era piena di corridori, allenatori, meccanici e massaggiatori statunitensi, molti dei quali dello stato americano del Colorado, dove spesso fa molto freddo. Sapendo della nevicata, avevano comprato indumenti invernali e preso le necessarie precauzioni. Alcuni anni fa Hampsten disse: «La 7-Eleven fu l’unica squadra con vestiti abbastanza caldi. Avevamo in cima alla salita una persona che ci diede una borsa piena di abiti caldi e asciutti. Li avevamo comprati in un negozio di sci». In un’altra intervista disse: «Decidemmo di fare la cosa più semplice: ci coprimmo come se avessimo dovuto attraversare a nuoto il canale della Manica e poi decidemmo di optare per qualcosa di tradizionale: lana e ancora lana. Gli europei avevano una tradizione ciclistica di machismo: se fa freddo spalmati del linimento sulle gambe, mettiti una giacca antipioggia e pedala».
Hampsten sapeva già che avrebbe attaccato durante la salita del Gavia. Prima della gara aveva parlato con Gianni Motta, ex corridore lombardo che conosceva bene quel passo. Motta aveva preso in simpatia Hampsten e gli aveva detto che nonostante gli italiani la considerassero «solo un’altra salita» era in realtà molto dura, ideale per un attacco.
Nonostante la neve, l’aria rarefatta e i -4 gradi che c’erano in cima al Gavia, van der Velde fece tutta la salita in maniche corte, senza nemmeno un casco (allora non era obbligatorio) o un cappello. Quando arrivò in cima, un minuto prima di Hampsten, non era chiaro se la corsa sarebbe stata sospesa o sarebbe arrivata fino a Bormio. Un commentatore Rai disse: «Ci ha pensato van der Velde a togliere tutti dagli indugi. Si è fatto largo a manate tra coloro che volevano fermarlo». Sembra che van der Velde si fosse arrabbiato con la sua squadra, che per lui aveva a disposizione solo un cappellino di cotone. Moreno Argentin, corridore fermo per infortunio, disse in telecronaca: «La sorpresa è questo van der Velde. Evidentemente oggi è la sua giornata. Come è riuscito a scollinare, penso anche riesca ad arrivare all’arrivo».
Il brutto tempo aveva reso difficile per le moto della Rai seguire la corsa e c’erano problemi nella trasmissione di quelle poche immagini disponibili. Dopo la corsa, il commentatore Rai disse: «Ho visto Saronni fermo all’inizio del tratto sterrato che piangeva intirizzito. Ho visto Savini che non voleva più continuare. Molti corridori il tratto sterrato in discesa l’hanno percorso a piedi».
Non è chiaro cosa fece esattamente van der Velde. Qualcuno scrisse e raccontò che si fermò in discesa, girò la bici e risalì la strada, entrando quasi assiderato in un camper. Qualcuno raccontò che entrò invece in un’auto, non è chiaro se sua o di un’altra squadra. Di certo perse molti minuti.
Hampsten invece disse che scendendo «non era più una corsa in bici». Che vide persone camminare in mezzo alla strada perché non sapevano che i corridori sarebbero passati, che le moto e le auto della giuria erano molto più indietro di lui, che la visibilità era scarsissima e che frenava, per quanto possibile visti i freni ghiacciati, solo quando vedeva un cartello stradale o la scritta “tornante”. Disse anche di aver fatto un pezzo di discesa con van der Velde, il quale però a un certo punto «sparì».
Hampsten raccontò che a pochi chilometri dalla fine lo raggiunse l’auto della giuria, con a bordo Torriani, e lui pensò: «Ah, OK, questo è il Giro». Negli anni successivi Hampsten raccontò che quella corsa fu la volta in cui «la sua mente spinse più in là il suo corpo»; disse anche non aveva più avuto così tanto freddo, nonostante la lana e le altre precauzioni. «Potremmo passare un paio d’ore con io che cerco di capire come descrivere quel freddo».
A un certo punto della discesa Breukink superò Hampsten e vinse la tappa con sette secondi di vantaggio su di lui. Il terzo arrivò dopo quasi cinque minuti. Van der Velde superò il traguardo dopo 47 minuti. Erano partiti in 154 e arrivarono in 139. Hampsten conquistò la Maglia rosa, che conservò fino alla fine. All’arrivo qualcuno svenne, molti mostrarono princìpi di assideramento. Il giorno dopo Gianfranco Josti sul Corriere della Sera scrisse: «Stanno in sella fin sulla linea d’arrivo perché sorretti dalla forza di volontà. Poi, se i volenterosi non sono lesti ad afferrarli, cadono sfiniti per terra. Sul loro volto è disegnato il terrore, più che la fatica».
Finita la tappa arrivarono anche alcune immagini dei corridori in cima al Gavia: alcuni chiedevano giornali per coprirsi lo stomaco e non prendere troppo freddo, altri tè caldo e vestiti.
Al Giro del 1989, un anno dopo, parteciparono sia Hampsten che van der Velde. Il 5 giugno era prevista la 16esima tappa, da Trento a Santa Caterina di Valfurva: 205 chilometri, con passaggi previsti sul Tonale e, di nuovo, sul Passo di Gavia. La tappa fu annullata per neve. Nelle tappe successive Hampsten si difese piuttosto bene e finì terzo. Van der Velde si era ritirato qualche giorno prima del Gavia.
Ora Hampsten ha 56 anni: vive tra il Colorado, dove ha una società di biciclette, e l’Italia, dove organizza visite guidate in bicicletta con la sua società che si chiama Cinghiale. Van der Velde ha 61 anni: in passato ha avuto avuto problemi con la legge, è stato dipendente dal gioco d’azzardo e da alcune sostanze proibite. Oggi lavora per la Quick Step, una squadra belga di bici. Nel 2000 ha partecipato a un’edizione VIP del Grande Fratello olandese.
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