Visentini sei tutti noi


di Tony Lo Schiavo
Bicisport, speciale Fotoromanzo '86 - Il Giro d'Italia di Roberto

Piove. L'albergo è presidiato da una piccola folla. Dentro, Roberto Visentini è appena rientrato da un leggero allenamento, tanto per non affrontare impreparato l'ultima tappa del suo vittorioso (ma lui ancora non vuole dirlo) Giro d'Italia.

L'aria che si respira è frizzante. La gioia, la contentezza è palpabile. Ragazzi e ragazze si infilano da tutte le parti e non è facile il compito di chi deve impedire che ciò accada. Una ragazzina bionda sbuca addirittura dalla cucina. "Roberto - urla implorante - un autografo!". Visentini sorride.

Alle 11 si siede a tavola. Tutta la squadra gli è vicino e a capotavola c'è il padre, Tito. Un po' imbarazzato, silenzioso, ma tanto contento. Su un tavolo vicino fa bella mostra di sé una torta enorme. Ma non è stata portata per festeggiare il Giro d'Italia: sono tutti troppo scaramantici per commettere un simile errore. La torta è lì perché il 2 giugno è il compleanno di Roberto. Solo per questo.

Mentre davo taglia la torta, sbuca De Zan. Ha bisogno di Roberto per un'intervista. Visentini lascia i compagni che mangiano la torta ed esce in un cortile dove la troupe televisiva è già pronta. In un lampo il cortile è invaso dai ragazzi che aspettavano fuori. Roberto non fugge. Sorride e, dopo aver registrato l'intervista, si mette a firmare sue fotografie. Sembra una scena degli anni Sessanta, quando i divi della canzone subivano l'assalto dei loro fans. Ma con quanta accattivante simpatia si concede ai suoi numerosissimi tifosi. Il suo sorriso, incorniciato dai luminosi capelli castani, sembra un richiamo irresistibile.

Torna a tavola, mangia la sua torta e sussurra al padre di ordinare qualche bottiglia. "Per tutti! - ripete a quanti circondano la tavolata - Per tutti!". Ma Boifava ferma lo spumante: "Prima della corsa, è meglio di no". Poi i corridori salgono nelle stanze. Ma uno alla volta, scendono e sgattaiolano in una dependance dell'albergo. La discrezione è totale, ma qualcuno ci sussurra che si stanno rinnovando i contratti. Tutti confermati e, favoriti dalla circostanza, con un ragionevole riconoscimento.

Scompaiono dalla scena i corridori, ma non la folla e l'atmosfera festante. In un angolo, c'è Tito Visentini. Il padre. Lo avviciniamo in maniera un po' provocatoria: finalmente conosciamo il papà del "figlio di papà"! Lui sorride e poi smentisce deciso la vecchia storia: "Siamo una famiglia benestante, è vero, ma tutta la ricchezza che ci è attribuita è assolutamente fuori posto. Io lavoro e lo stesso Roberto se non corresse in bicicletta farebbe certamente un mestiere per vivere. Se questo vuol dire essere figli di papà... Quanto possiedo, e mi riferisco alla casa che ho comprato quindici anni fa con un mutuo, è il frutto del mio lavoro. Quanto a Roberto è il frutto del sudore che ha speso in bicicletta".

- Okay, nessun figlio di papà. Ma Roberto in questi ultimi tempi è cambiato. Cosa è successo?

"Che è cambiato è vero: ce ne siamo accorti anche noi in casa. Direi che da quest'inverno è maturato tanto, forse è diventato più uomo. Ma forse non è giusto neanche questo. So solo che è diverso".

. In casa che ragazzo è?

"E' un ragazzo d'oro. Io credo che chi ha conosciuto Roberto attraverso i giornali se ne sia fatto un'immagine completamente diversa. Ha sempre fatto una vita da atleta. La sera torna a casa presto. Non crea mai problemi. Con me è sempre stato rispettosissimo. Non ho mai alzato le mani su di lui, mi è sempre bastato chiamarlo per essere ascoltato e rispettato".

- Ma che rapporti ha con i suoi genitori?

"Ottimi. Certo, anche nei rapporti che ha con noi pesa il suo carattere. A volte anch'io cerco il momento più adatto per parlargli. però è un ragazzo d'oro e non dico così perché è mio figlio. Alla madre non chiede mai nulla. Magari dopo un allenamento entra in cucina e si fa da solo un caffè, un tè, due uova. Con la sorella ha qualche scaramuccia ogni tanto, ma si vogliono bene e lui le concede sempre tutto quello che vuole".

- E della sua attività cosa dice in casa?

"Non ne parla molto, ma è inevitabile che noi lo si segua. Però è sempre corretto su tutti. Non l'ho mai sentito parlare male di un collega. Sempre rispetto per i Saronni, i Moser e tutti gli altri. Anche quando accusò Moser delle spinte, non ce l'aveva mica con Moser! Ce l'aveva con chi non faceva rispettare il regolamento".

- Come mai è venuto solo lei ad assistere al trionfo?

"Sono venuto solo io ad aspettarlo in albergo. Eh sì, io non ce la faccio ad andare sul circuito. Preferisco vederlo in televisione. Sono troppo emozionato. Ricordo quando ero ragazzo e seguivo il Giro d'Italia e ammiravo quei campioni, oggi il campione, la maglia rosa, è mio figlio.Mia moglie è rimasta a casa con la figlia, ha un bimbo piccolo di soli quattro mesi e non ha voluto sottoporsi ad uno stress eccessivo".

Il tempo intanto trascorre. Il titolare dell'albergo è prossimo ad una crisi. L'albergo non è stato fatto per controllare tutti gli accessi. Verso le 12,30 i ragazzi hanno scoperto il passaggio dal garage e son piombati in piena hall con la speranza di trovare Visentini che invece è al sicuro nella sua camera.

Intanto i meccanici hanno preparato le biciclette. Arriva Giovanni Battaglin. E' emozionato anche lui: rivive tensioni ancora non troppo lontane anche se questa volta veste i panni dell'industriale che già pensa all'impulso che potrà dare alla sua azienda questo successo.

Il primo che esce è Cassani. La folla, che sembrava essersi tranquillizzata, ritrova vigore. Il padre di Visentini osserva da un angolo. In mezzo alla folla, ci sono anche gli sponsor di Roberto: il presidente Tito Tacchella, il fratello Imerio, il padre Giovanni. E poi Arrigoni. Tutti insomma vogliono assistere al trionfo del loro capitano inebriandosi della felicità popolare che questa folla giovane ed entusiasta riesce a trasmettere.

Poi arriva lui. Si concede ai flash, agli autografi, alle pacche sulle spalle. Battaglin si avvicina e gli sussurra all'orecchio: "Vai tranquillo che è fatta. Sta' attento solo a non rischiare. Se piove, attento alle scritte pubblicitarie che ci sono a terra perché fanno scivolare".

Roberto sale in bici e se ne va, attorniato da tutti i suoi compagni.

Quando torna, la folla è ancora aumentata. E' la sua apoteosi. Riguarda con qualche amico il suo Giro. "Ho trovato una grossa convinzione strada facendo ed alla fine credo di aver vinto questo Giro con merito".

- Ma quando è scattata in te questa sicurezza?

"Non lo so. Non c'è stato un episodio-chiave. In fondo sono sempre stato con i primi. Diciamo che Foppolo mi ha permesso di prendere la maglia rosa, ma se non ci fossero state la Crocetta, Potenza e via via tutte le tappe, non ci sarebbe stata nemmeno Foppolo".

- Lo hai sempre inseguito questo Giro, quando hai capito di averlo raggiunto?

"Oggi, a Merano, quando ho tagliato il traguardo".

- Non prima?

"No".

E' tranquillo, sereno. Ogni tanto gli si appende qualcuno al collo, lui, seppure ancora sudato, non allontana nessuno. Subisce l'assalto dei fotografi. Le "botte" sulle spalle. la tensione di quelli che gli stanno intorno che sembrano molto più emozionati di lui. Moser, quando lo ha incontrato all'antidoping, gli ha detto chiaro e tondo: "Mi ero accorto che andavi forte, ma non così forte!". E lui gli ha sorriso, grato di quel complimento. Risponde meccanicamente a mille domande. Il suo Giro. Il suo trionfo. La sua maglia rosa. Ma ancora non è riuscito a mettere a fuoco tutte queste cose. Troppo belle, troppo grandi, troppo sognate per essere assorbite in un lampo. Ora sa già che la sera stessa tutta Gardone lo aspetta per festeggiarlo. Poi, forse dopo, riuscirà a ritrovarsi solo con se stesso per rendersi conto che questa maglia rosa non premia solo un atleta come tale si era già fatto apprezzare e rispettare in passato, ma premia un ragazzo che attraverso la sofferenza sui pedali è riuscito a diventare un uomo.
Tony Lo Schiavo  

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