Visentini è un golden boy che tante volte si domanda: "Ma chi me lo fa fare..." Però gli piace


Cerchiamo di conoscere più a fondo il migliore dei neo-professionisti del 1978

di SERGIO MEDA
BiciSport n. 1, gennaio 1979

Saronni è il suo punto di riferimento. Ha una grossa cilindrata e un paio di motociclette. Pratica lo sci e spera di diventare maestro sulla neve. Non ha lo sprint in bicicletta ma si ritiene un eccellente passista forte in montagna. Rimpianti per gli errori commessi? «Sì, uno. Non ho mai pensato di cambiarmi dopo gli arrivi di tappa e mi sono preso una bella bronchite».

- Visentini, ha sbagliato qualcosa la stagione scorsa?
«Credo soltanto a non cambiarmi in fretta dopo gli arrivi di tappa al Giro d'Italia. Indossando la maglia bianca della classifica dei neoprofessionisti andavo sul palco senza precauzioni. E mi sono buscato una bella bronchite»

- Quanto è costata, in termini di classifica?
«Questo non lo so, perché a guardar bene ho rischiato di non finire il Giro. A Milano ci sono arrivato ridotto male. Certo che senza bronchite quindicesimo non sarei mai arrivato».

- La posizione "giusta"?
«Credo quella di Saronni - quinto - ma non perché ce l'ho con lui».

- Ce l'ha davvero con lui?
«Non mi sogno nemmeno. È fior di corridore, è davvero bravissimo, è il mio punto di riferimento».

- Come mai, visto che in molti non riescono a capacitarsene?
«Abbiamo corso insieme da dilettanti, io in salita lo battevo. In volata no. Però questa è storia in fondo vecchia».

- Le dà noia parlare di lei e di Saronni insieme?
«No, perché dovrebbe?».

- Perché Saronni ha un'altra quotazione rispetto a lei.
«È giusto, la merita».

- Al di là di questo lei si ritiene soddisfatto della prima stagione?
«In un certo senso sì, per altri versi non proprio. Se penso che in qualche modo ho sfondato posso ritenermi soddisfatto. Se faccio il conto delle vittorie no. È colpa anche della costola, la sesta destra, che mi sono rotto cadendo all'Indre e Loire. Ho perso un mese. Peccato». 

- La soddisfazione migliore?
«La maglia azzurra, senza dubbio».

- Al mondiale però non è stato brillantissimo. Colpa del freddo o dell'inesperienza?
«Di nessuno dei due. Brillantissimo non potevo essere in un uan giornata come quella del Nürburgring, ma ho fatto il mio dovere. Dovevo sta davanti sino a tre quarti corsa, aiutare, non correre per sfruttare le mie possibilità. Possibilità di vittoria, lo sapevo ben prima, non ne avevo anche se in quel periodo andavo forte».

- Qualcuno ha detto che la sua maglia era immeritata, che Martini doveva far fuori Gimondi e Bitossi e allora ha scelto lei. Secondo i denigratori lei sarebbe stata una riserva ideale. Che cosa ne dice?
«Non so cosa rispondere. Posso dire che non tutti mi sono amici. Ma allora cosa cambia?»

- Che cos'è il professionismo?
«Un mondo strano, divertente nel quale è diffile farsi strada».

- Difficoltà principali?
«Emergere. Ambientarsi no, non direi, io sono stato accolto bene. Sono stato ben consigliato e credo di non dar fastidio a nessuno».

- Che cosa significa ben consigliato?
«Che occorre aver pazienza, magari subire quanto ti dicono i "vecchi", star zitto anche quando avresti voglia di sbottare».

- Lei lo ha fatto qualche volta, se n'è stato zitto?
«Non ne ho mai avuto bisogno. Ma ero disposto a farlo, e questo conta».

- Sì, ma questo si chiama compromesso.
«Ognuno è fatto a modo suo. Io non mi chiamo Moser».

- Perché, in che cosa è diverso Moser?
«Nel carattere. Lui non ha mai guardato in faccia nessuno».

- Lei lo invidia?
«No, lo ammiro e basta».

- Siete amici?
«Non so, credo di sì. Mi sono trovato bene con lui, ma anche con altri. Con Saronni, Gimondi, Fabbri per fare i primi nomi che mi vengono in mente. Ma davvero non ho avuto problemi. Qualche incomprensione, questo sì, ma chi non ne ha?».

- Non le sembra di fare troppe domande? In fondo, dovrebbe toccare a me.
«Un po' per uno non guasta. E poi le mie non sono domande: sono verifiche».

- Anch'io verifico, mi pagano per farlo. Che cosa rimpiange del dilettantismo?
«Niente e tutto. In certe occasioni potevo permettermi, d'estate, di andare in giro sino a tardi di sera, di fare magari il bagno il sabato e il giorno dopo correre e vincere. Era il periodo, a 17 anni, in cui credevo di non avere avversari. Poi mi sono accorto che l'avversario ero io».

- Si spieghi meglio.
«Avevo ancora passione, ma stimoli me n'erano rimasti pochi. Poi è cambiato tutto».

- Che cosa è cambiato?
«Sono cambiato io. Mi sono accorto che per arrivare ad ottenere qualcosa non potevo evitare i sacrifici».

- Ne ha fatti tanti?
«Ne faccio sempre di più».

- Lei è davvero così ricco come dicono?
«Sto bene di famiglia. Mio padre lavora, non mi manca niente».

- È davvero così viziato?
«Lo ero, spero di non esserlo più».

- Che macchina ha?
«Una BMW 320, me l'ha regalata mio padre».

- E poi ha una moto?
«Non è vero, ne ho due: una Kawasaki 900 e per il cross una KTM 250. Mi piacciono le moto».

- Gliele ha regalate suo padre tutte e due?
«Sì».

- Si vergogna di essere un privilegiato?
«No, perché dovrei?».

- In quali valori crede?
«La famiglia, gli amici».

- E basta?
«Mi sembra che basti».

- È fidanzato?
«Sono stato molte volte fidanzato, come lo si è da ragazzini, magari con più di una ragazza. Adesso basta, non posso più permettermelo».

- Dicono che a lei non dispiaccia piacere, soprattutto essere circondato da ragazze molto belle.
«Di cose se ne dicono un sacco sul mio conto. Dicono che non mi manca niente, che sono viziato, che sono stato troppo coccolato. Dicono tante stupidaggini sul mio conto che io non so più cosa dire. Sto zitto, lascio parlare gli altri».

- Lei in Roberto Visentini crede come corridore?
«Sì, altrimenti avrei già smesso oppure non avrei neppure cominciato. Mi piacxevano altri sport, riuscivo anche a farli. Eppure ho scelto il ciclismo. Chissà perché quelli che dicono tante cose non riflettono un po' su questo fatto...».

- Che sport ha praticato?
«Un po' tutti. Soprattutto lo sci. Scio bene, scio d tredici anni. Nel prossimo inverno voglio diventare maestro di sci. Con un po' di scarifici ce la faccio».

- Lei fa discesa e slalom, non sci di fondo quindi.
«Il fondo non mi diverte».

- Dicono che la discesa e lo slalom siano troppo pericolosi per un ciclista.
«Basta avere un po' di testa e non succede niente».

- E lo sci nautico?
«Ero bravino ma non posso più farlo. È sport estivo e io d'estate corro in bicicletta».

- Praticare altri sport le è servito nel ciclismo?
«Non lo so. Certo il colpo d'occhio o l'agilità in certe occasioni. Credo che tutto faccia comunque bene. In bici molte cose sono diverse».

- A lei che cosa manca in bici?
«La volata».

- C'è un motivo?
«Non sono convinto. Non è paura, è solo mancanza di convinzione».

- Il resto?
«Direi discreto. In salita vado decisamente bene, sul passo mi difendo. Ho scoperto le cronometro per sbaglio quando l'ultimo anno da dilettante, sono diventato campione italiano».

- Miro Panizza, che ha corso con lei un anno, sostiene che Visentini ha classe ma la butta via. Spreca energie; è vero?
«Verissimo. Sono sempre stato abituato a correre in maniera un po' irriflessiva. Devo imparare a dosare le energie, a risparmiare in certe occasioni».

- Le va la squadra nella quale corre?
«Non molto, purtroppo è debole». 

- Di chi è la colpa?
«Mia no di certo. Purtroppo ci sono stati dei problemi, la Vibor non si è potuta raffozare».

- Lei se ne sarebbe andato a correre altrove, se avesse potuto?
«Certamente sì, solo che avevo in tasca il contratto biennale come da regolamento. E questo lo dico senza che nessuno debba offendersi».

- Dall'anno prossimo [1980, nda], quindi, sottoscriverà sempre contratti annuali?
«Senza dubbio. Penso che solo a trent'anni si possano fare contratti per più stagioni. Prima è un delitto».

- Per questioni di soldi?
«Anche per quello. Non si può rubare o fare beneficenza. Scelga lei».

- Lei parla di correre sino a trent'anni. È una battuta efficace o la considera un'opportunità possibile?
«Può darsi che succeda. Dipende dai risultati che otterrò, dalle soddisfazioni e dai sacrifici. Dovessi decidere diversamente, me ne andrei a lavorre in ditta con mio padre. Anche quella è un'opportunità. Non voglio buttarla via».

- Lei gira sempre intorno alla parola sacrifici. È quello il vero dubbio?
«Sì, perché sarebbe stupendo fare il ciclismo riuscendo ad essere una perosna quasi normale. Invece è dura, soprattutto avendo le tentazioni che ho io. A Gardone, dove abito, d'estate bisognerebbe andare in giro bendati, lo sa quante volte mi chiedo: ma chi me lo fa fare?».
Sergio Meda

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