Enzo Verzeletti: a Sappada tappai io la bocca a Visentini


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per RAINBOW SPORTS BOOKS ©

All'arrivo, quel giorno a Sappada, sotto il palco RAI c'era lui - col giornalista bresciano Angiolino Massolini - a tappar la bocca, letteralmente, al Visenta furioso del «Stasera qualcuno va a casa!». I danni però riuscì solo a limitarli, perché la frittata era già stata fatta. E pure bella bruciacchiata.
Classe '60, Enzo Verzeletti non è soltanto un massaggiatore veterano nel ciclismo e nel calcio (al Brescia) ai massimi livelli, è l'incarnazione stessa di una certa brescianità.
Aperto, cordiale, simpatico. Ti mette allegria e subito a tuo agio, e ascoltarlo – con quelle cadenza e vocina alla Evaristo Beccalossi, altro bresciano doc ma ben più guascone – è stato un gran bel viaggiare in trent'anni di bici e pallone. Le sue foto-profilo su WhatsApp, i selfie con Balotelli o con Ronaldinho, dicono molto della persona e del professionista.
Enzo mi invita a casa sua di primo pomeriggio, il giorno prima del suo compleanno. Un'oretta per un caffè perché il lavoro chiama. Il Verzeletti è tornato in pista. Pardon, su strada: alla UAE Emirates di Beppe Saronni, squadra World Tour. Proposta biennale. Enzo però ha firmato per solo un anno. Scelta sua, «per vedere come va».

Level S.A.S.
Paderno Franciacorta (Brescia), lunedì 23 aprile 2018

- Enzo Verzeletti, oltre che storico massaggiatore nel ciclismo e nel calcio, sei stato anche corridore. Ma in pochi lo sanno. Che corridore sei stato?

«Un corridore…». [ride]

- Dai, dai: non fare il finto modesto.

«No-no, un corridore… Andavo abbastanza bene dappertutto ma vincevo poco. Poi ero un po’… ingenuo. Tiravo sempre come un pirla ma poi, alla fine, non raccoglievo niente. Un giorno ha vinto un mio amico, che è morto, poverino, si chiamava Annibale Franchini: eravamo in fuga in quattro, sono arrivato terzo perché uno aveva forato prima della volata, sennò…».

- A che livelli eri, lì: già dilettante? O prima?

«Prima. Prima facevo un casino di piazzamenti da ragazzino, da allievo. Da juniores ho fatto nove secondi, e avevo vinto una corsa ma m’han messo secondo anche in quella lì, perché una volta il fotofinish non c’era dappertutto. Uno aveva alzato le braccia prima dell’arrivo, io ero riuscito passarlo, per poco, però… Però io lì avevo fatto nove secondi e correvo con gente come Bontempi, Piergiorgio (Giorgio) Angeli, passato professionista all’Atala, c'era gente... Poi m’ha investito una macchina, ho riprovato a correre, da dilettante, in quei due anni lì, ma… Di fatto un anno non ho quasi mai corso, per questo. L’anno dopo ho voluto provare ma ormai dovevo andare militare. L’anno prima avevo il punteggio per andare alla Compagnia Atleti, ho dovuto rimandare per l’incidente e l’anno dopo non avevo più il punteggio».

- La carriera te l'ha condizionata l’incidente o avrebbe preso comunque un altro indirizzo?

«Prima di far l’incidente avevo già fatto la scuola massaggiatori. A me è sempre piaciuto fare il massaggiatore. E poi mi aveva insegnato uno che di massaggi ai corridori ne aveva fatti… Si chiamava Antonio (Tone) Zanola e aveva avuto [Pierfranco] Vianelli, [Renato] Bongioni [campione del mondo dilettanti a Salò 1962, nda]. Era allenatore del Pedale Bresciano, ha avuto dei buoni corridori lui...».

- Qui nel Bresciano c’è sempre stata tanta tradizione...

«Lui era uno, qua a Brescia, conosciutissimo».

- Come ti è venuta l’idea? Sentivi di essere portato per fare il massaggiatore?

«Sì, sì, a me è sempre piaciuto. All’inizio ho fatto 'sta scuola, che era una scuola per massaggiatore estetico, alla SPEC, a Bergamo, che però era valida a livello regionale. Poi, rompevan tutti le scatole, ho dovuto fare quella in massofisioterapia all’Istituto Ortopedico Galeazzi. Io adesso ho fatto l’equipollenza, perché quando ho fatto la scuola io non c’era la laurea. Adesso è diventata laurea. Ho dovuto spedir giù tutte le carte. Poi ho fatto la scuola lì perché nel ciclismo volevan che ci fossero persone di un certo livello, diplomate e tutto, e quindi ho dovuto fare la scuola e poi l'equipollenza. Io potrei aprire uno studio anche senza aver lì il medico, perché il mio [titolo di studio] è equiparato alla laurea. Poi, lo sai cosa è successo? Son stato dall’81 al 2003 nell’ambiente del ciclismo, poi ho fatto quindici anni nel calcio…».

- In Carrera sei arrivato quando ancora era Inoxpran, nell’81, l’anno d’oro di Giovanni Battaglin: doppietta Vuelta e Giro.

«Sì, lì però ero a giornata, non ero fisso. Sono rimasto lì fino al ’93, quando è passato il Panta, il primo anno son riuscito a massaggiarlo, poi sono andato via».

- Quindi quando Pantani al Giro vinse all’Aprica e a Merano tu non c’eri già più?

«Non c’ero, non c’ero...».

- Come eri arrivato alla Inoxpran?

«L’ultimo anno che ho fatto da dilettante correvo col Boifava e da lì è nata la cosa. Sapevo che cercavano un massaggiatore, l’Inoxpran era qua, a nove chilometri da casa mia, e m’han preso lì. Fisso, dall’82. Quell’anno lì, nell’81, ha fatto anche il Tour de l’Avenir con la nazionale. Non mi ricordo se lo vinse Soukhorouchenkov [in realtà no: "Soukho aveva vinto nel 1978 e 1979; nell’81 vinse Pascal Simon, nda]».

- Il "Merckx del Volga" era davvero così fenomenale?

«Mamma mia. È passato davanti a dove eravamo in hotel, non mi ricordo se ha fatto primo o secondo in classifica perché era caduto. Aveva uno sbrego così al ginocchio. Erano in hotel con noi la sera, sembrava non si fosse fatto niente».

- Fisicamente, com’era?

«Una bella bestia. Sì, una bestia... [sorride]. Non altissimo, però era un fisico della madonna. È lì che facevo i massaggi a Claudio Corti, Luciano Rui e Mondella. Poi c’era Donadio».

- Un altro che aveva grandi mezzi…

«’scolta: un altro che aveva grandi mezzi era Claudio Cresseri».

- All’epoca compagno-rivale del Visenta. Ma è vero che una volta, in fuga da solo, s’è fermato e s'è seduto... a mangiare un panino?

«L’ha fermato Denti... [li indica tutti nelle foto, nda] Anche questo era forte, sempre alla Mariani & Calì: Giuseppe Gotti. E questo è quello che ti avevo detto, e che è morto un po’ di anni fa: Franchini, Annibale, che aveva vinto a Chiari… Qua eravamo tutti alla Passirano perché a Paderno non c’era la squadra».

- Anche Luciano Bracchi era alla Passirano?

«Sì, alla Passirano».

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LE FOTO

«Qua ero arrivato secondo. Questo qua era Taesi, da juniores vinceva un casino. Qua: Guidone Bontempi, aveva vinto Taesi, secondo Guifo, terzo io… Qua aveva vinto Bergomi, allievi 75-76, juniores 77-78… Qua ero arrivato secondo, aveva vinto Santambrogio, ci han squalificato tutti perché avevam sbagliato una curva…

Anche qua: quattro in fuga a Sirmione, questo era Reali, un toscano, forte, io quarto…

Qua: è dove ho vinto, lui si era fermato di pedalare, e poi l’ho passato, c’eran delle foto che aveva là Rovella, e m’han messo secondo lo stesso…

Qua: secondo a Verona Nuova

Qua: il fratello di Roberto Ceruti…

Qua: sulla Forcella…

Qua: Gianni Serena, che è diventato uno dei boss della Ferrero, è il figlio di Piero Serena – che è morto, quello che faceva le bici per il Visenta – e vive in Lussemburgo. Era il responsabile della Ferrero per l'Est…

Otto in fuga, io ottavo. Questo è Anzelin, Giorgio, quello che è passato pro'...

Poi ero passato dilettante alla Gottingen, faceva le pentole, era giù della Bassa bresciana.

Qua ero in fuga con Giuliani, m’avevan preso… Quel giorno lì aveva vinto la tappa Moreno Argentin a Ivrea.

[Tiziano] Morassut faceva pista, l’ho portato io nell’ambiente della strada. Poi ha avuto casini in Belgio. [Ai tempi massaggiatore per la Mapei, all'indomani dell'ultima tappa della Tre Giorni di la Panne, il 2 aprile 1999, fu arrestato per avere spedito da un albergo di Courtray un pacchetto contenente fiale di amfetamine, nda]

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- Oltre ai successi dell’81, che ricordi hai del periodo alla Inoxpran?

«Mi son sempre trovato bene, mai avuto problemi. Sei andato anche da Bruno Vendemmiati, il massaggiatore? Quel periodo lì era già andato via, aveva smesso. Con me sai chi c’era nell’86? Silvano Davo. L’avevo conosciuto quando ancora era in altre squadre, faceva i massaggi anche a Giuseppe Saronni. Ho sempre avuto un buon rapporto con tutti. E poi, essendo quasi coetaneo di Guido [Bontempi], io di solito facevo sempre i massaggi a lui, e a Ghirotto e Leali che erano qua vicino. Poi, se capitava, a volte facevo Visentini, a volte facevo Roche… Invece adesso, quando son andato lì [alla UAE Emirates, nda] a parlare per lavorare con loro, gli ho detto appunto che non volevo legarmi a nessuno per il semplice motivo che vai alle corse, poi, quando sei via dalle corse, c’è quello che deve andare in altura venti giorni al Teide… Una volta facevo duecento e passa gironi via da casa, senza contare i giorni che ero giù in magazzino a preparare il materiale…».

- Ti pesava star via così a lungo dalla famiglia, dai figli?

«Io ne ho solo uno. Mia moglie era rimasta incinta ancora ma poi l’ha perso. Ne ho solo uno e ho cominciato a non voler più andare alle corse già all’inizio con la Brescialat, poi Liquigas o quel che era…».

- Quindi tu c’eri nella Brescialat formata da Bordonali, Giupponi e Leali?

«Era rimasto solo Bordonali perché Giupponi e Leali se ne sono andati subito. C’ero, sì. Difatti è venuto lui qua a casa mia a cercarmi, m’ha detto se volevo andare con lui. All’inizio m’ha anche trattato bene, perché m’ha messo in regola... I primi due anni giusti, ma poi sono successe delle cose, un po’ di casini… E difatti per la pensione mi mancan tre o quattro anni. No, ancora ne devo lavorare nove o dieci».

- Ma tu eri un freelance a partita IVA?

«Partita IVA no, quindici anni al Brescia con l’ENPAS. E anche lì ho avuto problemi, con loro sono per avvocati. In pratica m’hanno licenziato. Avevo il contratto a tempo indeterminato».

- Tutto questo quando al Brescia è arrivato il nuovo proprietario Massimo Cellino?

«No, prima. [Rinaldo] Sagramola, la gestione sua. [Luigi] Corioni era amico di mio papà e m’ha detto: fin quando ci sarò io non ti manda via nessuno. Figa, a settembre è morto. Già un mese prima, quando stava male, m’han mandato via [ride amaro]. Cioè, m’han mandato via… Han cambiato tutti. L’unico che è rimasto lì è un massaggiatore perché conosceva Sagramola da Palermo, era stato un anno o due a Palermo con Corini. E quello l’ha tenuto. E allora la cosa è andata così. Poi son andato un anno e mezzo con la Bianchi, nella mountain bike, e lì mi son divertito».

- Lì hai ritrovato Massimo Ghirotto?

«Sì, m’ha chiamato lui, difatti è rimasto un po’ dispiaciuto... L’anno scorso ha fatto il radiocronista al Giro e ha lasciato in mano tutto a me. Io avevo anche lui. Massimo l’ho avuto un bel po’ di anni».

- Andiamo al Giro '86 vinto dal Visenta. Che ricordi hai? E a quello dell’83, il "Giro del Guttalax": che cosa successe?

«[ridacchia, nda] L’abbiam saputo dopo, noi. Non so che cacchio [Arrigoni] voleva andare a fare».

- Di Stephen Roche che ricordi hai? Era un furbetto?

«Un furbetto no. Per me era una bravissima persona, perché con noi si è sempre comportato bene. È sempre stato gentile. Pensa te: era uno che alle corse arrivava una volta ogni tanto e ti dava la bustina coi soldi. A tutti, dava la mancia a tutti. C’era uno svizzero, quello coi baffetti, Claudio Albasini, faceva il massaggiatore, che è il fratello di quello che faceva il direttore alla Iam. Non è che gli stesse simpaticissimo a Stefano, però la busta gliel’ha data ugualmente».

- Parente del corridore Michael Albasini?

«È lo zio del corridore. Stefano era una bravissima persona, poi non so. Per me il casino al Giro d’Italia è successo perché a San Marino prende la maglia Visenta, non so se in albergo o tornando in macchina, qualcuno dice a Roche: sì, sì adesso tu aiuterai Robi, poi Robi verrà ad aiutare te al Tour. Non so se Robi, Visenta, ha detto: sì, al Tour io non ci vado neanche se mi fanno carte false. Allora, per me, Stefano lì se l’è un po’ legata al dito. Come, io devo aiutare te, poi tu stai a casa...».

- Quindi secondo te l’attacco Roche l’ha preparato? Non è nato in corsa?

«Quello è un po’ difficile da stabilire, eh...».

- Però una cosa me la puoi raccontare bene perché tu eri sotto il palco RAI quando Visentini, al traguardo, ha gridato all'indirizzo di Roche "stasera qualcuno va a casa!".

«Sì, sì, sì. Ha detto così e difatti poi voleva andar lì e menarlo, proprio. Io gli ho messo la mano sulla bocca e l’ho tirato via dalla gente, poi l’han portato in albergo, perché si sapeva già che la sera arrivavano su i Tacchella in elicottero».

- C’era anche Angiolino Massolini, il giornalista bresciano?

«Io, te lo giuro, non me lo ricordo quel casino. Non è che non voglio dire se c’era o non c’era».

- Allora: Visenta lo porti in albergo poi che cosa succede?

«Lo porto via. So che poi fanno una riunione ma poi sembrava… Allora: tolto Schepers, l’avevano come isolato, Roche. Anche con Patrick Valcke: non ci parlavano più tanto. Dopo lì loro, poverini, li hanno come un po’ messi da parte…».

- La mattina dopo, a fare colazione, che atmosfera c’era? Un po’ freddina?

«Sottozero. Sembrava quasi ci fossero due squadre».


- Tu con Valcke parlavi?

«Sì, sì. Noi ci comportavamo... Quando uno doveva fare i rifornimenti, le borracce a Stefano e a Schepers, che gli era sempre vicino. No, per noi era uguale a prima...».

- Ma è vero che avevano paura che a Roche sabotassero la bici o gli contaminassero il cibo? Nell'autobiografia Nicolas Roche, il figlio di Stephen, riporta una battuta che circolava in gruppo: che Roche mangiava solo frittelle, perché erano l’unico cibo che passava sotto le porte. Queste cose te le ricordi? O sono solo esagerazioni giornalistiche?

«No, per me no, non è vero un cazzo. Poi sai che una cosa piccola così la fan diventare… Più passa di mano in mano, più aumenta… No, te l’ho detto: per noi era uguale. Se [Roche] non si fidava, allora non si fidava neanche a farti fare le borracce, o non si fidava a farsi dare i rifornimenti».

- Però è vero che in corsa aveva Schepers da una parte e Millar dall’altra a proteggerlo dai "tifosi". Hai visto gli esagitati che gli tiravano di tutto, gli sputavano addosso? Queste cose le hai viste?

«No, io non le ho viste».


- Tu di solito in che ammiraglia eri: la seconda o la prima?

«No, io di solito facevo i rifornimenti. Fai la partenza, vai al rifornimento e vai all’arrivo. Non ero sull’ammiraglia. Io difatti facevo la partenza, quando erano a posto i corridori, dalla partenza tu partivi e andavi al rifornimento, facevi il rifornimento, prendevi una strada alternativa perché dovevi arrivare prima per l’arrivo. Non c’erano, come invece adesso, il pullman che fa la partenza e fa l’arrivo e basta. E su ci sono l’autista del pullman e il massaggiatore e il medico. Una volta non c’eran le possibilità di adesso che ci son cinque massaggiatori. Adesso, ho sentito che al Giro van quattro direttori… Cioè, una cosa… Non so se è vero ma ho sentito che il Team Sky ha un camion con su nove lavatrici!».

- Io ci sono salito, in ritiro a Maiorca. Non le ho contate ma che siano nove non mi stupisce...

«Ho visto adesso, al Trentino, Dario Cioni [uno dei diesse del team Sky, nda] e mi fa: "Oh, ciao, ma sei qua fisso o a giornata?".

"No, fisso".

"Eh sì, volevo chiamarti per la Sky…".

Ma, sai, l’inglese è un po’…

E mi fa: "...qua se non sai l’inglese, sei fottuto".

Infatti...». [sorride]

- Raccontami invece del Roberto personaggio, qualche aneddoto. Voi parlavate in dialetto, no, con Boifava e gli altri bresciani?

«Sì-sì-sì. Il Visenta a volte dovevi… A tavola, a mangiare, se non aveva la bottiglietta col vinello bianco, lui… Ma di battute, adesso, di preciso, no, ma era uno che scherzava, rideva sempre. Non era uno…».

- Un musone…

«No-no-no. Ma anche adesso lui è incazzato, fino a un certo punto, ma poi…».

- Secondo te perché evita i giornalisti e gente dell'ambiente, perché gli chiedono sempre di Sappada e quelle cose lì?

«Non lo so, cacchio. Non riesco a capirlo perché Robi non… Una volta lo fermavano per la corsa di Cresseri con lui, però a volte adesso escono in bici assieme. Cresseri fa il muratore, ha una dittarella, un'impresa edile piccola. Mi fa: "Ah, il Visenta: un giorno l’ho incontrato sopra i Torri, e aveva il carro funebre. M’ha detto il barista che, entrato nel bar, gli dice: 'Un Campari in due'. E il barista gli dice [in dialetto]: ma che Campari in due, sei qua da solo… "Eh, ma qeull’altro ce l’ho fuori in macchina…"». [sorride, nda]

- Più Visenta di così… È vero che era invidiato? Si son dette tante cattiverie e falsità, ma lui la vita d’atleta la faceva eccome.

«La faceva. Visenta non era uno che aveva bisogno di tanto allenamento. Si allenava…».

- ...mezza giornata. È vero che a mezzogiorno e mezzo voleva avere i piedi sotto il tavolo per mangiare?

«Sì, ha sempre detto così. A volte mi dicevano – non so se sia vero, mi è stato detto – che andavano a casa di Roberto e si mettevano a giocare a carte là, in mezzo alle casse da morto, perché per lui era…».

- ...lavoro, come andare in ufficio. E di lui corridore che cosa ricordi? Dal tuo punto di vista di massaggiatore, aveva esigenze particolari?

«No, non aveva…».

- Quindi nel massaggiare Roche o Visentini per te non c'erano differenze?

«No-no-no. Invece tipo sulle cose da mangiare c’era... che ne so, prendi il Chiappucci: ha mangiato per anni panini con marmellata di marroni col miele. Invece il Guido [Bontempi] una volta ogni tanto, in corsa, voleva il panino col prosciutto e l’acciuga, che ti faceva venir sete, eppure lui la voleva. O tonno e cipolline… Roche a volte voleva... Ho visto che adesso usano le calze per mettere il ghiaccio sulla nuca. Ha iniziato la Sky. Io a Roche, tanti anni fa, mettevo una spugna piccola, di quelle lì quadrate, bagnata con del Sintol, e dei cubetti di ghiaccio in un sacchetto di cellophane e glielo davo al rifornimento. Lui la tirava fuori - il Sintol è un prodotto rinfrescante, tipo un colluttorio ma ti rinfresca - si passava dappertutto, faccia e gambe, e per un po' rimaneva fresco. Adesso ho visto usano le calze, i collant: li tagliano e fanno così. Hanno iniziato quelli di Sky, poi se lo appoggiano qua sulla nuca finché [il ghiaccio] non cola, finché non si scioglie. Però altre cose particolari, che io ricordi, no».

- Perché sotto il palco RAI, all'arrivo a Sappada, t’è venuto d’istinto di mettergli la mano sulla bocca? Avevi paura che dicesse che cosa?

«No, perché stava già dicendo... Era partito con un casino di bestemmie, di puttanate. E così gli ho messo subito la mano sulla bocca. Era lì, in mezzo a tutti i giornalisti, perciò…».

- Oggi una situazione del genere non potrebbe mai accadere. Troppi filtri: staff, addetti stampa, meccanici, massaggiatori eccetera.

Facciamo un viaggio di trent’anni, dal ciclismo di quando hai cominciato tu a quello in cui ti ritrovi adesso. Cosa ti senti di dire? Come è cambiato nel bene e nel male? Tu ci sei dentro da una vita. E puoi anche farmi il paragone col calcio, vista la tua lunga esperienza col Brescia.

«Sì, ci son dentro da una vita ma adesso col ciclismo ho appena ricominciato. Però, non mi sembra... cioè: è migliorato ma è anche peggiorato, perché gli fan troppe cose che una volta non gli facevano. Una volta avevi un buon rapporto con qualsiasi ciclista. Ti mettevi lì, dopo cena, parlavi, ridevi, scherzavi. Adesso vai alle corse, li vedi la mattina a colazione e li vedi su ai massaggi, e magari si addormentano perché son stanchi. Li vedi a cena ma all’altro tavolo, e poi star lì a ridere e scherzare è una cosa non rara: rarissima. Sul pullman son sempre là con ’sto telefonino, ipad o…».

- Quali sono le "tante cose che gli fanno"?

«Fanno delle riunioni sul pullman che durano un casino. Gli dicono dove sono le curve, dove ci son le buche, come tira il vento, la salita a un chilometro… Gli dicono tante di quelle cose che non so neanche come facciano a ricordarsele… Gli fanno anche i bigliettini da incollare sull’attacco del manubrio. Io una volta, con la Mapei, che abbiam fatto primo e secondo, ma m’è venuto così, d’istinto: stavo guardando il libro, a una tappa della Tirreno-Adriatico, non mi ricordo se ha vinto Bettini o Freire, vicino a Frosinone, han fatto primo e secondo. Gli ho detto: c’è una salitina, poi una discesa con due o tre curve brutta, ma brutta. E difatti l’han presa davanti loro due, han fatto primo e secondo, ma m’era venuto quel giorno lì, sennò non… M’era venuto così, ho visto per caso l’arrivo ché ho fatto tutta la strada della corsa, e ho detto: cacchio, qua è segnato così sul libro, invece è cosà...».

- Ma oggi a un massaggiatore magari neanche glielo farebbero dire perché è compito…

«…dei direttori. Ci sono i direttori, in macchina hanno su anche l’ipad. Sanno già tutte le cose... Ma poi non lo so a cosa possa servire tutto quello che già dicono, perché è difficile ricordarsi tutto».

- Anche il lavoro del massaggiatore è molto cambiato?

«Una volta andavi, compravi le tortine in pasticceria, e sapevi fare le torte di riso tu. Sempre. Ha iniziato a farle la Sky. E se le fa la Sky, che è una delle squadre più forti, poi, sai, le corron dietro tutti. Ha iniziato con i sacchetti di ghiaccio, con tante cose, con l’alpan, con tutte quelle storie lì e adesso le van dietro tutti».

- Il calcio invece è più indietro da questo punto di vista?

«Nel calcio, per imparare, un team manager deve andare nel ciclismo, per organizzare le cose. Quelli del ciclismo sono più avanti. Almeno quelli che ho conosciuto io. Io [nel calcio] ne ho conosicuto solo uno di team manager, non è che… Io son andato nel 2003, c’era ancora Robi (Baggio) e a volte gli ho fatto i massaggi, ma poche perché durante la settimana lui aveva uno che veniva su dall’Isokinetik, da Bologna, due volte la settimana, e che lo seguiva da anni. No, forti-forti ho avuto Matuzalem, Bachini…».

- Bachini lo hai avuto prima della sua squalifica?

[Ride, nda] «Sì. Questo qua era matto davvero, eh. In ritiro mi diceva: Enzo, prendi la mia carta di credito, prendi due telefoni.

- Perché due?

«"Perché uno semmai lo regalo a te…". Prendeva il telefono, a volte gridava, prendeva e lo sbatteva per terra... Era una cosa unica. Aveva una casa sul Lago di Garda, un anno aveva nevicato e cercava la macchina, si vede che nello spostar la neve gliel’avevan coperta, non sapeva dov’era, pensa te! Un anno, ha dato in mano a me la Ferrari per portargliela allo stadio. Nuova di zecca. Io non avevo mai guidato quelle macchine lì. Gli ho detto: ti fidi? Sì-sì, dai. Me la porta su accesa. Arrivo a Rovato, vicino a dove abita Beppe Martinelli, c’era il semaforo - io con la Ferrari faccio un po’ il fighetto, no? - e mi si spegne la macchina… Non sapevo riaccenderla e non sapevo neanche spegnerla. Quando son arrivato allo stadio, non sapevo spegnerla!».

- E come te la sei cavata?

«Ho dovuto richiamare Jonathan perché neanche allo stadio sapevano come fare a spegnerla». [ride]

- Senti, per chiudere: mi parli del Visenta corridore visto dal suo massaggiatore?

«Lui aveva classe purissima, ma non è che si allenasse tantissimo. Andava alla Tirreno-Adriatico, aveva fatto poche corse e t’arrivava secondo o vinceva. Andava… Non è stato uno che s’allenava…».

- Tu sei uno dei pochi che ancora lo frequenta?

«Sì, ci sentiamo».

- E Cresseri lo vedi ancora? Che tipo è?

«L'ho visto poco tempo fa. È un po’ matto».

- Bisogna prenderlo nella giornata buona?

«Ma no, no. Per quello, no».

- Ma gli fa piacere parlare di ciclismo o no?

«Sì-sì. Se lo vedi, ha ancora un fisico della madonna, da ciclista eh. Per me se va, ne mette a posto... Sta a Molinetto di Mazzano, vicino a dove c'è la Carrera».

CHRISTIAN GIORDANO

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