Caro Zilioli, poeta del ciclismo
di Gino Sala, l'Unità - lunedì 15 novembre 1976
Le buone maniere ti appartengono, e perciò non ci siamo meravigliati quando alla vigilia dello scorso Giro di Lombardia, sei venuto a salutarci. E' stata una stretta di mano che sottolineava il tuo addio al ciclismo agonistico. Un addio e un arrivederci, poiché l'anno prossimo farai ancora parte della carovana in qualità di direttore sportivo della Vibor. Bene, e tanti auguri. Nulla, o ben poco dovrai insegnare a quel marpione di Bitossi, vecchio più di te e con cento amicizie che forse diminuiranno il peso della maglia tricolore, ma gli altri, specie i ragazzi dell'ultima leva, avranno molto da imparare. Per esempio, un certo stile, una certa classe come bagaglio della vita quotidiana, e quel coraggio, quella sfacciataggine, oserei dire, che ti sono mancati e sui quali (essendo dotato di autocritica) non mancherai di soffermarti.
Adesso, una valanga di ricordi ci assale. Qualcuno ha descritto la tua carriera, quindici anni di professionismo, un inizio folgorante con una copertina che ti paragonava a Coppi (ah, il vizio di disturbare i morti a danno dei vivi...), un bel numero di vittorie, molti piazzamenti, molte gioie e molte delusioni. Se permetti, ignoro le statistiche e m'affido alla memoria.
Ecco, ti rivedo in un Tour de France con la febbre maltese. Era un'estate caldissima, afosa, insopportabile, e tu tremavi dal freddo nella stanzetta di un albergo di Pau. Tre coperte di lana non bastavano. Figuravi nel cartellone come uno dei candidati al trionfo di Parigi: invece lo stop, il ritiro forzato.
E l'altro Tour, quando militavi nella squadra di Merckx? La maglia gialla fasciava le tue spalle, una foratura ti fermò sul ciglio di una strada balorda, e nessuno colse il tuo gesto, la tua mano alzata, il tuo affanno: passò il gran capo, passarono i gregari senza degnarti di uno sguardo e giunse alla chetichella l'ammiraglia.
Volevano che le tue giornate di gloria finissero presto e così fu. E quel tappone di montagna del Giro d'Italia che stava portandoti definitivamente in maglia rosa? Merckx non poteva dare la caccia ad un compagno in fuga, e allora trovò un inghippo, un alleato nel tedesco Rudi Altig il quale provocò il furioso e decisivo inseguimento.
Ecco, ti rivedo in un Tour de France con la febbre maltese. Era un'estate caldissima, afosa, insopportabile, e tu tremavi dal freddo nella stanzetta di un albergo di Pau. Tre coperte di lana non bastavano. Figuravi nel cartellone come uno dei candidati al trionfo di Parigi: invece lo stop, il ritiro forzato.
E l'altro Tour, quando militavi nella squadra di Merckx? La maglia gialla fasciava le tue spalle, una foratura ti fermò sul ciglio di una strada balorda, e nessuno colse il tuo gesto, la tua mano alzata, il tuo affanno: passò il gran capo, passarono i gregari senza degnarti di uno sguardo e giunse alla chetichella l'ammiraglia.
Volevano che le tue giornate di gloria finissero presto e così fu. E quel tappone di montagna del Giro d'Italia che stava portandoti definitivamente in maglia rosa? Merckx non poteva dare la caccia ad un compagno in fuga, e allora trovò un inghippo, un alleato nel tedesco Rudi Altig il quale provocò il furioso e decisivo inseguimento.
E voglio fermarmi qui, caro Italo, ben sapendo che ti dispiace se qualcuno osa mettere in dubbio la rettitudine di Merckx nei riguardi dei colleghi. La tua ammirazione per Edoardo è sconfinata. Un favore, una concessione del belga pigliatutto ti avrebbero offeso. Nulla hai cercato, nulla hai ottenuto, pur avendo stretto un legame fraterno. Vi uniscono anche le vacanze invernali, i soggiorni nella tua casa di Limone Piemonte, le passeggiate nei dintorni, Pia (tua moglie), a braccetto di Claudine (moglie di Eddy), tanti discorsi, tante cose. E la gente che mormorava: «Perché Merckx, appena sul pedali, è avaro, severo, taccagno al punto da negare la minima soddisfazione persino al fedelissimo Zilioli?».
Un paio di volte l'hai battuto, il tuo idolo. L'hai fulminato in discesa, e alla fine Edoardo ti ha quasi apostrofato: Italo sei matto a rischiare in quel modo?». Come discesista eri favoloso. Ho bloccato la macchina per vederti in un Trofeo Laigueglia. Dal Testico ad Albenga, il viottolo in picchiata era una lastra di vetro. Pioveva e nevicava, e tu volteggiavi con una follia stupendamente armoniosa. Forse ti accompagnava la musica del mare in burrasca. E nel tuffo sui lastroni di ghiaccio di Pescasseroli? Le vetture procedevano con le catene, i tuoi avversari scrutavano quella poca ghiaietta per trovare il sentiero della salvezza, e tu giù a rotta di collo come un pattinatore. Ti ho poi chiesto: «Non avevi paura? Potevi ammazzarti». «Paura? Ammazzarmi? Ho affrontato il ghiaccio con attenzione. Non mi pare di aver azzardato...».
Eh, sì: la tua era una straordinaria abilità e non una questione di fegato, di tipi che si buttano sperando nella buona stella. Anzi, credo che il tuo personaggio, complicato, il tuo pensare, la tua filosofia, la tua timidezza, ti abbiano nuociuto. Vero, signora Pia? Lei, appassionata, sensibilissima compagna di Italo in numerose avventure, potrebbe scrivere pagine interessanti sul marito corridore, perché ha perso gare che poteva vincere, perché s'è tradito con la sua lealtà, coi suoi difetti, col suoi turbamenti. Ma una donna comprende e rispetta il silenzio del suo uomo, e gli porge la borraccia sul primo dosso, e lo guarda con amore e apprensione ovunque egli sia, in testa o in coda, come Pia Zilioli.
Anche per lei, signora del ciclismo, comincia un nuovo compito. Italo ha preso il diploma di maestro e conterà su una preziosa collaboratrice. La storia dello Zilioli corridore è finita. In ultima analisi, più che un guerriero è stato un poeta. Quanti possono dire altrettanto?
GINO SALA
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